Secessionismo e nazionalismo europeo
la lezione di Gaza

30/11/2012

La Catalogna è una regione del nordest della Spagna e la sua capitale – Barcellona − è la seconda maggior città spagnola, la più importante come centro industriale e commerciale. In Catalogna  da decenni un movimento indipendentista ambisce a ottenere la separazione dal resto della Spagna. 

Nelle elezioni di domenica scorsa per il parlamento regionale la coalizione indipendentista è risultata la prima forza politica, ma con forti discrepanze interne. Artur Mas − il presidente della regione − aveva indetto le elezioni anticipate per misurare il consenso nei confronti di un eventuale referendum sulla secessione. Il partito di Mas ha perso 12 seggi, ma un altro partito indipendentista più orientato a sinistra ha raddoppiato i suoi. Nel complesso gli indipendentisti hanno guadagnato seggi e hanno la maggioranza di due terzi necessaria per indire un referendum – però su tutto il resto non sono d’accordo.  

Le tradizionali tensioni tra la Catalogna e Madrid si sono acuite a causa della crisi finanziaria e del conseguente problema di come ripartirne gli oneri. Un tempo Mas non chiedeva l’indipendenza, ma più autonomia; ora che occorre condividere il peso delle misure di austerità, ha cercato di negoziare con Madrid condizioni di favore per la Catalogna, che Madrid ha rifiutato. Questo ha indotto Mas a reclamare l’indipendenza e a indire elezioni anticipate. 

La seconda guerra mondiale ha sancito un principio basilare in Europa: i confini sono sacrosanti e non possono subire variazioni. Il timore è che le questioni di confine  possano riaccendere le rivalità che hanno dilaniato il continente fino al 1945. I confini dei paesi europei però hanno ripreso a variare:  quelli della Serbia sono cambiati dopo la guerra del Kosovo (la Spagna è uno dei quattro paesi dell’UE che non hanno riconosciuto il Kosovo, per non legittimare anche i propri movimenti secessionisti). Ma l’idea che uno stato possa avanzare rivendicazioni territoriali su di un altro è stata arginata: non è più successo. Non è stata arginata invece l’auto-revisione dei confini. Il caso più famoso è il “divorzio di velluto” della Cecoslovacchia, da cui sono scaturite due diverse nazioni, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Inoltre ci sono stati processi di frammentazione di alcuni stati in entità più piccole su base nazionale sia in Jugoslavia che nell’Unione Sovietica.  Le tensioni fra nazioni continuano dunque a esistere. In Belgio i valloni francofoni e i fiamminghi di lingua olandese si contrappongono fin dalla fondazione del paese, nel XIX secolo. Slovacchia e Romania ospitano molti ungheresi separati dal proprio paese fin dalla Prima Guerra Mondiale – quando furono ridefinite le frontiere interne dell’Impero Austroungarico; di tanto in tanto si risvegliano negli ungheresi di entrambi i paesi desideri nazionalistici che li portano a invocare la riunificazione. Nel Regno Unito esistono  il movimento secessionista scozzese e quello dell’Irlanda del Nord. Anche in Italia si contano diversi movimenti separatisti. Nella maggior parte dei casi questi movimenti non destano reali preoccupazioni, e anche quello catalano è lontano dal raggiungere l’indipendenza. Però in Europa l’idea di cambiare le frontiere sta passando dal regno dell’assurdo a quello del quasi concepibile − e non è un’evoluzione di poco conto (vedasi la mappa a fianco).

Il vertice della scorsa settimana, in cui si è discusso il bilancio dell’Unione Europea, mostra quanto l’interesse nazionale e il nazionalismo siano vivi negli stati europei, di fronte alla questione di chi si farà carico del peso delle misure di austerità che il sistema politico ed economico europeo sta imponendo.

Al di là degli ideali europeisti, il potere politico risiede ancora negli stati-nazione, presidenti e primi ministri sono eletti dagli stati-nazione. I governi rispondono agli elettori e gli elettori vogliono ridurre il più possibile i costi da pagare all’Europa. La discussione sul bilancio dell’Unione Europea costituisce una buona opportunità per ogni governo di dimostrare al proprio elettorato quanto si impegna per ridurre al minimo i costi dell’austerità. Il livello di ostilità attuale tra gli stati è sorprendente se visto con occhi dell’anno 2000: le strutture dell’Unione Europea si stanno rapidamente decentralizzando, cresce nuovamente il peso degli stati nazionali. La questione di chi deve pagare il prezzo delle misure di austerità crea profonde divisioni anche all’interno dei singoli stati. La Catalogna ha sempre sostenuto di essere una nazione distinta dalla Spagna per motivi storici e culturali, e ha sempre goduto di un certo grado di autonomia. La questione però è rimasta piuttosto tranquilla fino a quando è apparso chiaro che l’adesione della Spagna all’UE avrebbe avuto forti conseguenze economiche. Allora il nazionalismo catalano si è trasformato da sentimento nostalgico in strumento per trasferire oneri economici da Barcellona a Madrid.

