Uomini comuni
di Christopher Browning

11/07/2010

Browning analizza i verbali degli interrogatori postbellici di 210 uomini che avevano fatto parte del Battaglione 101: 500 poliziotti riservisti (uomini comuni per l’appunto), che fra il 13 luglio 1942 e il 5 novembre 1943 assassinarono una per una circa 38 000 persone in Europa orientale, e parteciparono al rastrellamento e alla deportazione a Treblinka di altri 45 000 Ebrei.

E si chiede: che cosa pensavano, mentre partecipavano alla ‘soluzione finale’? Come giustificavano il proprio comportamento? Perché obbedirono così efficientemente e prontamente agli ordini? La sua risposta è che un uomo comune può diventare uno spietato macellaio dei propri simili per puro spirito di emulazione e desiderio di carriera. I sentimenti più banali e più apparentemente innocui possono essere i motori della più estrema inumanità, in circostanza adatte. E pochissimi sono coloro che scelgono con coscienza, e rifiutano di obbedire.

Il libro di Browning è anche una accurata ricostruzione documentaria degli eccidi di massa e delle deportazioni avvenute in Est Europa in quel periodo, ad opera non soltanto del Battaglione 101, ma anche di altri reparti militari tedeschi. Documenti agghiaccianti – e purtroppo veri.

Lo storico Daniel Goldhagen riesaminò gli stessi documenti deducendone, in volontaria polemica con Browning, che i Tedeschi delle Einsatzgruppern erano mossi da disumanità, da totale insensibilità per le sofferenze altrui, dal desiderio di onnipotenza. Il suo libro apparve nel 1996 col titolo ‘i volonterosi carnefici di Hitler’. Le due tesi non si elidono necessariamente a vicenda, ma si possono integrare per interpretare il processo che ha condotto molti uomini apparentemente davvero comuni a diventare indubitabili carnefici, volonterosi carnefici.

 

Dalla prefazione:

‘In ultima analisi, l’Olocausto fu possibile perché singoli esseri umani uccisero altri esseri umani in gran numero e per un lungo periodo di tempo.’

‘I poliziotti del battaglione che attuarono i massacri e le deportazioni erano esseri umani, esattamente come i pochi che rifiutarono o si sottrassero a tali compiti.’

Il 101 era comandato dal maggiore Willem Trapp, che nel 1942 aveva 53 anni, veterano della prima guerra mondiale. Il battaglione 101 era diviso in 3 compagnie. I comandanti di compagnia erano:

Wolfgang Hoffman, che nel 1942 aveva circa 30 anni, capitano di polizia e anche membro delle SS,

Julius Wohlauf, che nel 1942 aveva 29 anni, anch’egli delle SS, oltre che capitano di polizia.

Il tenente Gnade, il più altro in grado fra i riservisti, dopo Trapp.

I poliziotti semplici, arruolati per il servizio bellico, non poliziotti di carriera, venivano in maggioranza dalla regione di Amburgo, ed erano al 63% di estrazione operaia, al 35% impiegati di basso livello. Avevano un’età media di 39 anni. Soltanto un quarto di loro era iscritto al partito nazista prima della guerra.

 

Estratti da "Uomini comuni", di Christopher Browning

 

Pag. 48:

‘I riservisti del 101 provenivano dunque dagli strati più umili della società tedesca, e non avevano sperimentato alcuna mobilità sociale o geografica. Pochissimi erano economicamente indipendenti. Terminata la scuola dell’obbligo a quattordici anni o quindici anni, quasi nessuno aveva ricevuto un’istruzione superiore, a parte l’apprendistato o l’addestramento professionale. Nel 1942 una percentuale sorprendentemente alta di questi uomini aderì al partito nazista. Non sappiamo quanti, prima del 1933, erano stati comunisti, socialisti o iscritti al sindacato, perché gli inquirenti non hanno registrato queste informazioni; data la provenienza sociale degli uomini, è probabile che un numero non insignificante lo fossero stati. Per età, tutti avevano vissuto gli anni formativi nell’era prenazista. Gran parte di loro provenivano da Amburgo, reputata una delle città meno nazistificate della Germania, e la maggioranza da un classe sociale che era stata antinazista per cultura politica. Questi uomini, dunque, non sembravano essere un gruppo molto promettente per il reclutamento di esecutori al servizio dell’utopia razziale nazista.

