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La lunghissima guerra fredda fra l’Iran e l’Arabia Saudita, spalleggiata dagli USA, sta per diventare un aperto scontro armato? Molti segni paiono indicare che la resa dei conti è vicina.
Il 13 giugno due navi cisterna sono state attaccate all’uscita dallo stretto di Hormuz, forse dall’Iran. Il prezzo del greggio sul mercato globale ha subito un’impennata. Un missile lanciato dagli Houthi, i ribelli yemeniti sciiti armati e sostenuti dall’Iran, ha colpito l’aeroporto internazionale saudita di Abha, a nord dello Yemen. Il 12 maggio scorso 4 petroliere erano state attaccate nel porto degli Emirati a Fujairah, e il governo di Abu Dhabi aveva addebitato l’attacco ad ‘attori di stato’, non a pirati.
A fine maggio un drone lanciato dagli Houthi aveva danneggiato l’oleodotto saudita est-ovest. Gli Houthi sono stati recentemente equipaggiati con missili da crociera, molto più pericolosi dei missili balistici perché vanno alla ricerca del bersaglio con grande precisione. Il pericolo per i Sauditi e per i loro alleati è perciò cresciuto considerevolmente.
Questo intensificarsi di attacchi indirettamente attribuibili all’Iran paiono voler portare a uno scontro aperto fra i Sauditi e gli Iraniani, che potrebbero coinvolgere tutta la regione in uno scontro finale. L’isolamento dell’Iran a seguito delle sanzioni esaspera i processi che prima o poi porteranno alla caduta degli Ayatollah, che però non abbandoneranno il potere pacificamente, ma lotteranno all’interno e all’esterno per mantenerlo, utilizzando tutte le loro forze sul terreno. Piuttosto che lasciarsi soffocare lentamente e affrontare probabili rivolte interne, saranno gli Ayatollah stessi a scatenare la guerra totale, sperando di ricompattare la popolazione contro i nemici.
In Iran alla recessione economica dovuta alle sanzioni internazionali e agli enormi costi sostenuti per sostenere le guerre contro l’ISIS e contro i ribelli sunniti in Iraq e Siria, ora contro i Sauditi in Yemen, si aggiunge la piaga della mancanza d’acqua, non soltanto per la siccità ma per la gestione irrazionale delle risorse idriche fatta negli ultimi decenni. Lo scorso dicembre il governo iraniano ha deciso di costruire una conduttura di acqua marina desalinizzata dal Mar Caspio alla provincia di Semnan. La proposta era già stata avanzata da Ahmadinejad nel 2012, ma era stata accantonata per la sua complessità tecnica e per il costo elevato.
L’Iran ha poche terre fertili, questo è il suo problema numero uno, il motivo per cui nella loro lunga storia i Persiani si sono sempre mossi alla conquista delle vallate fertili a est e a nordovest delle loro montagne, sempre scontrandosi con le popolazioni locali e con le grandi potenze globali che le controllavano: anticamente i Romani e i Bizantini, poi gli Arabi, i Mongoli, i Turchi, gli Inglesi e ora gli USA.
L’Iran degli Ayatollah, che presero il potere nel 1979 con una rivoluzione che umiliò subito i diplomatici e le forze americane presenti nella regione, è sempre stato in guerra con i vicini arabi, ora in Iraq, ora anche in Siria, Libano o Yemen. La guerra è non più per il solo controllo delle risorse agricole, ma soprattutto del petrolio e del gas della regione. Dopo quasi 40 anni di guerre l’Iran degli Ayatollah è una società militarizzata: circa metà della popolazione attiva fa parte o dell’esercito o delle Guardie della Rivoluzione o dei servizi segreti. L’altra metà della popolazione lavora per sostenere questo grosso sforzo militare, di cui però non si vedono i risultati, perché sia in Iraq che in Siria anche le guerre apparentemente vinte sono ricominciate subito in forma diversa. È comprensibile che questa parte della popolazione tenda ad essere sempre più scontenta. Piuttosto che lasciarsi soffocare lentamente e affrontare probabili rivolte interne, saranno gli Ayatollah stessi a scatenare la guerra totale, per ricompattare la popolazione contro il nemico esterno. Gli eventi delle ultime due settimane sembrano voler dire proprio questo.
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