Cina la fine della 'dinastia' Deng

20/04/2011

Liberamente tratto da un saggio di Matthew Gertken e Jennifer Richmond, pubblicato su Stratfor il 19 aprile 2011.

Negli ultimi mesi è salita la tensione a Pechino, tant’è che il governo ha lanciato la più dura campagna repressiva nei confronti di blogger, giornalisti e artisti dai tempi di Tien an Men nel 1989. Le proteste esplose nel paese sono state duramente schiacciate. Quello che più stupisce non è tanto il diffondersi di nuove proteste, ma la brutalità con cui ha reagito il governo cinese.

Nel frattempo l’economia cinese ha continuato a crescere vertiginosamente grazie alla massa di denaro pompata nell’economia dalle banche statali – in barba ai proclami del governo che ha più volte annunciato di voler rallentare la crescita per domare l’inflazione! Le modeste iniziative del governo per ridurre l’inflazione hanno incontrato l’opposizione di aziende statali e governatori locali, che traggono notevoli benefici dalla rapida crescita economica.

Il governo non ha scelta, dovrà necessariamente affrontare l’emergenza inflazione per sgonfiare le bolle speculative, facendo però attenzione a evitare la recessione e l’aumento del malcontento sociale.

Tutto questo avviene in un periodo di transizione dalla quarta alla quinta generazione di leader comunisti. La delicata fase di transizione ha messo in luce le divergenze sulle scelte da adottare, complicando gli sforzi volti all’introduzione di una politica economica e sociale chiara e determinata. Il Partito Comunista Cinese (PCC) sa che trasformando radicalmente il modello economico cinese potrebbe anche perdere la leadership del paese.

Il modello di Deng

Il leader Deng Xiaoping è famoso per aver rilanciato la Cina dopo la tragica esperienza della Rivoluzione Culturale e per aver avviato il paese sulla via della modernità grazie all’apertura verso l’esterno. Il modello di Deng si basa su tre pilastri:

1)    Pragmatismo economico: introduzione di incentivi di tipo capitalista all’interno e apertura della Cina al  commercio internazionale. Le misure introdotte da Deng favorirono il boom economico e l’occupazione, mettendo fine alle terribili penurie della decade precedente. In questo periodo il PCC divenne sinonimo di sviluppo economico piuttosto che di zelo ideologico o di lotta di classe.

2)    Una politica estera di cooperazione economica e basso profilo ideologico – specialmente con gli Stati Uniti d’America. Deng sosteneva la necessità di mantenere un atteggiamento accomodante con tutti per stringere legami economici a 360 gradi.

3)    La supremazia del Partito Comunista Cinese all’interno: questo principio venne definitivamente sancito dopo Tien an Men, quando il partito - dopo una lunga lotta intestina - scelse la via della repressione. L’ Esercito Popolare di Liberazione e la  Milizia del Popolo divennero il ‘grande muro d’acciaio’ pronto a difendere il partito dall’insurrezione popolare.

Con piccole modifiche il modello di Deng ha retto per oltre trent’anni. Il leader cinese aveva anche preparato il progetto per la propria successione: Jiang Zemin e l’attuale presidente Hu Jintao. Le politiche di Hu non sono mutate rispetto ai principi di Deng: anche dopo la crisi economica il governo ha continuato a puntare sulle esportazioni e sugli investimenti esteri come in passato. I tentativi di aumentare i consumi delle famiglie sono però falliti, l’economia è sbilanciata e l’interno della Cina è tuttora molto povero .

Le nuove sfide

Negli ultimi anni i cambiamenti nel sistema internazionale e all’interno della stessa Cina hanno posto nuove sfide.

La crisi globale ha causato il crollo della domanda internazionale. Ora l’aumento del costo del lavoro e delle materie prime sta diminuendo la competitività internazionale  dell’economia cinese. Il governo tenta di aumentare il livello dei consumi delle famiglie, ma  questa politica rischia anche ripercussioni negative: se i consumi non crescono a sufficienza, ci sarà un rallentamento della crescita con conseguente aumento della disoccupazione e delle differenze sociali fra le diverse regioni e fra le diverse componenti della società cinese.

