Ondate di scioperi in Cina
con quali conseguenze?

21/07/2010

Dal 12 luglio 2010 sono in sciopero gli operai cinesi dell’industria giapponese Atsumitec Auto Parts a Foshan, nel Guangdong. Un’altro sciopero è in atto alla OMRON, un’azienda giapponese nel Guangzhou che produce componenti elettronici per la Honda e per la Toyota. Gli scioperi seguono quelli alla Nanhai Honda Auto Parts Manufacturing Company di Foshan.   Gli scioperi toccano soprattutto  aziende giapponesi che producono automobili o pezzi di ricambio per le auto (Honda, Toyota e Nissan) nel Guangdong, dove vi è un’altra concentrazione di aziende straniere. Gli scioperanti  prendono  di mira le aziende straniere: il 18 giugno in Chongqing anche gli operai di una fabbrica di birra di proprietà danese, la Carlsberg, hanno incrociato le braccia in segno di protesta.   Sin dagli anni ’90 gli operai cinesi hanno protestato contro le aziende straniere che investivano in Cina approfittando dell’alta disponibilità di manodopera a basso prezzo, specialmente contro Giapponesi, Sudcoreani e Taiwanesi – che hanno investito somme considerevoli in Cina - accusati di sfruttare i lavoratori e di costringerli a lavorare in condizioni inaccettabili, con orari lunghissimi e con pochissime pause.    Ma pare che il fatto che le proteste oggi interessino quasi solo le aziende straniere – soprattutto giapponesi – è principalmente dovuto alla manipolazione dei media, sotto il controllo delle autorità. Infatti le aziende statali non riservano di certo trattamenti migliori agli operai cinesi.   Gli ultimi scioperi, sorti spontaneamente, mettono sotto pressione i sindacati ufficiali (gli unici ammessi per legge), stipendiati dai governi locali o dalle aziende stesse, i quali preferiscono mantenere la calma piuttosto che alimentare scioperi per i diritti dei lavoratori. Le autorità e le aziende statali mostrano preoccupazione per la crescente indipendenza degli operai cinesi. Le aziende private trattano direttamente con gli operai, offrendo aumenti  e incentivi di varia natura. Pechino non vuole perdere la guida della situazione: il governo ha deciso di indurre le province ad alzare il salario minimo per far guadagnare di più gli operai e stimolare i consumi, ma teme che gli accordi privati facciano scappare di mano la situazione. Le autorità cinesi possono tollerare le proteste - e addirittura darne notizia sui media nazionali- a condizione che gli scioperanti agiscano attraverso i sindacati ufficiali.     Il governo sta cercando di ristrutturare la All China Federation of Trade Unions (la Federazione dei Sindacati Cinesi), anche finanziando direttamente i sindacati locali per renderli più autonomi dai governi locali e dalle aziende stesse. Ma ora che gli operai hanno iniziato a prendere decisioni in modo indipendente, difficilmente ritorneranno alla situazione precedente.    Questo rappresenta un rischio per la pianificazione economica: il costo del lavoro potrebbe crescere in Cina più in fretta di quanto previsto dalla politica nazionale, e aumentare ulteriormente lo squilibrio fra il livello di vita delle zone costiere sviluppate e quelle dell’interno.   Significativi mutamenti nel costo del lavoro in Cina si ripercuoterebbero celermente sulla situazione  economica globale. Perciò l’evolversi della situazione cinese è da seguire con grande attenzione.

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.