Scongiurare l'inferno in terra
la religione e la prevenzione del genocidio.

17/07/2013

È il titolo del rapporto speciale dell’United States Institute for Peace, pubblicato a settembre 2010 a cura di Susan Hayword. L’USIP è un organismo indipendente ma finanziato dal governo americano, cui fornisce consulenze.

Eccone una traduzione. Pur considerando la laicità dello stato come pre-requisito della democrazia,  ci pare che le opinioni espresse siano interessanti e vadano lette e discusse.

Dopo avere detto e dimostrato caso per caso come ‘Gli episodi genocidio e di atrocità di massa che hanno tormentato il ventesimo secolo sono significativi per quanto riguarda il ruolo giocato dalla religione, purtroppo non nel prevenire l'erompere o il diffondersi della violenza di massa, ma piuttosto nel legittimarla e incentivarla’, l’autrice del rapporto passa a suggerire come le istituzioni sovranazionali e la diplomazia internazionale dovrebbe organizzarsi per collaborare con le istituzioni e le strutture religiose per farne attori di prevenzione delle atrocità di massa e dei genocidi.

·      La storia ci insegna che la religione è spesso stata una forza socio-politica distruttiva, usata per incoraggiare atrocità di massa e la pratica del genocidio. La religione è stata sfruttata dai promotori della violenza per legittimare e attuare pogrom ed è stata usata per definire rigidi confini comunitari.

·      Comunità e personalità religiose hanno anche avuto ruoli chiave nell’opposizione a genocidi e atrocità di massa.. Leader religiosi hanno cercato di chiamare a raccolta dal pulpito l’opposizione religiosa alla violenza e hanno protetto le persone in pericolo offrendo asilo nei luoghi di culto.

·      Le organizzazioni internazionali, i governi e le ONG interessate a prevenire l’erompere dei genocidi e delle atrocità di massa devono monitorare gli ambienti religiosi e stabilire rapporti al loro interno per identificare narrative e attività religiose che possono preannunciare l’emergere della violenza di massa e del genocidio.

·      Chi cerca di prevenire il genocidio deve imparare a far leva sul potere proprio della religione per prevenire l’emergere della violenza di massa. Occorre collaborare con istituzioni, organizzazioni e comunità religiose per rafforzare l’impegno religioso su norme positive per la convivenza sociale, per offrire alternative religiose alla legittimazione morale della violenza e per attivare sistemi di allarme e di risposta precoci..

Gli episodi genocidio e di atrocità di massa che hanno tormentato il ventesimo secolo sono significativi per quanto riguarda il ruolo giocato dalla religione, purtroppo non nel prevenire l'erompere o il diffondersi della violenza di massa, ma piuttosto nel legittimarla e incentivarla. In troppe occasioni gli attori politici hanno usato la religione per legittimare politiche genocide e vari attori sociali hanno utilizzato narrative etico-religiose come argomenti a favore dello sradicamento di una razza, di una religione o di una popolazione ritenute inferiori. La Germania nazista fornisce un esempio dell'uso di argomenti religiosi per rafforzare l'infrastruttura ideologica del genocidio; i Balcani un altro.

In altri casi le istituzioni religiose sono divenute parte della macchina motrice del genocidio, invece di funzionare come barriere al suo erompere. Le chiese ruandesi, per esempio, pur trovandosi in una posizione privilegiata per capire l'emergere del pericolo di atrocità di massa e per reagirvi, spesso non riuscirono a lanciare allarmi, a contrastare attivamente l'ideologia di superiorità etnica o a mobilitare una significativa rivolta civile contro la minaccia emergente. Molti preti e suore ruandesi contribuirono invece al massacro così che, come i monasteri buddisti passati sotto il controllo dei Khmer rossi in Cambogia, alcune chiese ruandesi – luoghi centrali di raduno comunitario, nei quali le persone si ammassano in tempi di crisi cercando protezione - divennero centri di esecuzione.

L'uso strumentale della religione da parte dei leader politici per giustificare il genocidio e l'impiego del potere delle istituzioni religiose per compierlo non è tuttavia l'unica faccia della relazione tra religione e genocidio. Il rovescio della medaglia è la capacità della sfera religiosa di contrastare le atrocità di massa promosse dallo stato. Il trattamento riservato alla religione in Cambogia dal regime di Pol Pot è istruttivo. I Khmer rossi cercarono di controllare e quindi di cancellare la sfera religiosa, mettendo al bando o uccidendo quasi tutti i monaci buddisti della Cambogia. Alla base c’era un'avversione ideologica di matrice comunista alla religione, ma c’era anche un altro motivo: i leader politici capivano che le comunità monastiche buddiste, i sangha, molto numerosi, influenti e autorevoli, erano una possibile minaccia all’autorità dello Stato, come dimostrò nel 2007 la mobilitazione di massa dei monaci contro la giunta al potere in Birmania/Myanmar.

In effetti in alcuni luoghi e in alcuni momenti la religione ha cercato di ostacolare il genocidio e le atrocità di massa, mobilitando l'opposizione e rifiutando di accordare benedizione morale alla violenza di massa. Come si sarebbero potuti rafforzare questi tentativi ?