Nel 1942 Odilo Globocnik, capo delle polizia e della SS di Lublino, si trovò nella ‘necessità’ di trovare la manodopera necessaria per radunare gli ebrei nei ghetti, deportarli, o sterminarli sul posto là dove non c’era a disposizione la ferrovia. Oltre ai reparti di SS e di altre polizie militari e politiche, ricorse anche all’arruolamento della Ordnungpolizei (ORPO), cioè alla polizia civile. Ricorse anche a ’volontari’ ucraini, lettoni, lituani, reclutati fra i prigionieri di guerra, offrendo loro una via di scampo alla probabile morte per fame.

Questi Hilfwillige o HIWI vennero addestrati dalle SS .

 

Il primo assassinio di massa:

 

Pag. 53.

Il 20 giugno 1942 il battaglione 101 ricevette ordini relativi a una «azione speciale» da svolgere in Polonia. Gli ordini scritti non specificavano altro, ma gli uomini furono indotti a credere che si trattasse di servizi di guardia. Pare che neppure gli ufficiali sospettassero la vera natura dei compiti che li attendevano.

 

Pag. 56.

‘Fu probabilmente l’11 luglio che Globocnik, o qualcuno del suo gruppo, contattò il maggiore Trapp informandolo che i riservisti del Battaglione 101 avevano il compito di rastrellare i 1800 ebrei di Jòzefòw, un villaggio a circa trenta chilometri a sudest di Bilgoraj. Questa volta però gran parte degli ebrei non sarebbe stata trasferita: solo i maschi «abili al lavoro» erano destinati ai campi di Lublino, mentre le donne, i bambini e i vecchi andavano fucilati sul posto.

Pare che l’aiutante di Trapp, il primo tenete Hagen, abbia messo al corrente gli altri ufficiali del battaglione, perché il tenente Heinz Buchmann apprese da lui quella sera i particolari dell’azione.

Buchmann, allora trentottenne, dirigeva ad Amburgo una impresa di legname a conduzione familiare. Aveva aderito al partito nazista nel maggio del 1937 e si era arruolato nell’Ordnungspolizei nel 1939, prestando servizio come autista in Polonia. Nell’estate del 1940 aveva fatto richiesta di congedo, ma invece era stato inviato a un corso di addestramento per ufficiali e, nel novembre del 1941, nominato tenente riservista. Quando seppe dell’imminente massacro, Buchmann disse chiaramente ad Hagen che, in quanto imprenditore di Amburgo e tenente riservista, non avrebbe mai «in nessun caso partecipato a tale azione, nel corso della quale si fucilano donne e bambini indifesi», e chiese un altro incarico. Hagen riuscì ad assegnare a Buchmann il comando della scorta per i maschi ebrei «abili al lavoro» da portare a Lublino. Il comandante della compagnia, Wohlauf, fu informato del compito di Buchmann ma non del motivo per cui gli era stato affidato.

Gli uomini non ricevettero alcuna informazione ufficiale; gli fu solo detto che sarebbero stati svegliati presto per un’importante azione in cui era coinvolto tutto il battaglione.

 

Pag. 57

Il convoglio, partito da Bilgoraj verso le due del mattino, arrivo a Jòzefòw all’alba. Trapp parlò ai poliziotti riuniti a semicerchio intorno a lui e, dopo aver spiegato il macabro compito assegnato al battaglione, fece la sua insolita offerta: chi fra i più anziani non si sentisse all’altezza dell’incarico che lo aspettava, poteva fare un passo avanti. Trapp attese, e dopo qualche istante un uomo della Terza Compagnia, Otto-Julius Schimke, uscì dai ranghi’.

 

Pag. 58. Dopo che Trapp ebbe preso Schimke sotto la sua protezione, altri dieci o dodici uomini fecero un passo avanti, consegnarono i fucili e attesero che il maggiore affidasse loro un altro compito.

 

Pag. 59 ‘Dopo aver diramato gli ordini, Trapp si fermò in paese per gran parte della giornata: si recò nella scuola trasformata in quartier generale, a casa del sindaco polacco o del prete, sulla piazza del mercato o sulla strada verso il bosco, ma non andò mai nel bosco e non assistette alle esecuzioni. La sua assenza non passò inosservata. Un poliziotto disse con acredine: « Il maggiore Trapp non c’era mai, anzi, rimase a Jòzefòw perché evidentemente non sopportava quella vista. Noi uomini eravamo sconvolti e dicevamo che non potevamo sopportarla neppure noi».

