Come vincere
in Afghanistan

24/09/2009

24 settembre 2009   È difficile ricordare un documento simile al rapporto recentemente stilato dal generale statunitense McChrystal sulle possibilità di stabilizzare l’Afghanistan. […] Il messaggio che trapela dal rapporto è piuttosto chiaro: le risorse sono insufficienti e la corruzione sta dilagando fra le forze governative afgane. Quello che più colpisce è che il generale McChrystal ribadisca più volte la necessità di trovare una strategia per  migliorare la situazione, una strategia che ponga fine alle continue carenze di uomini e denaro e che serva a “ripulire” gli organi governativi afgani degli elementi deleteri. Dopo otto anni di guerra, si scopre di esser privi di una strategia . Questa potrebbe sembrare un’esagerazione, ma le parole pronunciate da Obama la settimana scorsa e riportate dal Washington Post sembrano confermare questa tesi: “Non manderemo altre truppe in Afghanistan finché non avremo ben chiara la strategia da mettere in atto”.   È difficile spiegare il perché dell’assenza di una strategia. Parlando con gli uomini coraggiosi che hanno servito e continuano a servire in Afghanistan  appare ovvio che nessuno ha spiegato loro il motivo per cui l’America ha inviato le truppe in una regione dove anche le più importanti potenze mondiali sono state sconfitte negli ultimi secoli. […] La strategia è utile per capire quali sono gli obiettivi. Ma quali sono veramente? Le risposte sono molteplici, alcuni affermano che le truppe sono state inviate per evitare che al Qaeda possa nuovamente organizzare attentati contro gli Stati Uniti dall’Afghanistan, altri che l’intervento è mirato alla creazione di un governo onesto, capace di fare gli interessi degli Afghani. Queste sono solo due delle versioni esistenti.   In questi giorni la Casa Bianca sta esaminando il rapporto del generale McChrystal e presto deciderà la Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Il minimo che possiamo aspettarci è che il Presidente ci dia una risposta su quello che stiamo facendo in Afghanistan, se le truppe servono a distruggere al Qaeda oppure a creare una nuova realtà economica e sociale nel paese. […]   Le statistiche sono scoraggianti. L’Afghanistan è grande una volta e mezzo l’Iraq, ma ha un territorio piuttosto inospitale. Anche se non è possibile fare un censimento preciso della popolazione, si stima che gli abitanti siano circa trentadue milioni e che parlino circa 30 lingue diverse. Circa il 10% della popolazione – 3 milioni – è coinvolta nel traffico di droga, mentre attualmente le forze di polizia afgane contano circa 51.406 ufficiali in uniforme. Questi aspetti fanno dell’Afghanistan un paese decisamente difficile da controllare.   Non va inoltre dimenticato che meno di una generazione fa un’altra superpotenza, l’Unione Sovietica, è stata sconfitta in Afghanistan. […] Viene quindi spontaneo chiedersi: che cosa avrebbero dovuto fare i Russi per vincere la guerra? […] Un gruppo di analisti del governo statunitense, dopo un’accurata analisi, ha dichiarato che per cambiare la situazione in Afghanistan una potenza straniera deve almeno compiere tre passi fondamentali:   1.      mettere al potere un leader Pashtun stimato e capace di stringere alleanze con le etnie Tagika, Uzbeka e Hazara; 2.      cooptare i principali capi-tribù; 3.      eliminare i santuari dei ribelli sul confine con il Pakistan.   I Sovietici non riuscirono in nessuno di questi tre compiti, e quindi si ritirarono nel 1989 dopo che 20.000 soldati erano stati uccisi e altri 500.000 feriti. […]   Come si presenta  la situazione attuale? Karzai è un Pashtun, ma Washington inizia a credere che non goda di sufficiente prestigio e che  non sia capace di mantenere l’unità nazionale. […]   Gli Stati Uniti hanno cercato di cooptare i principali signori della guerra, ma non sempre in modo  efficace.  All’inizio infatti la CIA e il dipartimento di stato hanno elargito milioni di dollari ai leader che avrebbero dovuto stabilizzare la regione meridionale ed orientale, ma spesso non si trattava delle persone giuste. C’è anche un ostacolo culturale: gli Americani non amano generalmente comprare  il “favore” dei politici, soprattutto quando stanno lavorando per loro e per formare un governo  riconosciuto. Però l’esercito tiene a bada i signori della guerra offrendo loro una tangente sui rifornimenti che transitano in Afghanistan – per evitare che vadano persi in attacchi lungo la strada. Ma questo non è il modo giusto di agire.   Per quanto riguarda l’eliminazione dei santuari dei ribelli, […] fino a quando le vie di ingresso alle Aree Tribali pachistane non verranno pattugliate dalle forze di sicurezza afgane e dalle forze statunitensi, soldati e civili continueranno a perdere la vita in Afghanistan. […]   Mentre aspettiamo che il Presidente e la Casa Bianca decidano la nuova strategia per l’Afghanistan, possiamo soffermarci a pensare ai nostri mezzi e sulle nostre risorse. […] La strategia delle Forze Speciali statunitensi si basa sulla collaborazione con le forze di sicurezza del paese in cui si trovano. Di conseguenza ogni missione – sia in Afghanistan che in Iraq – può avere più o meno successo a seconda della capacità delle forze di sicurezza del paese ospitante – e da questo punto di vista la situazione in Afghanistan è ancora piuttosto grave.    A meno che si intendano lasciare le forze armate a tempo indeterminato su suolo afgano, dobbiamo capire qual è il vero obiettivo: gli Stati Uniti hanno l’intenzione di “creare” una nazione ex-novo oppure vogliono soltanto evitare che si ripeta un altro 11 settembre? A seconda del fine gli strumenti e i metodi cambiano. Quindi speriamo che il Presidente ci dia al più presto una risposta sugli obiettivi per cui le truppe stanno combattendo.   Di Sebastian L. Gorka, direttore dell’Istituto per la Democrazia e la Sicurezza Internazionale degli Stati Uniti.   Traduzione: Davide Meinero  

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