Nell’ultimo periodo sono emersi nuovi movimenti che vogliono rilanciare l’identità politica del partito liberandosi dell’immagine del PCC come agente di sola  prosperità economica. La fazione di Hu, legata alla Lega dei Giovani Comunisti, crede nella redistribuzione della ricchezza e nella centralità del partito. Sul versante opposto Bo Xi Lai, segretario del Partito nel Chongqing – un ‘principino’, come sono definiti i discendenti di famosi rivoluzionari comunisti che ottengono posti di prestigio nell’amministrazione del paese e del partito – ha saputo distinguersi per la lotta contro il crimine organizzato e la corruzione. Bo è un nostalgico e per questo ha insistito per la reintroduzione dei canti rivoluzionari e l’apertura di un ‘microblog rosso’ su internet – molto apprezzato dalla popolazione.

Per quanto riguarda la politica estera, anche a causa del crescente nazionalismo cinese, l’esercito negli ultimi anni ha alzato i toni assumendo un atteggiamento più rigido verso i rivali regionali – come dimostra il comportamento più assertivo nelle dispute territoriali e nella difesa di alleati come Corea del Nord, Iran, Pakistan e Myanmar. Ora che la Cina è sempre più dipendente dalle materie prime provenienti dall’estero, l’esercito è visto come il guardiano degli interessi cinesi a livello internazionale, capace di condizionare le scelte politiche in patria.

Infine è sempre più difficile evitare riforme politiche. La disparità di ricchezza e  di servizi a disposizione delle diverse classi sociali e delle varie regioni del paese alimenta un crescente malcontento contro il potere arbitrario, la corruzione e l’inefficienza. Di tanto in tanto il malcontento sfocia nella violenza. Il tessuto sociale è sfaldato e i vertici temono l’insorgere di nuove rivolte. Allo stesso tempo il maggior tasso di scolarizzazione, l’aumento degli stipendi, la nascita dei movimenti e l’uso della tecnologia informatica permettono  nuove e più efficaci forme di lotta.

Il premier Wen Jia Bao ha riconosciuto recentemente la necessità di avviare riforme politiche, ma si è espresso in modo  ambiguo, come se intendesse  soltanto compiacere l’opinione pubblica.

Contenere il rischio

La Cina ha seguito o stesso modello di sviluppo negli ultimi trent’anni: il piano quinquennale 2011-15 prevede di nuovo una massiccia espansione del credito – usando i risparmi dei cittadini – per costruire grandi infrastrutture e ammodernare la tecnologia industriale e  incrementare l’export.

Negli ultimi giorni i leader cinesi sembrano anche tornati ad atteggiamenti più miti degli anni scorsi in politica estera, con  soddisfazione degli USA. E la recente ondata di repressione mostra che il PCC non sembra disposto a rinunciare alla leadership.

Il rischio 2012

In questa fase di transizione le tensioni interne al partito stanno aumentando, e si ripercuotono sulla società – come dimostra l’aumento della repressione contro gli oppositori politici. Il governo è costantemente alla ricerca di un equilibrio fra le varie fazioni: non a caso le politiche varate negli ultimi mesi sono costantemente soggette a correzioni per evitare di sbilanciarsi troppo a favore dell’uno o dell’altro ‘sfidante’.

Hu lascerà il paese con problemi totalmente diversi da quelli di 30 anni fa: l’inflazione, la necessità di trovare un equilibrio in politica estera senza subire umiliazioni e l’aumento del malcontento popolare. Ovviamente cercherà di fare il possibile per salvare la situazione nell’ultimo anno di governo, ma non avendo né il prestigio né la lungimiranza di Deng Xiaoping, non avrà vita facile. Peraltro non esiste un piano per la successione: Hu è l’ultimo leader scelto e nominato da Deng.

Il PCC si trova di fronte a una crisi esistenziale, e non ha molte strade da scegliere:

1) può continuare a rimandare gli appuntamenti con le riforme, aumentando i rischi futuri;

2) può davvero introdurre le riforme economiche e politiche di cui necessita il paese, con il rischio di perdere il potere;

3) può sacrificare il futuro economico del paese per mantenere il potere e garantire sicurezza all’interno.

Occorre aspettare ancora un anno per avere un quadro più chiaro e capire che direzione sceglierà la futura dirigenza cinese.

A cura di Davide Meinero

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