Le caratteristiche di una nazione sono il risultato delle esperienze secolari di vita di un popolo insediato in un dato territorio: esperienze che conducono a una determinata cultura etnica o nazionale. Negare questo nesso porta inevitabilmente ad analisi ingenue o irrealistiche.
Nel caso della Nigeria, si tratta di un paese di oltre 166 milioni di abitanti con un grave problema di sovraffollamento dovuto al fatto che, dal punto di vista morfologico, il paese è prevalentemente costituito da deserti e paludi dove soltanto un numero molto limitato di persone può sopravvivere. Luoghi come Lagos, Kano o anche la capitale Abuja, un tempo esotici nodi commerciali, ora sono cupe megalopoli note per l’alto tasso di criminalità specializzata in truffe, rapine a mano armata e rapimenti. Per troppi Nigeriani la vita è un hobbesiano gioco a somma zero (dove, se alla somma totale dei guadagni dei partecipanti si sottrae la somma totale delle perdite, si ottiene sempre zero, n.d.t.), che alimenta la lotta per la sopravvivenza del più forte. La Nigeria è un luogo dove spesso sopravvivere dipende da chi riesce a intimidire chi. Guerra, crimine e malavita fanno parte della quotidianità dei giovani maschi, che costituiscono la base della popolazione nigeriana. Persino la politica nigeriana ad alto livello è predatoria, tanto quanto la vita nelle strade.
La Nigeria non è, nel suo complesso, un paese, bensì un insieme di territori. Territori che – in passato – vennero governati in maniera diversa dagli Inglesi. Nello specifico abbiamo un nord musulmano, che gli Inglesi governarono indirettamente tramite signori locali, e un sud non musulmano di cui invece si occuparono direttamente. Non può destare stupore che le tensioni tra le diverse parti della Nigeria ne abbiano dominato la vita politica per decenni, portando a colpi e contro colpi di stato, alternati a periodi di democrazia: il tutto caratterizzato da altissimi livelli di corruzione che è peraltro parte del sistema di clientelismo politico che ha sinora impedito la guerra civile.
In Nigeria ci sono essenzialmente tre aree geografiche (mappa in alto): un nord desertico da cui proviene il corpo degli ufficiali Hausa che, per decenni, hanno guidato l’esercito e quindi influenzato i politici; una regione sud-occidentale, dominata dalla tribù Yoruba, dove sorge la capitale commerciale Lagos; e il sud-est, dominato dalla tribù Igbo, che ha la maggior parte dei giacimenti petroliferi. Gli Igbo, nel 1967, tentarono di separarsi dal resto del paese scatenando la guerra di secessione del Biafra. Una guerra che durò tre anni, nel corso dei quali gli Igbo fraintesero le intenzioni degli Yoruba, ai quali avevano chiesto un’alleanza: gli Yoruba si allearono invece con gli Hausa causando la sconfitta degli Igbo e garantendo l’unità del paese.
Abuja, più che la capitale, si può considerare una sorta di clausola di compromesso di un impero debole e scomposto, chiamato Nigeria. Abuja è il luogo in cui vengono divisi e distribuiti i guadagni dell’estrazione di 2,5 milioni di barili di petrolio giornalieri.
Tra il sud-est degli Igbo e il sud ovest degli Yoruba c’è la regione del Delta del Niger, dominata dalla tribù Ijaw. Anche se gli oleodotti attraversano questa regione, gli Ijaw non hanno avuto sufficiente voce in capitolo negli accordi di Abuja. Ignorati per decenni e intimiditi violentemente negli anni ’90, a partire dal 2000 hanno lanciato una campagna militare per affermare la propria presenza. Sabotaggi e bombe contro condotte e strutture petrolifere hanno tenuto in scacco l’economia del paese. La riconciliazione è alquanto recente: risale al 2007, quando gli Ijaw ottennero la vicepresidenza in cambio della fine del sostegno a gruppi armati come il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND). Nel 2010 con la morte del presidente Umaru Musa Yar’Adua, un musulmano del nord, il vicepresidente Goodluck Jonathan, Ijaw cristiano del sud, è divenuto capo dello stato.
Si è trattato, senza dubbio, di uno sviluppo imprevisto per i sostenitori di Yar’Adua, che hanno incominciato a prefigurarsi un impoverimento del nord. Di fatto il cambiamento di fortune politiche ad Abuja ha portato grandi entrate economiche, prima destinate al nord, alle élite Ijaw e ai militanti del MEND che avevano tempo addietro interrotto gli attacchi agli oleodotti. Così ora è il nord musulmano a essere insoddisfatto, e oggi si moltiplicano gli attacchi terroristici del gruppo islamico Boko Haram (mappa a destra). Attacchi terroristici che per Boko Haram sono sinonimo del fare politica.
La Nigeria rappresenta dunque la gestione di un potere spoglio, privo di legalizzazione e di autorità. Eppure la forza della Nigeria è evidente: i suoi peacekeepers hanno guidato con successo forze di intervento in Sierra Leone e Liberia, uomini d’affari nigeriani giocano ruoli centrali in tutte le economie locali dell’Africa occidentale. Vi sono Nigeriani che dirigono industrie di dimensioni continentali o globali. Tuttavia la condizione di semi-anarchia della Nigeria le impedisce di assumere l’egemonia regionale che le spetterebbe per l’insieme delle sue risorse.
La caduta del Mali a nord è stata possibile non soltanto per il flusso di armi e combattenti provenienti dalla Libia del dopo Gheddafi, ma anche dall’incapacità della Nigeria di controllare la regione. Nigeria e Sudafrica dovrebbero essere, rispettivamente, le principali potenze regionali nell’Africa occidentale e meridionale e dovrebbero essere determinanti nello stabilizzare paesi come il Mali e il Congo, ma chiaramente così non è a causa delle loro debolezze interne.
La Nigeria rimarrà instabile. Non cadrà nella guerra civile perché tutti i gruppi etnici hanno capito quali sono i limiti da non superare. La corruzione contribuisce al malgoverno, ma è anche un elemento pacificatore in Nigeria. Non potrà emergere uno stato forte. Boko Haram continuerà a usare il terrorismo per mettere Jonathan sotto pressione e i miliziani Ijaw sono pronti a riprendere gli attacchi contro gli oleodotti se il nord otterrà nuovamente la presidenza nelle elezioni del 2015. Non si può tuttavia escludere un colpo di stato, non soltanto a causa delle frustrazioni dei musulmani del nord, ma perché il corpo degli ufficiali Hausa – uomini competenti e ben istruiti – è sempre più irritato dalla debolezza dei governatori civili sia al nord che al sud.
È opinione delle élite globali che lo sviluppo economico e l’integrazione globale porteranno a costruire società ordinate anche in paesi come la Nigeria. Ma la crescita economica può generare maggiori disuguaglianze e più significativi profitti per i quali lottare. In Nigeria la posta in gioco è alta: quei 2,5 milioni di barili di petrolio quotidiani. La spartizione non sarà fra élite globalizzate e democratiche, ma tra decine di milioni di persone per le quali la vita è una feroce lotta quotidiana.
L’esempio della Nigeria dovrebbe mantenerci umili nei confronti della condizione umana e della persistenza delle caratteristiche di una nazione.
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