In verità, l’angoscia di Trapp non era un segreto per nessuno. Sulla piazza del mercato un poliziotto ricordava di aver sentito il maggiore che esclamava, mettendosi una mano sul cuore: «Oddio, perché mi hanno dato questi ordini?». Un altro lo incontrò nell’edificio della scuola: «Oggi vedo ancora chiaramente davanti a me il maggiore Trapp che cammina avanti e indietro con le mani dietro la schiena. Aveva l’aria abbattuta e mi parlò. Disse qualcosa come “Amico … queste cose non fanno per me. Ma gli ordini sono ordini”». Un altro ancora ricorda chiaramente che «Trapp, finalmente solo nella sua stanza, si sedette su uno sgabello e pianse amaramente. Gli sgorgavano davvero le lacrime». Un quarto testimone lo vide al quartier generale: «Il maggiore Trapp correva avanti e indietro in preda all’agitazione, poi si bloccò davanti a me, mi fissò e mi chiede se ero d’accordo con quanto accadeva. Io lo guardai diritto negli occhi e risposi: “No, signor maggiore!” Allora lui riprese a correre avanti e indietro e a piangere come un bambino». L’aiutante del medico incontrò Trapp in lacrime sulla strada che dalla piazza del mercato portava al bosco, e gli chiese se poteva fare qualcosa per lui. «Ma mi disse solo che tutto era davvero terribile». Qualche tempo dopo, parlando di Jòzefòw. Il maggiore confidò al suo autista: «Poveri noi tedeschi, se questa faccenda degli ebrei sarà un giorno vendicata ».

 

Dalla deposizione del poliziotto  semplice Gustav M: ’ pag. 68 ‘

Non è affatto vero che coloro che non volevano o non potevano uccidere altri esseri umani con le proprie mani non potevano evitarlo. Non c’era alcun controllo serio. Io allora rimasi vicino ai camion che arrivavano e mi tenni occupato in quel punto. O almeno, diedi alla mia attività una tale parvenza. Era inevitabile che questo o quel compagno notasse che non partecipavo alle esecuzioni e non sparavo alle vittime. Per esprimere il loro disgusto mi coprirono di insulti come «faccia di merda» e «smidollato». Ma non subii alcuna conseguenza per le mie azioni. Devo aggiungere che non fui l’unico che si sottrasse alle esecuzioni.

 

Pag. 69:

Walter Niehaus, ex rappresentante delle sigarette Reemtsma, dovette fucilare per prima una donna anziana. «Dopo che l’ebbi uccisa, andai da Toni [Anton] Bentheim [il suo sergente] e gli dissi che non potevo fare altre esecuzioni. Non fui più costretto a continuare… dopo quell’unica fucilazione i miei nervi erano completamente a pezzi».

 

Pag. 71

‘Il sergente Bentheim, che si trovava nel punto in cui i camion scaricavano gli ebrei, vedeva emergere dal bosco uomini coperti di sangue e pezzi di cervello, con il morale a terra e i nervi a pezzi. Egli consigliava a coloro che gli chiedevano di essere sostituiti di «svignarsela» e raggiungere la piazza del mercato. Così il numero di poliziotti radunati sulla piazza continuò ad aumentare.

Coloro che rimasero nel bosco con Drucker e Steinmetz e continuarono a sparare ricevettero delle razioni di alcolici, come gli uomini della Prima Compagnia. All’imbrunire di quel lungo giorno d’estate le esecuzioni divennero ancora più disorganizzate e febbrili, per la fretta di portare a termine il massacro. Il bosco era pieno di cadaveri, tanto che era difficile trovare posto per far sdraiare le vittime. L’oscurità scese verso le nove di sera (circa diciassette ore dopo l’arrivo del battaglione di riservisti alle porte di Jòzefòw); gli uomini, dopo aver ucciso gli ultimi ebrei, tornarono sulla piazza del mercato e si prepararono a partire per Bilgoraj. Non erano stati fatti piani per il seppellimento dei cadaveri, e i corpi degli ebrei furono lasciati nel bosco.