L’Europa ha una grande tradizione di nazionalismo romantico, il quale nella sua forma liberale incarna l’idea che ogni nazione ha il diritto di auto-determinarsi. Il problema è definire che cosa definisce la nazione:  per i romantici sono la lingua, la cultura, la storia. Ma una nazione è definita anche dalla percezione che ha di se stessa: esiste quando i suoi abitanti si considerano un popolo a sé. Nel nazionalismo romantico è implicito il conflitto, quando nega la legittimità delle rivendicazioni concorrenti di altre nazioni, o di parti della nazione.   

L’inno ufficiale dell’Unione Europea è l’”Inno alla gioia” di Beethoven, che celebra la Rivoluzione Francese ed esprime lo spirito di libertà che ne seguì. La liberazione riguardò allora non soltanto gli individui, ma anche le nazioni: si fusero insieme i concetti di diritti della persona, diritto all’autodeterminazione nazionale e senso dell’identità nazionale. Ecco la libertà che l’Unione Europea dovrebbe oggi incarnare.  Questi concetti non sono irrimediabilmente perduti, ma sono sottoposti a forti tensioni quando la nazione, invece di costituire una comunità coesa, è divisa in parti in concorrenza fra di loro in un gioco a somma zero. I nazionalismi che covano all’interno degli stati − pronti a contestare la legittimità di paesi come la Spagna o l’Italia – e la conseguente volontà di separatismo sono il nuovo volto assunto dallo storico problema dei nazionalismi europei. Il processo iniziato con un “divorzio di velluto” pacifico e ragionevole può diventare molto poco amichevole sotto la pressione di problemi economici gravi. Quali altri nazionalismi latenti emergeranno per utilizzare l’alibi dell’autodeterminazione nazionale al fine di sottrarsi agli oneri economici che la crisi impone?

La settimana scorsa in Palestina abbiamo assistito a un episodio di guerra che è frutto del nazionalismo romantico europeo. Il sionismo nacque dal nazionalismo romantico europeo. Attinse alla storia, alla cultura e alla religione per legittimare il diritto degli Ebrei ad esser nazione. Anche il nazionalismo palestinese nacque dal nazionalismo romantico di matrice europea. L’idea di stato-nazione che si sviluppò nel mondo arabo verso la fine del XIX secolo, e che negli anni ’50 fu promossa da arabi laici di sinistra, deriva dal concetto europeo che gli “stati-nazione” dovessero sostituire gli imperi. Il movimento nazionale palestinese rivendica il diritto di una nazione palestinese a esistere in nome di questa tradizione.  

Ecco il lato negativo dell’”Inno alla gioia”: una nazione deve avere un territorio. A partire dalla Rivoluzione francese le nazioni si sono sempre combattute per il controllo del territorio in Europa. Dal 1945 al 1991 la questione rimase accantonata e dal 1991 al 2008 sembrò  che – con la fine della Guerra fredda e la stipula del trattato di Maastricht − la sospensione dovesse durare in eterno. Ma lentamente l’inconcepibile è divenuto verosimile e il verosimile si è tramutato in probabile.

Il nazionalismo romantico è capace di alimentare i sogni o gli incubi di un popolo, e di solito fa entrambe le cose. Gaza oggi è un incubo, la Catalogna pare un sogno. Ma in Europa la distanza tra sogni e incubi non è mai stata tanto vasta quanto si potrebbe pensare. Le grandi difficoltà economiche e il nazionalismo romantico hanno sempre finito col generare incubi in Europa, e in questo momento sono legati a una macchina burocratica come l’Unione Europea, incapace di comprendere le forze emotive in agguato sotto la superficie. Una conflagrazione di nazionalismi è oggi inconcepibile in Europa, ma la storia europea è la storia dell’inconcepibile. Dubito che nel XIX secolo nel sogno dei primi sionisti ci fosse la Gaza di oggi.

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