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La Russia è stata potenza egemone in Asia Centrale a partire dal XIX secolo, quando l’impero zarista la conquistò per prevenire possibili conquiste da potenze rivali e per stabilire postazioni difensive sulle cime del Tian Shan (Kirghizistan) e ai margini del deserto del Karakum (Turkmenistan). Dopo la rivoluzione del 1917 l’Asia Centrale divenne parte dell’Unione Sovietica. Stalin la ridisegnò ex novo, creandovi cinque repubbliche con nuovi confini, e interruppe le comunicazioni e il commercio dell’Asia Centrale con l’esterno. Le repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale subirono il processo di industrializzazione e collettivizzazione forzata comune al resto dell’Unione Sovietica. La produzione industriale e agricola venne spinta al massimo, l’economia e la difesa dell’Asia Centrale furono integrate nel sistema dell’intera Unione Sovietica. Le grandi risorse naturali della regione – petrolio, gas naturale, minerali e cotone − alimentarono il complesso industriale sovietico, venne costruita una rete di sistemi di trasporto e comunicazione con la Russia.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 le repubbliche dell’Asia Centrale divennero indipendenti, ma rimasero nell’orbita russa per circa 20 anni, continuando l’interscambio commerciale e culturale con la Russia. Ma nell’ultimo decennio la situazione è cambiata. Dal 2000 in poi la Cina ha avviato una politica di accordi commerciali e industriali con l’Asia Centrale, soprattutto nel campo dell’energia. La Cina ha proposto e finanziato la costruzione di grandi infrastrutture quali l’oleodotto e gasdotto Kazakhistan-Cina, aperto nel 2003, e il gasdotto Asia Centrale-Cina entrato in funzione nel 2009. Nel 2017 dal Kazakhistan sono giunti in Cina 12.3 milioni di tonnellate di petrolio e 44 miliardi di metri cubi di gas, mentre nel 2016 il gasdotto Asia Centrale-Cina ha portato altri 34 miliardi di metri cubi di gas.
Nel frattempo invece la Russia ha diminuito la richiesta di gas e petrolio da rivendere in Europa, non soltanto a causa della crisi economica, ma anche a causa delle sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Per fortuna la richiesta è aumentata moltissimo da parte dei Cinesi. Il caso del Turkmenistan è esemplare. Prima del 2009 il Turkmenistan esportava il 90% del suo gas in Russia, ma nel 2009 il gasdotto esplose per l’eccessiva pressione. La Russia aveva ridotto l’assorbimento del gas dalla conduttura, ma senza dirlo al Turkmenistan. Così il gasdotto rimase inutilizzabile, il Turkmenistan si ritrovò in enormi difficoltà. Ma l’anno successivo le esportazioni di gas verso la Cina aumentarono tanto da raggiungere le abituali esportazioni verso la Russia. Oggi il Turkmenistan esporta gas soltanto in Cina, non in Russia e neppur più in Iran, dopo una disputa su prezzi e pagamenti. Se si considera che l’80% dei proventi fiscali del Turkmenistan e il 35% del suo PIL provengono dall’estrazione e dalla vendita del gas, è chiaro che la sopravvivenza del Turkmenistan oggi dipende dalla Cina.
La ristrutturazione delle infrastrutture energetiche dell’Asia Centrale ha portato variazioni anche in altri settori economici e commerciali. Nel 1990 l’interscambio fra Cina e Asia Centrale era meno di 1 miliardo di dollari l’anno. Nel 2017 è stato di 30 miliardi, contro i 18,6 miliardi di dollari di interscambio fra Asia Centrale e Russia. Soltanto il Kazakhistan ha ancora un interscambio maggiore con la Russia che con la Cina.
La Cina ha investito miliardi di dollari in infrastrutture di trasporto e in complessi industriali in Asia Centrale, all’interno della Belt and Road Initiative. Una ferrovia collega già il porto cinese di Lianyungang con la città kazaka Almaty, altri due corridoi ferroviari sono in costruzione. La Cina ha costruito un impianto metallurgico in Tajikistan, inaugurato a novembre 2017, e le aziende di Huawei e ZTE hanno impianti di assemblaggio in Uzbekistan. Pechino ha un progetto per costruire un nodo logistico e manifatturiero a Khorgos, sul confine del Kazakhistan.
La Russia però non ha perso del tutto il suo peso nella regione. Le rimesse dei migranti ad esempio sono ancora un grande strumento di influenza russa. Oltre 3 milioni di lavoratori dell’Asia Centrale oggi vivono e lavorano in Russia e mandano rimesse in patria, che per paesi senza gas e senza petrolio come il Kirghizistan e il Tajikistan sono di grande importanza economica. Il Kirghizistan nel 2017 ha ricevuto più di 2.2 miliardi di dollari in rimesse dagli emigrati in Russia, più del valore del suo interscambio commerciale con la Cina, quasi il 30% del suo PIL. Il Tajikistan ha ricevute rimesse per oltre 2.5 miliardi di dollari. Ogni famiglia in Kirghizistan e Tajikistan ha almeno un parente che lavora in Russia.
La Cina è stata attenta a non entrare in conflitto con a Russia nello sviluppo dei suoi rapporti con l’Asia Centrale. Ha sostituito la Russia negli investimenti strutturali che la Russia non poteva fare, ha acquistato quantità di energia che alla Russia non servivano, Per altro la Cina non ha bisogno di mano d’opera, ne ha a bizzeffe, non entra in concorrenza con la Russia, che invece ha bisogno della manodopera dei migranti.
Entrambi i paesi hanno l’interesse comune di stabilizzare l’Asia Centrale per proteggere i loro confini e per impedire lo sviluppo di terrorismo e ideologie insurrezionali. Inoltre la Cina è diventata un partner commerciale importante per la Russia dopo che le sanzioni occidentali hanno penalizzato il suo interscambio con i paesi europei.
Ma un settore di possibile scontro fra Russia e Cina è la sicurezza. Man mano che crescono gli investimenti cinesi in Asia si porrà la necessità di una presenza militare cinese per garantirne la sicurezza, crescerà la richiesta di cooperazione con gli altri paesi sia nell’intelligence sia nella difesa. I paesi dell’Asia Centrale sono membri dell’Unione Economica euro-asiatica e dell’Organizzazione per la Sicurezza Collettiva, entrambe guidate da Mosca. Se la Cina mettesse a repentaglio la lealtà dei membri di queste due organizzazioni, i rapporti fra Cina e Russia potrebbero entrare in tensione.
Russia e Cina sono entrambi membri della Shanghai Cooperation Organization (SCO), ma con priorità che già appaiono diverse. La Cina vede la SCO come una piattaforma per l’integrazione economica dei paesi asiatici, la Russia vuole che sia una organizzazione mirata alla collaborazione per la difesa e per la prevenzione dei conflitti, perciò vuole che ne facciano parte anche India e Pakistan, cosa non gradita alla Cina. L’evoluzione dei rapporti in seno allo SCO rivelerà se la cooperazione fra Russia e Cina sarà una caratteristica costante dell’Asia, o se sorgeranno contrasti di interesse su altri fronti.
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