 

Pag. 74:

«Se mi si domanda perché in un primo tempo ho sparato con gli altri, - dichiara un suo compagno, che si fece sostituire dopo parecchie fucilazioni, - devo rispondere che nessuno vuole essere considerato un codardo»; e aggiunge che una cosa è rifiutare di sparare dall’inizio, un’altra è rinunciare dopo aver provato.

 

Pag. 75:

‘Un poliziotto, che ammette di aver ucciso venti ebrei prima di rinunciare, fornisce una descrizione atipica del suo stato d’animo quel mattino del 13 luglio: «Pensavo di poter padroneggiare la situazione, e che senza di me gli ebrei non sarebbero riusciti lo stesso a sfuggire al loro destino … Devo dire sinceramente che allora non riflettemmo su tutto questo. Fu solo diversi anni dopo che ciascuno di noi divenne davvero consapevole di quanto era accaduto … Solo in seguito mi resi conto che non era giusto».

Oltre alla facile scusa secondo cui non partecipare alle fucilazioni non avrebbe in nessun caso cambiato il destino degli ebrei, i poliziotti elaborarono altre giustificazioni del loro comportamento. La più sorprendente è forse quella fornita da un operaio metallurgico di Bremerhaven:

Tentai di uccidere solo bambini, e ci riuscii. Siccome le madri tenevano i bambini per mano, il mio vicino uccideva la madre e io il figlio, perché ragionavo tra me che dopotutto, senza la madre, il figlio non avrebbe più potuto vivere. Il fatto di liberare i bambini che non potevano più vivere senza le madri mi pareva, per così dire, consolante per la mia coscienza. ‘Almeno l’80% degli uomini continuò a sparare finché i 1500 ebrei di Jozefow non furono sterminati’ .

 

Pag. 77:

‘Persino venti o venticinque anni dopo, la stragrande maggioranza degli uomini che si sottrassero alle esecuzioni adduce a motivo del comportamento l’assoluta repulsione fisica per quello che stava facendo, e non si richiama ad alcun principio etico o politico’.

 

Pag. 78.

‘I due uomini che spiegano più dettagliatamente il loro rifiuto sottolineano di essere stati più liberi di comportarsi in quel modo perché non ambivano a salire di grado. Uno di essi accettò i possibili svantaggi che potevano derivargli «perché non ero un poliziotto di carriera né volevo diventarlo; ero un artigiano specializzato indipendente,e a casa avevo un’attività … perciò non era rilevante che non facessi carriera come poliziotto».

Il tenente Buchmann aveva spiegato il suo rifiuto con un motivo etico: come ufficiale riservista e come imprenditore amburghese, non poteva sparare a donne e bambini indifesi. Ma anch’egli, quando gli si chiede di spiegare perché la sua situazione fosse diversa da quella dei colleghi ufficiali, sottolinea l’importanza dell’indipendenza economica:

«Io ero un po’ più vecchio, e poi ero un ufficiale riservista, perciò non era affatto importante per me essere promosso o avanzare di grado, perché avevo una prospera attività a casa. I capi della compagnia … invece erano giovani poliziotti di carriera che volevano diventare qualcuno».

 

Pag. 80:

‘ In breve, per coinvolgere il Battaglione 101 nella campagna di massacri, occorreva alleviare il fardello psicologico che gravava sui poliziotti. Si stabilì dunque una divisione dei compiti: il grosso delle esecuzioni fu demandato al campo di sterminio, e la parte peggiore del «lavoro sporco» da fare sul posto venne affidato agli Hiwi. Questo cambiamento sarebbe bastato a rendere gli uomini del 101 avvezzi ai metodi della «soluzione finale».

Quando fu di nuovo l’ora di uccidere, nessuno divenne «matto»: anzi, un certo numero di poliziotti si trasformarono in esecutori sempre più efficienti e incalliti.

 

Il secondo assassinio di massa.

 

Pag. 81

‘Gli ebrei di Lomazy furono i primi a subire i tragici effetti della collaborazione tra i riservisti del 101 e gli Hiwi, che avevano essenzialmente il compito di fornire i plotoni di esecuzione, per evitare agli uomini del battaglione il travaglio psicologico sperimentato a Jozefow’ (17 agosto 1942).