Il ruolo della religione: prevenire il genocidio o esserne mandante ?

La comunità internazionale è impegnata, almeno a parole, alla prevenzione del genocidio e delle atrocità di massa. La posizione della comunità globale è stata sottolineata dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan in un discorso al Forum Internazionale sul Genocidio di Stoccolma del 2004, quando ha detto: “Non può esserci questione più importante nè obbligo più vincolante della prevenzione del genocidio”.[1]

Elie Wiesel ha notato che “uno degli aspetti più problematici, per non dire sconcertanti, del dibattito sul genocidio, è che quasi sempre si sarebbe potuto prevenire”.[2] I genocidi non avvengono senza piani accuratamente preparati e messi in atto strategicamente e visibilmente per un certo lasso di tempo. Gli analisti che cercano di capire i genocidi hanno cercato di identificare particolari e riconoscibili mix di dinamiche sociali, politiche ed economiche in cui nascono e si sviluppano progetti di atrocità di massa e genocidio, per capire quali siano gli indicatori precoci del pericolo di genocidio.[3]Individuarli all'interno e all'esterno di un particolare ambiente aiuterebbe a capire quando è urgentemente necessaria un’azione di prevenzione. In altre parole, la comunità internazionale e gli attivisti locali sono consapevoli che se vogliono sapere come arginare la marea del genocidio prima che si scateni, è fondamentale innanzitutto capire che cosa crei le precondizioni delle atrocità di massa e come il genocidio giunga a dispiegarsi. La dimensione religiosa sembra aver contribuito all'erompere del genocidio nel remoto e nel recente passato, creando confini identitari assoluti, legittimando le politiche genocide e prestando il potere delle sue istituzioni alla loro organizzazione ed esecuzione.

Questo report su religione e prevenzione del genocidio, pertanto, guarda in primo luogo a come la religione abbia contribuito al genocidio e a forme simili di atrocità di massa (tuttavia non intende concludere che il mezzo per prevenire il genocidio risieda nella soppressione dell'ambito religioso).

Perché alcuni politici hanno lavorato tanto duramente per coprire linee politiche genocide con il manto della pietà religiosa e degli appelli a una missione primordiale? Perché alcune istituzioni statali, inclini all'autoritarismo, cercano di sopprimere, manipolare o controllare l'autorità religiosa e il suo potere istituzionale? Probabilmente la risposta risiede nel fatto che la religione può promuovere e legittimare pogrom politicamente motivati, ma può anche interromperli e prevenirli. Probabilmente stati inclini alla distruzione genocida hanno capito quello che coloro che sono impegnati nella mediazione di pace stanno riscoprendo solo ora: la religione è potente. Ogni organizzazione impegnata nella prevenzione del genocidio e delle atrocità di massa che ignori questo fatto non solo rinuncia a un rapporto con un potente alleato, ma rischia anche di consegnare il potere della religione a chi persegue fini malvagi.

Qui esaminiamo il ruolo della religione come mandante del genocidio e delle atrocità di massa per comprendere come porvi fine attraverso programmi nei quali possano essere impegnati governi, organizzazioni internazionali e attivisti sia religiosi che laici. Un secondo obiettivo è comprendere quali risorse religiose possono essere mobilitate non solamente per impedire il genocidio e le atrocità di massa, ma in primo luogo per prevenirle (…...). Il coinvolgimento di leader, studiosi, comunità, idee ed istituzioni religiose nel lavoro di prevenzione del genocidio e delle atrocità di massa dovrebbe occupare una posizione centrale negli sforzi dei governi e dei pacificatori, e vi sono specifici passi che possono essere compiuti per conseguire questo fine.

Esempi storici di religione e violenza.

Molti sono gli esempi storici per illustrare come la religione nel corso dei millenni abbia incentivato il genocidio. La storia antica è costellata di tentativi di distruggere determinate popolazioni sulla base della loro identità religiosa. Nel Medio Evo i centri di potere cristiano in Europa hanno ripetutamente cercato di espellere i non cristiani dalla popolazione locale. La pace di Augusta del 1555, che proclamava che le popolazioni avrebbero dovuto aderire alla religione dei rispettivi principi regnanti, portò ad ulteriori espulsioni.[4] L'arrivo degli europei in America nel quindicesimo secolo diede inizio allo sterminio di massa delle popolazioni native compiuto nel corso di vari secoli, spesso con la benedizione e su ordine delle autorità religiose.

Nell'era moderna, l'Olocausto fornisce un esempio incancellabile di come l'identità religiosa possa contrassegnare una divisione comunitaria e servire da licenza per il genocidio. Nella Germania dominata dai nazisti le chiese luterane tedesche fornirono sostegno teologico alla persecuzione degli Ebrei. Eminenti teologi aderirono a una “Cristianità ariana” intrinsecamente antisemita che cercava la purificazione redentiva della pratica e della teologia cristiane dall'influenza ebraica e ritraeva Gesù come un ariano che voleva la distruzione del giudaismo.[5] Alcuni leader cristiani ritenevano gli Ebrei responsabili dell'uccisione di Gesù, sostenendo inoltre che gli Ebrei contemporanei fossero una minaccia per la Cristianità. La centralità di questo progetto teologico in Germania venne manifestato dalla costituzione nel 1939 dell'Istituto per lo Studio e l'Estirpazione dell'Influenza Ebraica nella Vita Cristiana Tedesca. Nel tentativo di escludere gli Ebrei molti eminenti e influenti teologi cristiani cercarono di coniugare la Cristianità con il nazionalsocialismo, o l'ideologia e l'etica religiose con l'ideologia politica e l'etica nazionaliste. Certamente non tutti i teologi cristiani tedeschi né tutti i chierici furono colpevoli di fornire nutrimento ideologico, mitico ed etico al nazismo. Tuttavia un grande numero di costoro in Germania, e più generalmente in Europa, simpatizzarono con la causa nazista o rimasero in silenzio per paura o apatia.

La religione può giocare un ruolo anche nell'esasperare le divisioni identitarie non religiose, come quelle basate sulla razza e l'etnicità. In Ruanda, alcuni membri della Chiesa cattolica possono essere ritenuti responsabili non soltanto di aver contribuito all'evoluzione di una politica etnica generatrice di divisione, ma anche di aver attivamente partecipato all'esecuzione del genocidio. Come ha sostenuto lo studioso Timothy Longman, i missionari cristiani belgi e francesi perpetuarono il progetto coloniale di definire e dividere in modo assoluto la popolazione locale in tutsi e hutu[6].  La Chiesa Cattolica, cambiando le sue alleanze con i due gruppi in risposta ai frequenti cambiamenti dell'equilibrio di potere, aiutò in seguito a cristallizzare le divisioni etniche e il reciproco antagonismo dei due gruppi. Durante il genocidio vero e proprio alcune chiese, luoghi centrali di aggregazione comunitaria dove molti tutsi accorrevano in cerca di rifugio, divennero mattatoi. Le uccisioni furono talvolta favorite da preti e suore delle parrocchie, che furono accusati dal Tribunale Criminale Internazionale per il Ruanda per il loro ruolo nel segnalare alle milizie i tutsi che cercavano rifugio nelle chiese.

Infine in Bosnia lo studioso Michael Selles ha sostenuto che lo Stato serbo è ricorso a retoriche, immagini e rituali mitico-religiosi per riattualizzare il mito serbo della nazione sconfitta dal'Impero Ottomano cinque secoli prima[7]. Alcuni vescovi serbi incoraggiarono entusiasticamente il programma nazionalista di Milosevic e talora la pianificazione militare si fece nelle chiese e i massacri vennero celebrati con riti religiosi. Nella mitologia nazionalista i Serbi definivano se stessi come vittime storiche e ricorrevano pesantemente al culto dei martiri per promuovere il loro programma di ritorsione per i torti storici subiti. Un potente e violento “intreccio di religione e nazionalismo, una confusione della storia con il mito, della fede con la vendetta, e una memoria nazionale collettiva densamente popolata di immagini di martirio e sacrificio, guerra e massacro”, nutrì un ribollente calderone che produsse la morte di migliaia di non-serbi.[8]

Diverse lezioni possono essere tratte da questi esempi:la prima e più fondamentale è che la religione è stata un carburante per l’acuirsi delle divisioni comunitarie che divennero linee di demarcazione tra schieramenti nemici. In secondo luogo la religione, nei casi della Germania nazista e della Serbia della fine del ventesimo secolo, ha fornito narrative storico-mitologiche che hanno puntellato un senso di esclusività, un’identità vittimistica (spesso giungendo molto indietro nella storia per abbracciare storie di torti subiti da parte della comunità presa a bersaglio), e la percezione di essere minacciati da altre comunità, giustificando l’aggressione collettiva contro queste.  Gli argomenti religiosi sono stati usati come parte di una campagna di propaganda per galvanizzare le masse e giustificare moralmente l’estirpazione di un nemico. Il pregiudizio è stato santificato attraverso argomenti religiosi, miti e pratiche rituali. Infine, risorse istituzionali – chiese e centri di ricerca teologica – sono state utilizzate per mescolare l’ideologia politica e quella religiosa in un potente cocktail.

Per innumerevoli ragioni politiche economiche e religiose, oltre che per la propria sicurezza personale, il clero di alto rango collabora abitualmente con le élite politiche di alto livello, fornendo legittimazione religiosa al potere politico, programmi e aiuto per assicurare compiacenza o supporto da parte dei fedeli.[9] Tutto questo aiuta a predisporre il terreno nel quale il genocidio mette radici. Infatti, come ha sostenuto lo studioso David Little, il matrimonio della religione con il nazionalismo etnico, riscontrabile in questi esempi, rende ancora più difficile la risoluzione del conflitto e gli sforzi per prevenire la sua degenerazione in violenza di massa: le poste in gioco sono state alzate, le passioni infiammate, la dedizione alla causa incoraggiata, e sono state fornite decisive giustificazioni per la violenza[10]. Come ha notato Yehuda Bauer, eminente analista del genocidio, quando le élite impegnate a estirpare una comunità salgono al potere, riescono a perseguire il loro programma se prevengono lo sviluppo di movimenti di resistenza popolari e se sanno catturare psicologicamente l’intellighenzia, inclusi i leader e gli intellettuali religiosi.[11] Potersi avvalere del sostegno di religiosi e di intellettuali che hanno un ruolo guida nella società per reprimere l’opposizione popolare conferisce ai detentori del potere i mezzi e il mandato per compiere atroci pogrom.

Religione e resistenza.

Nei luoghi di conflitto vi sono sempre narrazioni religiose in competizione tra loro. Alcuni attori religiosi e sociali usano la religione per rafforzare, direttamente o indirettamente, la mano di coloro che brandiscono il machete, ma altri usano le risorse religiose per motivare e organizzare la resistenza nonviolenta e l'opposizione morale. È importante capire come il potere della religione possa essere usato per proteggere i cittadini dalle atrocità di massa.

In Germania, Serbia e Ruanda il clero e i luoghi di culto fornirono anche rifugi dove vennero articolate teologie inclusive e umanitarie. All'interno della Germania alcuni religiosi, tra i quali Dietrich Bonhoeffer e gli altri membri della Chiesa Confessante, si opposero attivamente allo Stato. Il pastore André Trocmé in Francia condusse il villaggio di Le Chambon-sur-Lignon a resistere ai nazisti e al governo di Vichy e a proteggere circa cinquemila ebrei. Questi pastori della resistenza si basarono sui principi della religione per convincere i loro fedeli, rafforzare la loro determinazione, combattere la loro paura e definire la superiorità morale e la necessità del loro movimento. In Ruanda i predicatori musulmani incitarono i loro fedeli a proteggere i tutsi e le moschee aprirono le porte a chi fuggiva dalla violenza. Come ha osservato lo studioso islamico e peacekeeper Qamar-ul Huda al simposio su religione e genocidio dell'United States Institute of Peace, gli imam ruandesi si basarono sulla memoria storica e sui principi islamici per spingere i loro seguaci a fornire rifugio a coloro che fuggivano dalla violenza. In alcuni casi vennero usate le moschee, in altri i musulmani aprirono scantinati per proteggere se stessi, i tutsi e gli hutu. Gli imam proferirono sermoni nei quali ricordavano alla congregazione che il Profeta Maometto fu un rifugiato e un orfano e che, benché duramente perseguitato da varie forze, non compromise mai i suoi principi etici e i suoi doveri religiosi. Gli imam ruandesi ricordarono anche ai musulmani la loro stessa storia recente come minoranza religiosa nella metà degli anni 60, quando molti di essi furono esiliati o persero le proprietà e il lavoro. In questo modo gli imam misero in relazione le loro esperienze presenti con le memorie sacre, tattica simile a quella seguita da alcuni leader religiosi in Serbia e Germania per dare imprimatur religioso all'uso della violenza. Gli imam impiegarono risorse religiose per generare una risposta al genocidio che stava avvenendo in mezzo a loro, i loro sermoni richiamavano il passato per articolare nel presente azioni costruttive e protettive, avvantaggiandosi dell'inviolabilità delle loro moschee.[12]

Queste voci della resistenza religiosa furono ignorate o condannate da politici e leader religiosi nazionalisti e non vennero sostenute a sufficienza dalla comunità internazionale. Forse troppo pochi erano i fedeli disposti a mobilitarsi nella resistenza. Nondimeno, l'effetto conseguito da questi come da altri individui e organizzazioni che agirono per fede salvando migliaia di persone e fornendo un'alternativa morale alle distruttive narrative genocide non può essere accantonato. Costoro posero le fondamenta per quella che sarebbe potuta essere una base di resistenza efficace. Queste iniziative basate sulla fede avevano il potenziale per smantellare le basi ideologiche sulle quali gli architetti del genocidio avevano costruito i loro progetti e per ridare legittimità morale alla nonviolenza. Guidando le proprie congregazioni e utilizzando le loro risorse istituzionali in atti di resistenza collettiva questi ecclesiastici hanno creato un impatto ben maggiore di quello che avrebbero potuto ottenere agendo da soli.

Coinvolgere la religione nella prevenzione del genocidio.

Sorge pertanto una domanda: la religione ha la responsabilità legale di mettere in campo le sue risorse per prevenire la violenza di massa o di servire da freno a un potere statale sempre più autoritario? E i leader religiosi possono essere ritenuti legalmente responsabili per la promozione di teologie che possono incitare all'odio e alla violenza? Nell'ordine internazionale la responsabilità di proteggere i cittadini è dello Stato. Il problema se un' ideologia religiosa che motiva o giustifica il genocidio possa essere ritenuta legalmente responsabile appartiene a una zona grigia, nella quale può accadere che il diritto alla libertà di credo religioso si trovi a competere con altri standard internazionali di eguaglianza e pluralismo - sebbene predicazioni che incitino direttamente e inequivocabilmente alla violenza possano essere senz'altro qualificate come una forma illegale di “hate speech”. (“espressione di odio” che può incitare alla violenza, proibita in vari paesi da specifiche leggi .ndt). Certamente un'omissione da parte del clero nel proteggere i cittadini non può essere legalmente perseguita. Tuttavia possono essere attribuite altre forme di responsabilità, tra cui quella derivante dall'imperativo morale e teologico intrinseco alle tradizioni di fede, che impone agli aderenti di parlare e di agire contro la violenza e l'ingiustizia. Questo impulso verso l'azione morale può essere suscitato e nutrito coinvolgendo le comunità religiose nell'educazione  alla prevenzione dei conflitti e del genocidio. Il concetto della responsabilità di proteggere, riformulato all'interno delle tradizioni religiose, implica anche che si garantisca la sicurezza di quei religiosi che si esprimono pubblicamente condannando il governo e i leader favorevoli alla violenza.

Chi cerca di prevenire un genocidio ha imparato dalla storia una lezione: quando le narrative religiose esclusiviste che incitano alla violenza iniziano a proliferare, debbono essere sfidate e affrontate immediatamente con una reazione precoce, prima del manifestarsi della crisi, e con la diplomazia preventiva. Forme laiche di pacificazione e pressioni applicate attraverso un'accorta diplomazia e attraverso sanzioni sono cruciali per prevenire l'erompere del genocidio, ma quando la religione è usata per fomentare e giustificare la violenza, occorre anche un impegno diplomatico nella sfera religiosa. Questo impegno dovrebbe permettere di capire le preoccupazioni delle comunità religiose e sostenere quei religiosi che cercano di rafforzare la pacifica convivenza tra le comunità e di combattere la violenza. Questo è particolarmente importante in un ambiente carico di fervore religioso o dove le persone interpretano la realtà in termini religiosi. Quando la religione diventa motivo di forti impulsi morali e fideistici verso l'esclusione e la violenza, la sfida dovrebbe essere articolata nello stesso linguaggio, attingendo da principi religiosi motivanti e significativi. Questa tattica cerca di deviare le tensioni religiose dalla via della promozione della violenza.

Varie risorse religiose possono essere impegnate in questa attività: organizzazioni basate sulla fede che forniscono assistenza sociale e sono in prima linea nel confitto emergente, teologie e quadri etici che denuncino le violenze inter-comunitarie ed enti religiosi internazionali in grado di fare pressione sui governi nazionali e sugli organismi internazionali.

Una forte politica di prevenzione del genocidio deve contare su queste risorse, sulla particolare influenza e sui contributi che ognuna di esse fornisce. Per le organizzazioni e i governi che cercano di realizzare la prevenzione, l'impegno costante al fianco delle leadership religiose deve diventare una pratica comune. Negli ultimi decenni molti governi e molte organizzazioni internazionali sono apparse incapaci di porsi in rapporto alle religioni nell’ambito della politica estera. Questa inazione deve essere corretta. Gli esempi descritti, così come gli eventi dell'11 settembre 2001, la violenza comunitaria e religiosa in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam, la mobilitazione religiosa a sostegno della democrazia in Birmania / Myanmar, sono dimostrazioni del fatto che la religione ha un impatto sulla politica e sulle dinamiche economiche, che a loro volta influenzano le relazioni internazionali.

Uno studio del 2010 del Chicago Council on Global Affairs sul coinvolgimento della religione nella politica estera degli Stati Uniti dice che "La religione non è epifenomenica - un'esperienza umana secondaria che non ha alcuna influenza sugli sviluppi politici e che possiamo quindi ignorare. . . La religione - per le sue idee ispiratrici e il potere di mobilitazione delle istituzioni, è a pieno titolo una forza guida della politica "[13] Il mancato riconoscimento del campo religioso come attore di primo piano nella scena politica, e la conseguente incapacità di prendere in considerazione nel processo decisionale le dinamiche religiose hanno portato il governo degli Stati Uniti a commettere gravi errori nel suo impegno all'estero. Recenti azioni intraprese dal Dipartimento di Stato americano, dalla United State Agency for International Development (USAID), e da alcuni ministeri degli Esteri in Europa dimostrano una nuova volontà di coinvolgere i religiosi nel settore diplomatico e di trovare i mezzi per collaborare nell'affrontare questioni particolari.

Ambasciate e missioni diplomatiche dovrebbero essere incoraggiate a costruire relazioni con gruppi rappresentativi di attori religiosi nelle zone di conflitto. Tali relazioni facilitano il controllo delle ideologie religiose distruttive e aiutano i diplomatici a capire i bisogni, le preoccupazioni e i vincoli delle comunità religiose. Inoltre, impegnandosi nei rapporti con diverse religioni, i diplomatici si collocano in posizione favorevole per incoraggiare e rafforzare il pluralismo e le relazioni inter-religiose, trovando contemporaneamente nel clero i partner per la prevenzione del conflitto. Questi sforzi diplomatici devono evitare intrusioni o manipolazioni nei confronti della cultura o della religione locali, che indubbiamente susciterebbero una reazione difensiva da parte dei leader religiosi locali e il ritiro dalla collaborazione. Lo sforzo diplomatico deve consistere nel perseguire con leader religiosi, scuole, centri di culto e organizzazioni di ispirazione religiosa l'impegno a promuovere attivamente la pace. Andando oltre la tradizionale élite di anziani leader religiosi con sede nei centri urbani, i diplomatici eviteranno di marginalizzare donne e giovani, che spesso non trovano collocazione nelle tradizionali gerarchie religiose, ma giocano un ruolo importante nel dare forma ai comportamenti religiosi prevalenti. Le comunità religiose devono essere incoraggiate a studiare i casi storici di atrocità di massa e genocidio. Imparando di più su come nella storia la religione sia stata utilizzata per legittimare e stimolare episodi di atrocità di massa e genocidio, le comunità religiose saranno più capaci di riconoscere e controllare nel presente l'incitamento religioso alla violenza di massa. Il Consiglio Nazionale delle Chiese americane e Genocide Watch nel 2007 hanno organizzata una conferenza intitolata “Riflessione e Responsabilità: alla ricerca di risposte cristiane al genocidio”. I partecipanti hanno discusso la complicità delle chiese cristiane in numerosi casi di atrocità di massa, inclusi i genocidi in Ruanda e Germania, e il sostegno religioso alla pulizia etnica della popolazione nativa negli Stati Uniti.

 Un modello di auto-esame, confessione e pentimento che ha portato a una chiamata collettiva all' azione per creare su basi religiose la Alliance to Abolish Genocide. Il proposito del gruppo è di invitare altre tradizioni religiose a partecipare a simili pratiche di riflessione.

L'arruolamento della religione nella diplomazia può è utile per risposte precoci ai primi segnali di allarme. Nelle organizzazioni internazionali la capacità istituzionale di lanciare allarmi precoci non c’è. Infrastrutture locali e una rete che includa la leadership e la capacità istituzionale della religione possono essere messe in campo per colmare questa lacuna. Di solito i leader religiosi sono presenti dappertutto, e i leader locali sono spesso altamente consapevoli delle condizioni politiche, economiche e sociali nelle loro comunità. Quando insorgono le condizioni propizie ad atrocità di massa costoro possono trasmettere attraverso le loro istituzioni informazioni alle autorità centrali, che a loro volta possono allertare le istituzioni politiche internazionali. I leader religiosi delle zone rurali di un particolare paese, per esempio, riconoscendo i segni di una situazione in via di deterioramento, possono avvertire i leader nazionali nella capitale.

Questi leader possono a loro volta trasmettere tali informazioni ai leader politici locali o internazionali e ai diplomatici, che possono predisporre una risposta tempestiva, prima che la violenza erompa. Ciò che è necessario per rendere questo sistema di allerta precoce operativo è la formazione dei capi religiosi locali per riconoscere i segni premonitori di instabilità politica e sociale che possono contrassegnare l’emergere di atrocità di massa (una formazione complementare può dare a questi leader la capacità di rispondere in prima persona a queste minacce emergenti). Inoltre si deve costruire fiducia tra leader religiosi e politici per creare un efficace meccanismo di trasmissione delle informazioni sulle condizioni locali e garantire una risposta rapida e adeguata alle crisi.

La diplomazia deve avere un quadro delle idee, delle istituzioni e delle comunità religiose per sistematizzare i principi generali e identificare i modi in cui le risorse religiose possono essere
mobilitate nella prevenzione dei genocidi.

Idee religiose:

 La teologia, il linguaggio e l’etica religiosi possono mettere in discussione le ideologie distruttive, sia politiche che religiose.

  • Si possono ricavare dalla teologia prescrizioni che possano agire sinergicamente con la legge internazionale , come ad esempio precedenti scritturali per idee relative a leadership, responsabilità di proteggere, pace e diritti umani, e stimolare l'impegno al mantenimento di queste norme da parte delle comunità religiose. Nelle società profondamente religiose i corollari religiosi delle rivendicazioni dei diritti umani possono risuonare più a fondo e ampliare il sostegno a questi principi.
  • Attraverso programmi che promuovono la riconciliazione inter-religiosa, può emergere una narrazione religiosa che porti a rivedere costruttivamente la memoria e i risentimenti storici, per smussare gli antagonismi reciproci e dare riconoscimento e protezione alle minoranze.
  • Aiutando le ideologie religiose che sostengono la non violenza e un alto grado di tolleranza, si renderà più difficile lo sviluppo di teologie esclusiviste e violente.

 Istituzioni religiose:

La religione offre una struttura alternativa per coinvolgere le parti in conflitto e rispondere alle crisi emergenti, in particolare quando gli stati non riescono a far fronte all’emergere della violenza, o ne sono essi stessi complici .

·      Centri di culto e leader religiosi sono spesso capillarmente diffusi in un paese, anche in zone rurali isolate, e potrebbero essere coinvolti nella raccolta di informazioni, nel controllo e nella risposta precoce alle crisi.

·      Le reti religiose sono utili per distribuire informazioni, tenere incontri o organizzare mobilitazioni, come dimostrato nei casi del movimento statunitense per i diritti civili e del movimento anti-apartheid e del successivo processo di riconciliazione in Sud Africa.

·      Istituzioni religiose transnazionali possono anche servire come sistemi di monitoraggio, coinvolgimento e lobbying, e per esercitar pressione non solo su governi e organismi internazionali affinchè reagiscano alle crisi, ma anche sui leader religiosi locali, per assicurare che non incitino alla violenza o non la promuovano attivamente.

Comunità e leader religiosi:

Gli attori religiosi chiaramente hanno una grande influenza sulle dinamiche sociali e politiche in molte parti del mondo, plasmano atteggiamenti e comportamenti delle comunità di base, indicano priorità per le istituzioni e le politiche governative.

  • I leader religiosi possono essere potenti alleati nella prevenzione dei conflitti. Hanno accesso a una parte cospicua delle comunità di base e sono in grado di mobilitare queste comunità per esercitare pressioni sulla struttura politica.
  • Le élite religiose possono anche avere accesso alle élite politiche e operare pressioni sul mondo politico perché rispetti il diritto internazionale, o divenire canali per trasmettere le pressioni internazionali.
  • Molte persone in tutto il mondo interpretano le dinamiche politiche e reagiscono ad esse in termini religiosi. Capire gli interessi e le dinamiche delle comunità religiose attraverso una rispettosa collaborazione con i leader e le comunità stesse fornirà alle organizzazioni internazionali un canale attraverso cui capire e influenzare le dinamiche locali per prevenire atrocità di massa.

Il ruolo della religione nella determinare il conflitto o la pace non deve essere sopravvalutato. E' una confluenza di fattori sociali, economici e politici a rendere possibile il genocidio. La religione, tuttavia, ha giocato un ruolo cruciale in molti casi . In tutto il mondo odierno la religione continua tutt'ora a giocare un ruolo predominante in conflitti che hanno il potenziale per degenerare in atrocità di massa. Risolvere o prevenire questi conflitti violenti e prevenire l’erompere di genocidi richiede un approccio multilaterale che coinvolge molti ambiti sociali, politici ed economici, e anche l’ambito religioso che è particolarmente importante.

Raccomandazioni su religione e prevenzione del genocidio.

Le rivolgiamo in primo luogo a governi, istituzioni internazionali, ONG, comunità e organizzazioni religiose.

  1. Monitorare le dinamiche del settore religioso Poiché in alcuni casi di genocidio le dinamiche religiose da un lato sono state sintomatiche della violenza di massa emergente, dall'altro vi hanno contribuito, coloro che sono interessati alla prevenzione del genocidio devono monitorare le dinamiche all'interno del settore religioso. Sistemi di allarme precoce dovrebbero comprendere il monitoraggio della narrazione religiosa in contesti di instabilità, e dovrebbero prendere atto della comparsa o della proliferazione di una narrazione religiosa che rifletta alti livelli di insicurezza esistenziale, giustifichi la violenza e inciti ad essa, o promuova ideologie esclusiviste di vittimismo che razionalizzano la violenza contro un altro gruppo. Le prediche religiose, l'educazione religiosa e i media religiosi dovrebbero essere tutti monitorati.
  2. Coinvolgere leader e istituzioni religiosi per segnalare tempestivamente i pericoli.

I leader religiosi locali sono a conoscenza delle dinamiche sociali, politiche ed economiche locali e raggiungono aree rurali che le missioni diplomatiche non possono facilmente raggiungere. Per questa ragione si devono coinvolgere attori e istituzioni religiose per lanciare allarmi precoci. Le ONG e i gruppi di ispirazione religiosa dovrebbero offrire ai leader religiosi la formazione per potere riconoscere e comunicare i segni di condizioni favorevoli all' esplosione della violenza di massa. Le ambasciate dovrebbero avere un attaché religioso espressamente designato per questa funzione nelle missioni diplomatiche. Iniziative di successo ora in corso potrebbero essere usate come piattaforme di lancio per coinvolgere la leadership religiosa in progetti di sviluppo e costruzione della democrazia.

  1. Includere esperti di religione e collegamenti con la leadership religiosa locale in missioni comuni. Missioni intraprese per indagare sulle atrocità di massa o per darvi risposta, task force diplomatiche o interventi militari umanitari e missioni di peacekeeping dovrebbero includere esperti o praticanti della religione locale.
  2. Formare la leadership religiosa locale alla risoluzione e alla gestione dei conflitti. Per assicurare sul terreno un'immediata risposta all'erompere della violenza, il clero locale e gli altri leader religiosi (inclusi donne e giovani con un ruolo di leadership nelle loro comunità religiose) dovrebbero essere addestrati alla risoluzione e alla gestione dei conflitti, così da migliorare la loro capacità di aiutare a contenere la violenza.
  3. Promuovere programmi di studi sul genocidio nelle università religiose. Gli esperti di educazione religiosa dovrebbero promuovere programmi di studio sul genocidio, così da fornire ai futuri leader religiosi la conoscenza e la capacità di comprendere come il genocidio si manifesti, il ruolo storico della religione nell'infiammarlo o nel mitigarlo e come aiutare a prevenirlo. Le istituzioni educative religiose dovrebbero essere incoraggiate a sviluppare curricula che attingano all'esempio e agli insegnamenti religiosi per promuovere un atteggiamento positivo nella relazione tra gruppi e un impegno attivo contro il genocidio. Le tradizioni religiose sono portatrici di insegnamenti filosofici e teologici, valori e storie che sono in accordo con i diritti umani individuali e con le premesse di base della dignità umana. Quando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è esaminata accostandola agli insegnamenti religiosi, le persone di fede sono nella migliore posizione per riconoscere questi principi legali come parte delle loro tradizioni.

6 - Nutrire il pluralismo promuovendo un'attiva collaborazione tra le religioni. Il dialogo tra diverse religioni aiuta ad assicurare che l'identità religiosa non diventi una fonte di divisione e una giustificazione della violenza comunitaria. Si dovrebbe promuovere l'educazione sulle religioni mondiali e si dovrebbe insistere perché i loro quadri etici interni alimentino la nonviolenza, la pace e la coesistenza. I contatti inter-religiosi dovrebbero essere sostenuti come componente centrale degli sforzi diplomatici in patria e all'estero, mirando in particolare a quegli influenti leader religiosi (uomini e donne) che aiutano a formare la pubblica opinione. Dovrebbero essere sostenuti gli sforzi per promuovere la riconciliazione fra comunità religiose, in particolare come mezzo per far fronte a una storia di violenza inter-comunitaria.

7 - Consolidare e rafforzare i programmi inter-religiosi multilaterali in corso, condotti sotto l'egida delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali, come il  Tripartite Forum on Interfaith Cooperation for Peace e la Alliance for Civilizations, che forniscono un percorso per rafforzare le norme internazionali del pluralismo religioso e un alto grado di tolleranza religiosa.

Si dovrebbe creare una task force di esperti religiosi per consigliare come rafforzare le norme e gli organismi internazionali ai fini della tolleranza religiosa, della libertà di culto e dell'impegno attivo dei governi all'interno delle organizzazioni internazionali.

8 - Garantire che i luoghi di culto mantengano la loro tradizionale funzione di rifugio. Fuggendo dalla violenza, molti si recano presso chiese, moschee, templi e altri luoghi religiosi cercando protezione. I luoghi di culto sono protetti dalla legge umanitaria di guerra (Articoli 9 e 16 del secondo protocollo addizionale della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle vittime di conflitti armati non-internazionali). Dovrebbero essere compiuti sforzi per assicurare che i luoghi di culto continuino a offrire un rifugio inviolato e legalmente riconosciuto a coloro che fuggono la violenza.


[1]               Disponibile all'indirizzo web www.manskligarattigheter.gov.se/stockholmforum/2004/conference_2004.html (ultimo accesso 29 maggio 2011).

 

 

[2]               Elie Wiesel, introduzione a Preventing Genocide: Practical Steps Toward Early Detection and Effective Action, di David A. Hamburg (Boulder, CO: Paradigm Publishers, 2008), vii.

 

[3]               David Hamburg nota che esempi di sterminio di gruppi umani sono stati comuni sotto la “pressione della guerra, della conquista imperiale,del fervore religioso,dello scontro sociale, della crisi economica, del fallimento dello stato o della rivoluzione” Preventing Genocide, 10.

 

[4]               Ibid., 19.

 

[5]               Susannah Heschel, “When Jesus Was an Aryan,” in In God’s Name: Genocide and Religion in the Twentieth Century,

                  a cura di Omer Bartov e Phyllis Mack, 79–80 (New York: Berghahn Books, 2001).

 

[6]               Vedi Timothy Longman, “Church Politics and the Genocide in Rwanda,” Journal of Religion in Africa 31, no. 2 (maggio

                  2001): 163–86.

 

[7]               Vedi Michael Sells, The Bridge Betrayed: Religion and Genocide in Bosnia (Berkeley e Los Angeles: University of

                  California Press, 1996).

 

[8]               Omer Bartov and Phyllis Mack, introduzione, in Bartov and Mack, In God’s Name, 7.

 

[9]   Per ulteriori analisi delle alleanze che si formano tra religiosi ed élite politiche in modo tale da spingere al conflitto vedi Alexander de Juan, “A Pact with the Devil?: Elite Alliances as Bases of Violent Religious Conflict,” Studies in

                  Conflict and Terrorism. 31:12 (2008): 1120-1135.

 

[10] Commento al simposio “Religion and the Prevention of Genocide and Mass Atrocity,” United States Institute

                  of Peace, Washington, D.C., aprile 2008.

 

[11] Yehuda Bauer, “Holocaust and Genocide: Some Comparisons,” in Lessons and Legacies: The Meaning of the

                  Holocaust in a Changing World, ed. Peter Hayes, 36–46 (Evanston, IL: Northwestern University Press, 1991).

 

[12]            Qamar-ul Huda, commento al simposio, “Religion and the Prevention of Genocide and Mass Atrocity,” United

                  States Institute of Peace, Washington, D.C., aprile 2008.

[13]            Scott Appleby, Richard Cizik, e Thomas Wright, Engaging Religious Communities Abroad: A New Imperative

                  for U.S. Foreign Policy (Chicago: Chicago Council on Global Affairs, 2010), 21.

 

 

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