I confini di Israele e la sua sicurezza

01/06/2011

Liberamente tratto da un articolo di George Friedman per Strategic Forecast, 30 maggio 2011

 

Il ritorno ai confini del 1967 avrebbe davvero ripercussioni negative per la sicurezza di Israele? Innanzi tutto è importante capire che per ‘confini del 1967’ si intendono le linee d’armistizio del 1949 con la Giordania (che occupava la Cisgiordania), con l’Egitto (che aveva occupato il Sinai e Gaza), con la Siria e con il Libano.  

I confini del 1949 non eliminavano i pericoli strategici alla sopravvivenza di Israele: le truppe giordane circondavano Gerusalemme su tre lati e potevano facilmente bombardare con l’artiglieria il corridoio fra Tel Aviv e Gerusalemme. Ma il principale pericolo per Israele non proveniva dalla Giordania, che aveva forze limitate e una monarchia hascemita in tensione perenne con la maggioranza palestinese. I confini del 1949 ponevano un problema strategico a Israele: se Egitto, Giordania e Siria avessero lanciato un attacco simultaneo, magari con l’aiuto di altri eserciti della regione (es. Iraq), la sopravvivenza stessa dello stato ebraico sarebbe stata a rischio.

Dal 1948 al 1967 il pericolo non si presentò sia per le divisioni interne ai paesi arabi, sia perché Israele era in grado di cogliere subito movimenti di truppe sui confini, grazie agli efficienti servizi segreti, e reagire immediatamente, prima che qualunque coalizione potesse iniziare ad agire in modo coordinato.   

Ma la situazione cambiò nel 1967. Per prevenire un attacco congiunto di Egitto, Siria e Giordania, Israele nel 1967 decise di lanciare un attacco preventivo per mandare in fumo i piani dei nemici e colpirli in successione uno dopo l’altro prima che potessero agire in forze e in modo congiunto.

Allora Israele ebbe successo grazie a una strategia basata su cinque punti fermi:

1.    non permettere ai nemici di prendere l’iniziativa,  ma attaccare per primi;

2.    considerare che una situazione difficile per Israele avrebbe potuto cambiare l’atteggiamento dei vicini. Esempio: se Israele fosse stato sconfitto la Giordania avrebbe potuto riposizionarsi nel mondo arabo attaccando a sua volta, per trarre vantaggio dalla nuova realtà sul terreno, anche se all’inizio si fosse mantenuta neutrale;

3.    il maggiore pericolo viene sempre dall’Egitto, che possiede un esercito forte e organizzato; per questo qualsiasi attacco preventivo deve dapprima colpire e vincere l’Egitto e poi gli altri vicini;

4.    è sempre necessario mantenere la superiorità militare e tecnologica nella regione;

5.    Israele non può permettersi guerre di attrito contro eserciti forti e resistenti, perciò l’attacco preventivo deve essere decisivo.

Dopo la Guerra del 1967 Israele occupò il Sinai, tutta Gerusalemme, la Cisgiordania e le alture del Golan.

Nel 1973 Siria ed Egitto si allearono per attaccare Israele, che non fu in grado di capire la portata  delle informazioni di intelligence che stava ricevendo. Allora Gerusalemme si salvò grazie agli aiuti militari americani, e grazie alla profondità strategica che aveva acquisito durante il precedente conflitto. L’attacco egiziano fu bloccato lontano dal cuore di Israele, nel Sinai occidentale, e i Siriani vennero fermati sulle alture del Golan prima che raggiungessero la Galilea. Se Israele fosse stato rinchiuso nei confini del 1949, non avrebbe avuto spazio per arretrare e riposizionarsi per il contrattacco. Grazie alla profondità strategica acquisita nel 1967 i nemici non riuscirono a raggiungere il cuore economico di Israele. Dopo aver fermato gli attacchi, Israele si riorganizzò per sconfiggere i Siriani nel Golan e gli Egiziani nel Sinai, ma non ci sarebbe riuscito senza i rifornimenti di aerei e  di munizioni da parte americana.

Ovviamente in questo frangente vennero alla luce le debolezze di Israele, in primis la sua dipendenza dall’estero per quanto riguarda l’approvvigionamento di armi e munizioni. Infatti Gerusalemme non aveva calcolato bene la quantità di armi che servivano per combattere una guerra contro i vicini – che fu molto più alta di quanto stimato dai vertici israeliani. Allora gli Stati Uniti, proprio per il ruolo che avevano svolto durante la guerra, dopo la guerra costrinsero Israele a lasciare il Sinai all’Egitto, trasformando una vittoria sul terreno in una ritirata.

Ovviamente quando parliamo dei confini di Israele dobbiamo ragionare non soltanto nei termini di una guerra convenzionale ma anche di guerre non convenzionali – ad esempio attacchi con armi chimiche, batteriologiche, radiologiche e anche nucleari. Ci sono tante guerre ‘asimmetriche’ nel mondo, e Israele ne ha una grande esperienza: intifada, lanci di razzi da Gaza, azioni di guerriglia di Hezbollah in Libano, etc. Da questo punto di vista spostare i confini potrebbe significare maggiore pericolo: se nascesse uno stato palestinese, la possibilità di lanci di attacchi contro il ‘cuore ’ di Israele sarebbe ancora più concreta, se Hamas non rinunciasse alle sue posizioni fieramente anti-israeliane. Questa è la ragione per cui Israele non vuole ritornare ai confini pre-1967.

Non vi sono confini (ante o post 1967) che possano proteggere Israele da un attacco non convenzionale, soprattutto perché essendo così piccolo è estremamente vulnerabile. Una testata atomica o batterica inserita su un missile balistico a medio raggio iraniano, lanciato da migliaia di km di distanza, causerebbe danni irreparabili in ogni caso.

Se invece parliamo di guerra tradizionale, il principale problema di Israele è che la sua sicurezza dipende dall’alleanza con una grande potenza internazionale – al momento gli USA. Se gli interessi statunitensi non coincidessero più con quelli di Israele, la sua sopravvivenza sarebbe a rischio. Privo di un’industria bellica capace di produrre tutte le munizioni e i mezzi militari di cui ha bisogno, Israele non ha altra scelta che accettare le scelte del suo alleato. E se per continuare ad avere la protezione degli USA Israele dovrà ritornare ai confini del 1949 (anche se vengono chiamati confini del 67), non potrà fare altro che piegarsi alle richieste di Washington.  

Israele ha ottime motivazioni per rifiutarsi di tornare ai confini del 1949ma in termini prettamente militari la situazione non cambierebbe molto. La profondità strategica infatti è soltanto uno degli elementi di una strategia militare; dato che la sicurezza di Israele dipende soprattutto dall’alleanza con gli USA, è prevedibile che i vertici militari ne tengano conto nel consigliare il proprio governo. La questione dei confini deve riconciliare gli interessi nazionali con le esigenze legate alla sicurezza. A tale scopo Israele deve cercare frontiere che forniscano un territorio compatto, coeso, all’interno del quale le forze ed i rifornimenti possano essere spostati con grande rapidità, e rapporti diplomatici che rendano non plausibile un attacco contemporaneo su più fronti da parte dei vicini coalizzati.

Tutta la pianificazione militare dovrebbe sempre tener conto del peggiore degli scenari possibili, e lo scenario peggiore per Israele sarebbe un attacco arabo da più parti al confine, e il contemporaneo rifiuto di aiuti militari USA. Questo è la scenario che Israele deve riuscire ad evitare.

 

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