Lomazy aveva un popolazione di 1700 ebrei. Gli Hiwi sparano dall’alba a sera, completamente ubriachi. I poliziotti del 101 gli danno il cambio ogni tanto…

 

Pag. 87

‘Le esecuzioni terminarono alle 19; gli ebrei che avevano scavato la fossa furono costretti a coprirla, e poi uccisi a loro volta. Il sottile strato di terra deposto sulla fossa stracolma continuava a muoversi’ (dalla deposizione di Bernard S.)

 

I rastrellamenti  dei villaggi  e la deportazione.

Wohlhauf portò la moglie a vedere la deportazione di Miedzyrzec, il 25 agosto 1942. Pag. 97

Quando il convoglio che portava Wohlauf, sua moglie e il grosso della Prima Compagnia giunse a Miedzyrzec (meno di trenta chilometri a nord di Radzyn), l’azione era già cominciata. Si sentivano spari e urla, perché gli Hiwi e la Sicherheitspolizei stavano rastrellando gli ebrei. Wohlauf andò a prendere istruzioni, e i suoi uomini lo aspettarono. Tornò dopo venti-trenta minuti e assegnò i compiti alla compagnia. Alcuni poliziotti vennero mandati in servizio di guardia all’esterno, mentre tutti gli altri si unirono agli Hiwi nell’azione di rastrellamento. Furono impartiti i soliti ordini di fucilare quelli che tentavano di fuggire, i malati, i vecchi e tutti coloro che non potevano raggiungere la stazione ferroviaria situata appena fuori città.

Mentre aspettavano il ritorno di Wohlauf, gli uomini della Prima Compagnia incontrarono un ufficiale della Sicherheitspolizei completamente ubriaco, malgrado fosse mattino presto. Era evidente che anche gli Hiwi avevano bevuto: sparavano così spesso e all’impazzata che i poliziotti dovettero ripetutamente mettersi al riparo per evitare di essere colpiti. Si vedevano «dappertutto cadaveri di ebrei uccisi, in strada e nelle case».

Migliaia di ebrei confluirono nella piazza del mercato, spinti dagli Hiwi e dai poliziotti, e furono costretti a sedersi o ad accovacciarsi per terra, senza permesso di muoversi o di alzarsi. Era un giorno molto caldo di fine agosto, e con il passare delle ore molti prigionieri svennero ed ebbero un collasso. Le violenze e le fucilazioni continuarono anche sulla piazza del mercato. Frau Wohlauf era lì con il suo vestito, senza più la giacca militare addosso perché la temperatura era salita, e osservava gli eventi da vicino.

Verso le due del pomeriggio, gli uomini di guardia all’esterno furono richiamati e dopo un’ora o due iniziò la marcia verso la stazione. Per scortare le migliaia di ebrei vennero impiegati tutti i poliziotti e l’intera squadra Hiwi. Le fucilazioni erano frequenti: chi non stava al passo veniva eliminato e lasciato sul ciglio della strada. La via per la stazione era costellata di cadaveri. L’orrore si scatenò ancora alla fine, quando si trattò di caricare gli ebrei sui vagoni. I riservisti fecero la guardia e stettero a guardare, mentre gli Hiwi e la Sicherheitspolizei ammassavano 120-40 persone per carro. Un poliziotto ricorda: Quando le cose non andavano bene, usavano fruste e fucili. L’operazione fu assolutamente spaventosa. Un urlo disumano si levò da quella povera gente, perché vennero caricati contemporaneamente dieci o venti carri. Il treno merci era terribilmente lungo, non lo si poteva vedere tutto; aveva cinquanta o sessanta vagoni, o forse di più. Quando il vagone era pieno, le porte venivano chiuse e inchiodate.(Heinrich H.)

Gli uomini del Battaglione 101 se ne andarono non appena tutti i carri furono sigillati, senza aspettare che il treno partisse.

Il ghetto di Miedzyrcek venne riempito di nuovo con Ebrei rastrellati dai dintorni, e un altro treno venne riempito il novembre successivo.

