Gerald Steinberg, professore di Scienze politiche all’Università Bar Ilan in Israele, pubblica il 21 luglio 2009 un articolo sul National Review, intitolato
‘From Gulag Liberators to Saudi Retainers’ (Da Liberatori del Gulag a Servi dei Sauditi).
Ne traduciamo i passi salienti:
Human Rights Watch venne fondata nel 1978 a New York (nell’ambito del programma Helsinki Watch) per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dei prigionieri politici nelle carceri dell’Unione Sovietica e dell’Est europeo. Molti prigionieri dei Gulag, incluso Anatoly (ora Nathan) Sharansky, hanno riconosciuto i meriti di HRW nel promuovere la loro liberazione. Successivamente Human Rights Watch iniziò a battersi a favore dei prigionieri politici e delle vittime della tortura in altri stati totalitari come il Cile, l’Argentina la Grecia.
Ma oggi sembra che HRW abbia perso la bussola e che usi il suo budget (42 milioni di dollari nel 2008) per scagliarsi contro Israele.
In diverse conferenze stampa HRW ha attaccato Israele per aver reagito agli attacchi terroristici di Arafat, Hamas ed Hezbollah, usando una retorica distorta piuttosto che prove concrete. […]
Un articolo apparso su Arab News a maggio del 2009 afferma che i funzionari di HRW si sono recati in Arabia Saudita per raccogliere fondi, portando con sé numerosi report in cui viene incriminato il comportamento di Israele durante la guerra a Gaza dell’ inverno precedente.
Alcuni dei fondatori, fra cui lo stesso Robert Bernstein, si trovano in totale disaccordo con l’organizzazione che hanno creato.
Come e perché questa superpotenza dei diritti umani si è schierata così ferocemente contro Israele, alla pari di Amnesty International (creata nello stesso periodo con gli stessi obiettivi)?
E per quale motivo questi colossi oramai sembrano attendibili soltanto quando documentano violazioni dei diritti umani al di fuori del Medio Oriente, ad esempio in Cina?
Per dare una risposta occorre una analisi approfondita.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica HRW dovette cambiare strategia e cercare nuovi obiettivi per continuare a ricevere donazioni. All’inizio si dedicò alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, ma non durò molto.
HRW e Amnesty International si trasformarono allora da attivisti per i diritti umani in “organizzazioni di ricerca” autoproclamandosi “esperte di diritto internazionale” nell’ambito dei conflitti armati. A questo punto iniziarono a produrre report dai campi di battaglia basandosi su dichiarazioni – non verificabili – di presunti testimoni oculari, presentate con immagini e grafica suggestiva.
Il conflitto arabo-israeliano divenne uno dei principali argomenti e HRW immediatamente adottò la strategia palestinese di isolare e demonizzare Israele per violazioni ai diritti umani.
La campagna di equiparazione del Sionismo al razzismo, appoggiata dalle Nazioni Unite a metà degli anni ’70, riprese forza durante l’applicazione degli Accordi di Oslo negli anni ’90 e trovò una vasta piattaforma d’appoggio nella rete delle ONG.
Le organizzazioni non governative arabe ed iraniane, che definiscono il Sionismo “neo-colonialismo” e “nuovo apartheid”, si sono rivelate valide alleate di questa campagna.
Adottando una linea anti-israeliana era facile accedere alla Commissione per i Diritti Umani dell’ONU, guidata da lestofanti come l’Iran, la Libia, il Pakistan e Cuba. Ogni volta che si verificava un episodio violento – a partire dal mito del “massacro” di Jenin del 2002 alla guerra in Libano del 2006, – i funzionari di HRW richiedevano subito a gran voce di investigare sui “crimini di guerra” commessi da Israele e sulla sua “violazione delle leggi internazionali”, prima ancora che ce ne fosse traccia.
Nel frattempo il bilancio di HRW cresceva esponenzialmente.
