La crisi dell'Euro
e dell'Europa

18/07/2011

Ora che la sfiducia nei debiti sovrani ha raggiunto l’Italia, gli Europei devono ripensare tutto il programma di salvataggio di banche e stati. Non è difficile capire perché ci sia sfiducia verso l’Italia: abbiamo il più alto debito pubblico d’Europa dopo la Grecia - circa il 120% del PIL - pari a circa due trilioni di euro, ovvero più dell’ammontare dei debiti di Irlanda, Portogallo e Grecia messi insieme. A differenza di Grecia e Irlanda però il sistema bancario italiano è solido, anche grazie alla forte propensione storica al risparmio degli Italiani: solo il 50% del debito è nelle mani di investitori esteri, l’altro 50% è nelle banche italiane.

Sono passati 16 mesi dal primo salvataggio della Grecia, ed è ormai evidente che la crisi non riguarda soltanto qualche stato periferico, ma anche alcuni degli stati più forti. Fino a quando non esisterà un’entità federale con poteri politici e fiscali (gli Stati Uniti d’Europa), la crisi non potrà che acuirsi: è soltanto questione di mesi prima che anche Belgio, Austria e Spagna si ritrovino sull’orlo del fallimento.

La gestione delle crisi minori alla periferia d’Europa è possibile, ma non è possibile gestire caso per caso l’instabilità finanziaria di paesi che hanno un PIL annuo di trilioni di euro. Ora che la fiducia nell’Euro – durata fino all’anno scorso – è svanita, il rischio di disintegrazione dell’eurozona si fa concreto se non si verifica una delle tre seguenti opzioni:

1)    che i paesi economicamente più forti del Nord Europa –  dunque la Germania – sovvenzionino i paesi in difficoltà del Sud Europa per mantenere l’equilibrio. Ma è stato calcolato che occorrerebbe trasferire un cifra pari a un trilione di euro ogni anno, importo decisamente difficile da far digerire all’elettorato tedesco!

2)    L’emissione di obbligazioni europee: attualmente il mercato non ha fiducia nelle obbligazioni di paesi che potrebbero fallire, come Grecia e Portogallo. Se l’UE  emettesse obbligazioni garantite da tutta l’UE per sostenere tutti i debiti sovrani dell’Eurozona ogni paese tornerebbe a potersi finanziare allo stesso tasso di interesse (ora la Grecia deve pagare almeno il 13% annuo sulle obbligazioni che emette, se vuole trovare investitori). L’intera UE sarebbe responsabile del debito pubblico di tutti i paesi europei; perciò alla fine sarebbero sempre i paesi  economicamente più forti – in primis la Germania – a dover pagare il conto più salato coprendo il debito dei paesi insolventi; il problema sarebbe ritardato rispetto alla prima ipotesi, ma il costo ricadrebbe sempre sulla spalle della Germania.

3)    La stampa di nuovo denaro per comperare il debito pubblico direttamente attraverso la BCE, o un prestito della BCE erogato con il preciso compito di acquistare debito pubblico.  Si tratta di un’opzione che ha molti sostenitori in questo periodo, dato che permetterebbe di rimandare nel tempo lo scoppio dei problemi economici e politici dell’Unione. Tuttavia ha un costo: l’inflazione. L’Europa è già sottoposta a a pressioni inflazionistiche dalla dipendenza energetica, quindi una scelta di questo tipo sarebbe pericolosa.

Per capire come si è arrivati a questa situazione  occorre considerare la storia della costruzione dell’Unione Europea e dell’Eurozona, che George Soros ha riassunto in un recente articolo (tradotto in italiano qui) .

La storia dell’Unione Europea è fondamentalmente la storia di come la Germania è stata imbrigliata nelle istituzioni e negli interessi europei nel dopoguerra, fino alla sua riunificazione, per evitare che si potessero ricreare le condizioni per una nuova guerra fra Europei.

‘’La Germania capì – scrive Soros - che la riunificazione sarebbe stata realizzata solo a fronte di una maggiore unificazione europea e fu disposta a pagarne il prezzo. Con i tedeschi pronti a riconciliare gli interessi nazionali contrastanti, mettendo in campo un piccolo extra, il processo di integrazione europea raggiunse il suo apogeo con il Trattato di Maastricht e l’introduzione dell’euro. La moneta europea era però incompleta: disponeva di una banca centrale ma non di un ufficio di tesoreria. I suoi fautori erano pienamente consapevoli di tale lacuna, ma credevano che in caso di necessità la volontà politica avrebbe potuto essere invocata per introdurre eventuali aggiustamenti.’ […]

“Con la riunificazione della Germania, il principale impeto alla base del processo di integrazione svanì, e la crisi finanziaria (quella del 2008, originatasi negli USA) scatenò un processo di disintegrazione. Il momento decisivo arrivò con il crack di Lehman Brothers, quando le autorità (statali) dovettero garantire che nessun altro istituto finanziario di importanza sistemica sarebbe stato lasciato fallire. La cancelliera tedesca Angela Merkel si oppose a una garanzia congiunta a livello europeo; ogni paese avrebbe dovuto prendersi cura dei propri debiti. Questa fu una delle cause scatenanti dell’odierna crisi europea. La crisi finanziaria spinse gli stati sovrani a sostituire il proprio credito al credito privato che era collassato, e in Europa ogni stato dovette attuare tale manovra per conto proprio, mettendo in discussione l’affidabilità creditizia dei titoli di stato europei. I premi sul rischio aumentarono, e l’Eurozona si divise tra paesi creditori e paesi debitori. La Germania passò da principale motore di integrazione a massimo oppositore di una ‘unione dei trasferimenti’. Questa situazione ha creato un’Europa a due velocità, con i paesi debitori schiacciati dal peso dei debiti e i paesi in surplus in costante progresso. In veste di maggiore creditore, la Germania ha potuto dettare i termini per l’assistenza, cioè stabilire regole punitive, che hanno spinto i paesi debitori verso l’insolvenza. Frattanto la Germania ha tratto beneficio dalla crisi europea, che ha indebolito il tasso di cambio e incentivato ulteriormente la sua competitività.”

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