 

Pag. 112:

‘Neppure la più efferata violenza poteva supplire alla carenza di vagoni: quando le porte furono sigillate, rimasero a terra circa 150 ebrei, in gran parte donne e bambini. Gnade convocò Drucker e gli ordinò di portare quel gruppo al cimitero. Arrivati davanti all’ingresso, i poliziotti cacciarono via gli «assidui spettatori» e attesero che giungesse il camion con il primo sergente Ostmann, che portava la vodka per il plotone d’esecuzione. Ostmann se la prese con uno dei suoi uomini, che fino ad allora aveva evitato di partecipare ai massacri, e gli disse: «Bevi, Pfeiffer, questa volta tocca a te. Bisogna fucilare le ebree. Finora te ne sei tenuto fuori, ma adesso devi farlo». Nel cimitero fu mandato un plotone d’esecuzione di circa venti poliziotti. Gli ebrei vennero portati dentro in gruppi di venti, prima gli uomini, poi le donne e i bambini; furono fatti sdraiare con la faccia a terra vicino al muro del cimitero, e poi eliminati con un colpo alla nuca. Ciascun poliziotto sparò sette-otto volte. Al cancello del cimitero un ebreo attaccò Drucker con una canna, ma fu subito bloccato. Gli altri prigionieri restarono seduti ad aspettare il loro turno, e non si scomposero neppure dopo l’inizio delle esecuzioni. Un poliziotto che era di guardia ricorda: « Erano molto magri e sembravano mezzi morti di fame».

 

Pag. 133:

‘La crescente insensibilità si manifestava anche nel modo in cui i poliziotti si comportavano tornando da un’azione cruenta. Dopo i fatti di Jòzefòw e le prime esecuzioni di massa, gli uomini erano rientrati in caserma scossi e amareggiati, privi di appetito e desiderosi di non parlare di quanto avevano appena fatto. Ma il susseguirsi dei massacri offuscò quella sensibilità. Un poliziotto ricorda: «A pranzo alcuni compagni si misero a scherzare sui fatti successi durante un’azione. Dai loro racconti potei desumere che tornavano da una fucilazione. Ricordo la particolare grossolanità di uno di essi che diceva: adesso mangiamo “i cervelli degli ebrei ammazzati”». (testimonianza di Adolf Bittner).

Il fatto di convogliare alla morte migliaia di persone, che però vengono fisicamente uccise da altri, toglie ogni senso di colpa agli uomini, che possono raccontare gli orrori come azioni altrui, azioni inevitabili, di cui nessuno porta la colpa.

 

Pag. 147:

dalla testimonianza di Martin Detmold:

Io e il mio gruppo fummo mandati di guardia proprio di fronte alla fossa. Si trattava di una lunga serie di trincee che procedevano a zigzag, larghe circa tre metri e profonde da tre a quattro. Dal mio posto potevo vedere che gli ebrei … erano costretti a spogliarsi nelle ultime baracche e a consegnare tutti i loro averi, poi venivano spinti attraverso il nostro cordone fino alle aperture in pendenza che conducevano alle fosse. Gli uomini dell’SD che stavano sui bordi portavano gli ebrei fino al luogo dell’esecuzione, e qui altri SD armati di mitragliatori li fucilavano sparando dall’alto. Siccome ero capogruppo e potevo muovermi più liberamente, andai una volta fino al luogo dell’esecuzione e vidi che gli ebrei appena arrivati erano costretti a sdraiarsi sui cadaveri di quelli appena eliminati. Poi anche loro venivano uccisi con raffiche di mitragliatore. Gli uomini dell’SD si preoccupavano di sparare agli ebrei in modo che potevano sdraiarsi su pile che raggiungevano i tre metri.

…L’intero procedimento era la cosa più raccapricciante che avessi visto in vita mia, perché potei spesso constatare che dopo una raffica gli ebrei erano solo feriti, e quelli ancora in vita venivano praticamente sepolti vivi sotto i cadaveri di quelli fucilati dopo, senza che ai feriti fosse dato il cosiddetto colpo di grazia. Ricordo che dalle pile di cadaveri feriti maledicevano gli uomini delle SS.

Nel 1944, mentre i Russi avanzavano, il battaglione 101 fece ritorno in Germania. I più ripresero le occupazioni lasciate prima della guerra. Dalla fine del 1962 all’inizio del 1967 si tennero gli interrogatori dei 210 ex poliziotti del battaglione ancora rintracciabili.

Soltanto cinque vennero condannati a pene detentive - e a due di loro le pene vennero sospese per motivi di salute.

Possiamo immaginare che nelle loro vite abbiano ancora provato amore, autostima, dolcezza, serena gioia di godersi una paesaggio, una cena fra amici?

