Il 12 ottobre 2014 il socialista Evo Morales è stato eletto per la terza volta alla guida della Bolivia con una maggioranza schiacciante. Morales ha fatto un buon lavoro per l’economia del paese, ma restano ancora alcuni passi da compiere per garantire sostenibilità al rapido sviluppo del paese.
La Bolivia non ha sbocchi al mare, ed è divisa in due parti, molto diverse fra di loro sia per caratteristiche geografiche che per demografia e per storia.
La parte occidentale è montagnosa e aridissima, poco adatta all’agricoltura, mentre la parte tropicale a sudest è molto fertile e contribuisce al 50% del PIL. L’Ovest e il Nord sono ancora molto poveri.
La divisione geografica coincide con la divisione demografica: i discendenti degli Europei infatti vivono nella parte orientale, le popolazioni indigene (Quechua e Aymara) sono concentrate nell’Ovest.
Morales, ex coltivatore di coca eletto per la prima volta alla presidenza nel 2005, ha implementato un piano di redistribuzione delle risorse che ha contribuito ad alleviare la povertà nel paese. Appena arrivato al potere ha nazionalizzato miniere, giacimenti energetici e aziende elettriche; nel 2009 ha introdotto una riforma costituzionale per cui tutte le risorse naturali sono diventate proprietà statale – il che implica che chi sfrutta le risorse naturali, inclusi i terreni agricoli, deve versare il 51% degli utili allo stato.
Questa politica ha dato i suoi frutti: in pochi anni il PIL è passato da $9,4 miliardi a $30,2 miliardi, il tasso di povertà è sceso del 30%, il debito è calato dell’80% e le riserve in valuta estera sono passate da $2,6 miliardi a $17,5 miliardi.
I ricchi proprietari terrieri dell’est, privati per la prima volta del loro potere, minacciarono la secessione e il paese arrivò quasi sull’orlo della guerra civile nel 2007-8. Ma la crescita economica ha contribuito a calmare gli animi.
Le politiche redistributive di Morales sono state possibili grazie all’aumento di prezzo delle materie prime degli ultimi anni, dovuto soprattutto alla crescente domanda della Cina. Ma l’economia del paese è poco diversificata e un calo dei prezzi avrebbe pesanti ripercussioni sull’economia del paese e sulle politiche del Presidente.
Per garantire stabilità a lungo termine, Morales dovrebbe investire nell’ammodernamento e nell’ampliamento delle infrastrutture di estrazione e trasporto, tuttora poco sviluppate, per favorire l’espansione del mercato interno e una maggiore diversificazione delle industrie. Ma occorre prima un cambio di mentalità: finora infatti il presidente ha rifiutato le offerte di investitori esteri – giapponesi, cinesi e coreani, tutti interessati a sviluppare i giacimenti di argento, zinco, oro e litio – i quali hanno quindi deciso di investire in Cile e Perù. Senza contare che esiste ancora una clausola di legge, risalente alla Guerra del Pacifico del 1879, che impedisce al paese, ricchissimo di gas naturale, di vendere il gas al Cile – che ne avrebbe invece bisogno.
Senza un cambiamento nell’approccio alle relazioni con i vicini e con gli investitori internazionali i generosi programmi redistributivi di Morales rimangono troppo vulnerabili a possibili shock di prezzo sul mercato delle materie prime.
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