Siria: il regime non cede

04/04/2011

Nonostante le continue proteste in Siria, il regime non sembra disposto a concedere riforme che potrebbero dare maggiore coraggio alle opposizioni.

Il 30 marzo 2011 il presidente Bashar al Assad ha tenuto un discorso al parlamento annunciando una serie di future riforme politiche – fra cui la cancellazione dello ‘stato di emergenza’, in vigore dal 1963 – ma ha evitato di parlare di altre riforme affermando che ‘sicurezza e stabilità’ vengono al primo posto e aggiungendo poi che dietro alle attuali proteste si celano le potenze straniere ‘intenzionate a fomentare il caos nella regione’.

Il regime alawita siriano si trova alle prese con problemi demografici ed economici gravissimi: le proteste a Daraa, duramente represse nel sangue, non sono cessate. Inoltre le manifestazioni presto si sono estese ad altre aree del paese (Damasco, Latakia, Homs, Hama e Kashmili) ma la Fratellanza Musulmana per ora ha evitato di unirsi alla rivolta, ancora memore del massacro di Hama del 1982.

Per muoversi i Fratelli Musulmani vorrebbero probabilmente avere garanzie dall’Occidente, che non avranno. Dall’inizio della campagna di Libia l’amministrazione americana ha fatto molta attenzione a distinguere fra intervento ‘umanitario’ e intervento ‘militare’, dichiarando che per ora il livello di repressione in Siria non ha ancora raggiunto un livello critico. Washington non ha intenzione di fare guerra alla Siria sia perché le probabilità di successo sono scarse sia perché neppure Israele sarebbe favorevole. Con tutti i suoi difetti, il regime di Assad è prevedibile, e Gerusalemme teme che possano andare al potere gruppi islamisti molto più pericolosi.

Per evitare l’intervento dell’Occidente, la Siria ha chiesto aiuto alla Turchia: Ankara negli ultimi anni ha condotto una politica più assertiva in Medio Oriente, organizzando anche i negoziati fra Siria e Stati Uniti, e probabilmente aiuterà Damasco perché non ha intenzione di veder un nuovo conflitto sul confine meridionale. I Turchi hanno incoraggiato la Siria a concedere nuove riforme e a esercitare maggiore pressione sui gruppi radicali palestinesi perché diminuiscano la violenza contro Israele.

La crisi è tutt’altro che finita, e ci si aspetta un aumento delle proteste, anche perché Assad ha rifiutato di offrire concessioni. I servizi segreti siriani sono molto efficienti e cercheranno di domare la rivolta prima che diventi ingestibile.

 
Breve storia della Siria

Sin da quando la Francia creò la Siria come stato artificiale, senza alcuna pubblica legittimazione popolare, il paese è sempre stato diviso lungo linee religiose (musulmani, cristiani, drusi, alawiti), etniche (arabi, curdi, armeni), confessionali (sunniti, sciiti,cristiani) e tribali. Il governo ha cercato di creare una coscienza nazionale in modo da unire tutti i gruppi sotto un unico ombrello e sviluppare un senso di lealtà fra i cittadini, ma con scarso successo.

I media e il sistema scolastico, entrambi sotto il controllo del governo, sono i veicoli del nuovo nazionalismo. Sin da quando Hafez al-Assad prese il potere nel novembre 1970 i media non hanno fatto altro che mostrare venerazione e creare intorno a lui un clima di adulazione e legittima accettazione. Anche oggi le statue di Hafez al-Assad riempiono le piazze siriane. Ciò malgrado, più aumenta la propaganda del governo, più cresce il malcontento della popolazione.

Gli Alawiti, gruppo al quale appartiene il presidente, sono percepiti come infedeli e idolatri, perciò non soltanto non avrebbero diritto a governare, ma la loro stessa vita è minacciata dalla legge islamica, che stabilisce per loro la conversione o la morte. Tra il 1976 e il 1982 i Fratelli Musulmani cercarono di spodestare il presidente che, con un atto tipicamente mediorientale, li fece massacrare tutti. Da allora la Siria ha vissuto tranquillamente, ma a causa della paura, non del consenso.

La maggior parte della popolazione percepisce lo stato come una macchina repressiva che elargisce favori economici a corrotti capi-clan in cambio della loro lealtà. La corruzione drena la maggior parte delle risorse dello stato, che di conseguenza non ha i mezzi per costruire le infrastrutture necessarie allo sviluppo e favorire la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro.

La Siria ha un tasso di disoccupazione altissimo: negli ultimi anni centinaia di migliaia di contadini sono stati spinti dalla povertà ad abbandonare le loro case e spostarsi nelle città alla ricerca di un impiego.

Per rimanere al potere i gruppi dominanti usano non meno di undici organismi di sicurezza che si controllano l’un l’altro, in modo che nessuno possa scalzarli. Molti cittadini hanno sperimentato sulla propria pelle il pugno  di ferro di queste organizzazioni, molto temute dalla popolazione. Ma da quando i movimenti di liberazione araba hanno iniziato a far vacillare presidenti e regimi, anche in Siria si verificano eventi analoghi.

Assad ha ragione quando afferma che la Siria non è né la Tunisia né tantomeno l’Egitto: il regime agirà con determinazione per restare in sella, anche perché se perdesse verrebbe massacrato insieme ai suoi seguaci Alawi dalla maggioranza musulmana.

Si è scritto che la Siria ha inviato aiuti per sostenere Gheddafi contro i suoi nemici, perché la sua caduta potrebbe avere una ricaduta negativa sulla stabilità del regime siriano.

Una cosa è certa: sia gli ayatollah in Iran sia Nasrallah in Libano sono molto preoccupati di quanto accade in Siria, perché se intervenisse l’Occidente la triplice alleanza fra regime siriano, Iran ed Hezbollah si frantumerebbe.

 

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