Opportunità per i Jihadisti in Siria

21/02/2012

16 febbraio 2012

In un video di otto minuti intitolato "In guardia, leoni di Siria", diffuso via internet il 12 febbraio, Ayman al-Zawahiri, capo di al Quaeda, si è schierato a favore dei ribelli in Siria, e ha rincarato la dose invitando i mussulmani di Turchia, Iraq, Libano e Giordania ad aiutare i ribelli siriani che combattono il regime di Damasco. Pochi giorni prima l’intelligence americana aveva rivelato che una cellula jihadista irachena aveva lanciato due attacchi contro i servizi segreti siriani a Damasco, e anche il viceministro degli interni iracheno Adnan al-Assadi ha confermato che jihadisti iracheni stanno muovendo truppe e armi ai confini con la Siria.

Al Qaeda ha sempre tentato di rovesciare i governi arabi per creare il califfato universale, e ha condotto attacchi terroristici per provocare l'intervento USA nella regione nella speranza che il risentimento contro l’occupazione causasse una rivolta capace di portare al potere i jihadisti. Questa previsione si è rivelata errata e i jihadisti sono al momento una forza marginale nel mondo arabo. Ora al Qaeda tenta di riconquistarsi spazio grazie alla Siria.

I jihadisti e le rivolte del Medio Oriente

Le rivolte nei paesi arabi e il rafforzarsi degli islamisti tramite elezioni in Egitto e Tunisia hanno mostrato l'irrilevanza dei jihadisti per le società del mondo islamico.

I jihadisti tentano di sfruttare i vuoti di potere creati da altre forze per andare al potere – come in Iraq dopo la sconfitta di Saddam Hussein. In Iraq, però, la maggioranza sciita si oppose e ostacolò i jihadisti, e anche i Sunniti ben presto abbandonarono al Qaeda per allearsi agli USA. Ora tutti questi gruppi jihadisti potrebbero trovare rifugio in Libia, dove nell’ultimo periodo si è registrato l’aumento di milizie islamiste e jihadiste.

Considerata la posizione strategica della Siria, un’eventuale crollo del regime potrebbe sfociare in un conflitto regionale. Per questo sono in molti nella regione a opporsi a un intervento militare. I jihadisti hanno ampio spazio di manovra in Siria; la loro presenza è particolarmente massiccia sul confine iracheno, e di lì si riversano in Siria. La frammentazione dei ribelli  avvantaggia i jihadisti: molti siriani sunniti sarebbero disposti a sostenerli.

Altri jihadisti  sono in Libano e in Giordania. Anche in Arabia Saudita ci sono militanti estremisti indignati per le uccisioni di sunniti da parte del regime ‘infedele’ alawita.  Riyadh potrebbe incoraggiarli ora ad andare a combattere in Siria – così come fece  in un primo tempo in Iraq. I governi arabi non vedono di buon occhio un intervento militare straniero,  preferiscono l’appoggio segreto attraverso forniture di armi ai ribelli siriani.  I jihadisti invece cercano lo scontro per colpire gli Alawiti e le altre minoranze non sunnite, e potrebbero estendere gli attacchi contro obiettivi iraniani e contro Hezbollah in Libano nella speranza di fomentare un conflitto regionale. Il crollo di Assad permetterebbe ai jihadisti di operare su un vasto territorio, dal Libano all'Iraq, proprio al confine con Giordania, Israele e Territori Palestinesi.

Per Teheran e per Hezbollah  la sopravvivenza del regime alawita in Siria è cruciale: entrambi sono militarmente presenti in Siria e aiutano il regime ad arginare le rivolte. Al contrario l’Arabia Saudita preme per il  cambio di regime. Anche l'Iraq è consapevole che il crollo del regime siriano porterebbe a un rafforzamento dei Sunniti, e per questo vi si oppone.

Gli USA e la Turchia vogliono evitare che al Qaeda si rafforzi in Siria, e temono che i jihadisti dalla Siria  penetrino in Iraq, Giordania e Libano.  

La sfida per chi vuole il cambio di regime in Siria è proprio riuscire a liberarsi dall'influenza iraniana senza aprire le porte al jihadismo transnazionale. Compito molto arduo.

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