Durante la recente guerra di Gaza il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU ha nominato Richard Goldstone, membro del direttivo di HRW, come direttore dell’inchiesta sul conflitto. Questo sottolinea i legami fra le maggiori ONG politiche e i regimi anti-occidentali ed anti-israeliani che dominano la maggior parte degli organismi delle Nazioni Unite. Human Rights Watch, ONG statunitense che percepiva molte donazioni anche dagli ebrei americani, era un alleato prezioso per l’ONU (ma Goldstone ha dovuto dimettersi da HRW ed il suo nome è stato velocemente rimosso dal sito internet dopo che ‘NGO Monitor’ ha richiamato l’attenzione sul suo conflitto di interessi).
Grazie all’appoggio dell’ONU, le ONG normalmente godono di una vasta copertura mediatica e possono così esercitare “soft power”. I giornalisti di solito accettano e ripetono le condanne automatiche pubblicate dalle superpotenze dei diritti umani senza prendersi la briga di andare a controllare se ci siano prove concrete oppure no. L’impatto mediatico a sua volta permette alle ONG di ottenere più denaro dalle fondazioni che promuovono politiche radicali. […]
HRW ad esempio ha stabilito una relazione fissa con Gheddafi in Libia, elogiandone lo “spirito riformista.”
Ma denaro e potere spiegano soltanto in parte la virata di HRW che, proprio come altre organizzazioni una volta liberali, è finita nelle mani di attivisti fortemente egocentrici ed imbevuti di ideologie anti-democratiche.
Il mondo delle ONG è ricco di anarchici antinazionalisti che seguono il pensiero di Noam Chomski, Edward Said, Joseph Massad e altri, i quali considerano la forza militare un male assoluto e vedono invece nelle vittime un esempio di moralità, indipendentemente dal contesto in cui si trovano a dal loro comportamento. Quindi troviamo da una parte Israele che si difende, ma si trova dal lato oscuro della moralità, e dall’altra i Palestinesi – le vittime per eccellenza – dispensati da ogni responsabilità morale per le proprie azioni. […]
Ma ora tutta questa moralità sta mostrando il suo vero volto, dato che HRW ha dovuto chiedere aiuto all’Arabia Saudita, uno dei maggiori negatori di diritti umani del mondo.
Secondo il giornale Arab News Sarah Leah Whitson, direttore del dipartimento MENA di HRW, e Hassan Elmasry, membro del direttivo di HRW e consigliere in ambito MENA, si sono recati ad una “cena di benvenuto” in Arabia Saudita per convincere “importanti membri della società saudita” a contribuire in modo attivo alle attività di HRW, le cui casse sono quasi vuote a causa della crisi economica. In quest’occasione i leader di HRW hanno ricordato ai Sauditi che il “lavoro effettuato a Israele e a Gaza ha richiesto l’impiego di ingenti risorse.”
La Whitson ha cercato di ingraziarsi i Sauditi facendo un po’ di propaganda sulle “prove” (inesistenti, fra l’altro) dell’uso sistematico del fosforo bianco da parte di Israele e dei ripetuti attacchi dell’esercito israeliano contro obiettivi civili.” […]
La nuova amicizia con i Sauditi è perfettamente comprensibile, dato che HRW ha perso l’appoggio e i finanziamenti degli Ebrei liberali. Questa partnership servirà a rinvigorire la strategia di screditare Israele e mettere in discussione la legittimità stessa dell’esistenza dello stato ebraico. […]
Ma con questa mossa l’aureola di HRW si è inevitabilmente macchiata, forse in maniera irreversibile. A parte la retorica moralista, l’idea stessa di un’organizzazione per i diritti umani finanziata dai Sauditi che si vanta dei propri attacchi contro Israele rasenta l’assurdità.
Per la prima volta Roth e Whitson si trovano sotto accusa e devono rispondere delle proprie azioni, dato che in quest’occasione non possono svolgere, come gli è abituale, il ruolo di accusatore, giudice ed esecutore.
Quando questo accadrà anche alle altre superpotenze dei diritti umani – ad esempio Amnesty International – allora sarà possibile ricominciare a posare le fondamenta morali dei diritti umani universali.
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati