17 luglio 2009
Anche l’ultima asta di titoli di stato cinesi non è riuscita bene. Sono state offerte obbligazioni per 20 miliardi di Yuan, ma ne sono state vendute soltanto 18,51 miliardi. Questa è la terza volta consecutiva nell’ultimo mese che l’asta non va a buon fine per scarsità di compratori.
Normalmente negli Stati Uniti quando un’asta va male – anche se ciò avviene raramente – si tende ad attribuire la colpa all’enorme debito pubblico che spaventa gli investitori, ma nell’ultimo periodo aste simili sono andate male anche in paesi solidi come la Germania – per non parlare di paesi meno stabili come la Lettonia.
La Cina presenta però una situazione unica. Da un lato infatti
possiede riserve per un valore che sorpassa i due trilioni di dollari, accumulati in anni di scambi commerciali con gli Stati Uniti.
Pechino ha inoltre imposto restrizioni sugli investimenti, in modo da indirizzare tutte le risorse cinesi in direzioni selezionate e condizionare il sistema finanziario. Di fatto il governo cinese riesce ad utilizzare le risorse per i propri scopi (ad esempio costringendo i dirigenti delle banche statali o i gestori delle riserve ad acquistare obbligazioni di stato, come è stato fatto in Giappone).
Nonostante queste restrizioni, e nonostante l’interesse superiore sullo yuan, persino
le istituzioni governative cinesi preferiscono investire il proprio denaro in obbligazioni di stato degli USA ad un tasso molto vicino a zero, piuttosto che investire nelle obbligazioni del governo cinese. Questo sfiducia la dice lunga sullo scarso prestigio di cui gode lo stato cinese presso i propri burocrati.
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