Perché uomini comuni diventarono assassini di massa?

Atrocità sono state commesse in molte altre guerre. La guerra conduce all’abbrutimento, il quale a sua volta genera atrocità. Ma per lo più sono il frutto di un cedimento disciplinare e gerarchico. Non sono una ‘procedura operativa corrente.

1 - Quando le atrocità rappresentano la piena espressione della volontà ufficiale del governo, gli esecutori non sono spinti da uno stato mentale esasperato o esaltato, ma solo dal calcolo.

Dopo il primo massacro, gli uomini (uomini comuni) del battaglione101 divennero sempre più avvezzi alla crudeltà.

La parcellizzazione dei compiti favorisce il distacco fra vittima e aguzzino.

 

Pag. 168:

‘Fra i responsabili dell’Olocausto vi furono infatti molti «assassini da tavolino»: questi individui, assai facilitati dalla natura burocratica della loro partecipazione, avevano spesso compiti limitati nel generale processo di sterminio, ed essi li eseguivano in modo routinario, senza mai vedere le vittime delle loro azioni. Il lavoro parcellizzato, ripetitivo e spersonalizzato del burocrate o dell’esperto – confiscare proprietà, programmare i convogli di deportati, stendere i testi delle leggi, inviare telegrammi o compilare elenchi – poteva essere svolto senza confrontarsi con la realtà delle esecuzioni in massa. Un tale lusso non fu ovviamente riservato agli uomini del 101, che dovettero anzi letteralmente immergersi nel sangue delle vittime uccise a bruciapelo. Nessuno sperimentò la realtà dei massacri più direttamente dei poliziotti nei boschi di Jòzefòw; gli aspetti spersonalizzati del processo burocratico – divisione del lavoro e routine – non fecero dunque parte dell’esperienza iniziale del battaglione.

In seguito, invece, la divisione del lavoro contribuì ad alleviare il peso psicologico delle esecuzioni.

 

Pag. 169:

L’indifferenza dei membri del 101 dopo l’orrore di Jozefow, la loro sensazione di non essere effettivamente partecipi o responsabili delle azioni commesse durante l’evacuazione dei ghetti o i servizi di guardia, sono una chiara testimonianza degli effetti desensibilizzanti indotti dalla divisione del lavoro.

4  -  Il parere di Zygmunt Bauman:

‘Il nazismo era crudele perché i nazisti erano crudel ; e i nazisti erano crudeli perché gli individui crudeli tendevano a diventare nazisti’. Per conformismo. Perché attratti dalla sottocultura della violenza. ‘Dopo la seconda Guerra mondiale, quegli stessi uomini assunsero di nuovo un comportamento rispettoso delle leggi.

 

Pag. 174:

‘Per Bauman l’eccezione – il vero «dormiente» - è l’individuo capace di resistere all’autorità e di affermare la propria autonomia morale; in genere egli non è consapevole di questa sua forza nascosta finché non è messo alla prova.

5  - L’esperimento della prigione, svolto a Stanford da Philip Zimbardo, con 11 guardie.

 

Pag. 175:

Un terzo circa di esse furono «crudeli e dure»: inventarono continuamente nuove forme di tormento, e si compiacquero di quel nuovo potere che gli consentiva di comportarsi in modo feroce e arbitrario. Un più numeroso gruppo di guardie si rivelarono «dure ma giuste»: si «attennero alle regole», ma non arrivarono mai a maltrattare i prigionieri. Solo due individui (meno del 20%) agirono come «guardie buone»: non punirono i prigionieri, e cercarono anche di far loro qualche piccolo favore.

6)  Quanta parte ebbero l’interesse personale e l’ambizione?

I carnefici si difendono sempre dicendo che ‘gli ordini erano ordini’, non ci si poteva sottrarre. Eppure quelli che si sottrassero non ne ebbero conseguenze fisiche personali: furono rimossi, non fecero carriera, ma non furono né uccisi né imprigionati.

7)  Secondo il sociologo Stanley Milgram, ‘chi entra, in modo apparentemente volontario, in un sistema ‘percepito’ come legittimo, si sente fortemente obbligato.

 

Pag. 180

I concetti di «lealtà, dovere, disciplina», che richiedono una prestazione competente di fronte all’autorità, diventano imperativi morali che travalicano qualsiasi identificazione con la vittima. Gli individui normali si trasformano dunque negli strumenti del volere altrui. Essi non si sentono più personalmente responsabili del contenuto delle loro azioni, ma solo del modo in cui le eseguono.

8)   L’educazione alla solidarietà con il proprio gruppo.

Il governo tedesco teneva lezioni a tutti gli arruolati per indottrinarli ideologicamente al razzismo e all’odio per gli Ebrei, e chiedeva poi agli ufficiali di radunare ogni settimana gli uomini per 30-45 minuti.

 

Pag. 186

‘per leggere loro qualche pagina edificante tratta da libri consigliati, o da appositi opuscoli delle SS; si sarebbero dovuti scegliere alcuni temi – lealtà,cameratismo, spirito di offesa – particolarmente adatti a esprimere gli scopi educativi del nazionalsocialismo; infine; ogni mese si sarebbero tenute delle sessioni sui temi più importanti del momento, alle quali avrebbero partecipato ufficiali ed esperti delle SS e del partito.

Ma durante la prima strage quasi tutti i poliziotti si sentirono male, ebbero incubi, erano inorriditi e disgustati. Eppure l’80-90% degli uomini si risolsero a uccidere. Per loro era più facile uccidere che uscire dai ranghi e fare un passo avanti, cioè adottare apertamente un comportamento non conformista’‘ (pag. 193)’.’

 

pagina. 193:

Fare un passo avanti significava lasciare il «lavoro sporco» ai compagni. Ma il battaglione era costretto a eseguire gli ordini: rifiutare di uccidere significava dunque rifiutare di condividere una sgradevole incombenza collettiva, e appariva come un atto asociale nei confronti dei compagni. Coloro che dichiaravano di non voler partecipare ai massacri rischiavano l’isolamento, il rifiuto e l’esclusione: una prospettiva assai sgradevole per chi, inserito in un’unità chiusa, di stanza al’estero tra una popolazione ostile, non poteva volgersi altrove per trovare appoggio e contatti sociali.

La minaccia dell’isolamento era rafforzata dal timore che fare un passo avanti potesse essere interpretato come un scorta di rimprovero morale ai compagni: colui che rifiutava di uccidere sembrava implicitamente affermare che egli era «troppo buono» per fare certe cose. Perciò molti cercarono intuitivamente di divulgare la critica che gli altri espressero sul loro conto: non uccisero non perché erano «troppo buoni», ma perché erano «troppo deboli».

Riconoscersi deboli è un atteggiamento che non intacca la stima verso i compagni; anzi, legittima la «forza» e la eleva a qualità superiore.

 

pag. 194

‘In modo subdolo, i renitenti riaffermano dunque i valori della maggioranza – considerando cioè la «forza» di massacrare uomini, donne e bambini inermi come una qualità positiva – e non cercano di recidere i legami di cameratismo che costituiscono il loro mondo sociale. La necessità di conciliare i dettami della coscienza e le norme del battaglione produsse molti contorti tentativi di compromesso: si spiegano così le decisioni di non uccidere i bambini sul posto ma di condurli con gli adulti al punto di raccolta; di nono sparare se nella pattuglia non c’erano «spioni» che potessero riferire ai superiori; di portare gli ebrei sul luogo dell’esecuzione ma poi sbagliare apposta la mira. Per conto, solo pochissimi rimasero indifferente alle accuse di «debolezza» dei compagni, e accettarono di convivere con il fatto di essere considerati «non uomini».

 

Conclusione:

pag. 198.

‘Ci sono molte società afflitte da tradizioni di razzismo e ossessionate dalla mentalità o dalla minaccia di guerra; ovunque la società spinge gli individui a rispettare e a ossequiare l’autorità, ed è difficile che funzioni altrimenti; ovunque le persone aspirano a un avanzamento di carriera. In ogni società moderna, la complessità della vita, con la burocratizzazione e la specializzazione che ne conseguono, attenuano il senso di responsabilità personale di coloro che realizzano le direttive ufficiali. All’interno di ogni collettività sociale, il gruppo di riferimento esercita pressioni spaventose sul comportamento e stabilisce le norme morali. Se in circostanze analoghe gli uomini del 101 divennero assassini, quale gruppo umano può reputarsi immune da un tale rischio?

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