S. Sede e antisemitismo negli anni '30 e '40
Chiesa cattolica, ‘questione ebraica’ e antisemitismo fra Otto e Novecento

21/11/2013

Giovanni Miccoli è uno storico specialista di antigiudaismo e antisemitismo. Il suo testo "Antisemitismo e cattolicesimo" costituisce un testo fondamentale per capire i rapporti tra la politica vaticana e la politica degli stati europei nel XX secolo. Riprendiamo un suo articolo, che pone in rilievo alcuni aspetti fondamentali di tali rapporti.

 

Lo sterminio degli ebrei europei realizzato su larga scala dai nazisti e dai loro numerosi complici così come anche le motivazioni che l'hanno promosso costituiscono gli aspetti estremi, vorrei dire specifici, dell'antisemitismo nazista. Lo sterminio è affare loro e dei loro complici. Non è cosi però (e questo è un punto che va sottolineato) per tutte quelle misure che lo sterminio hanno in qualche modo preparato e predisposto. Quelle misure cioè di emarginazione sociale e di persecuzione che caratterizzarono la condizione degli ebrei in Germania dopo l'avvento al potere di Hitler.

Sono misure che non portavano necessariamente allo sterminio (questo va tenuto ben presente) e tuttavia senza quelle misure lo sterminio sarebbe stato impossibile: è come con gli anelli di una catena in cui ogni anello presuppone il precedente ma non necessariamente quello seguente.

Vi è una duplice distinzione dunque da tenere presente: vi è da una parte lo sterminio, dall'altra la miriade di misure assunte contro gli ebrei. Vi è un legame tra tutto questo ma non è un legame necessario. 

Quando si parla di Shoah e di sterminio si pensa naturalmente ai nazisti e ai loro complici, è opera loro specifica, è qualche cosa che non ha precedenti né nelle motivazioni né negli esiti.

Non è così però per tutta quella serie di misure antiebraiche che furono emanate via via dopo l'arrivo di Hitler al potere nel marzo del 1933. Quelle misure si inseriscono pienamente in una linea di continuità con quanto tutta la tradizionale polemica antisemita aveva da tempo prospettato e suggerito, corrisponde ad azioni e a scelte che erano gia state elaborate e proposte nei decenni precedenti. Sono tutte tappe queste che miravano alla messa al bando degli ebrei nelle società europee. E queste misure vengono realizzate dai nazisti una volta arrivati al potere: sono misure che tutto sommato mettono in atto quanto da tempo era già stato proposto.

Ricordiamo brevemente queste misure: si comincia col boicottaggio dei negozi e delle imprese ebraiche, il primo aprile del 1933, si prosegue subito dopo con la espulsione dei docenti e degli impiegati pubblici, poi ci sono via via le leggi del settembre '35 sulla cittadinanza e sulla difesa dell'onore e del sangue tedesco che proibiscono i matrimoni misti e i rapporti sessuali tra "ariani" ed ebrei; ci sono poi tutte quella miriade di disposizioni che in qualche modo isolano gli ebrei dalla società circostante, per passare infine su larga scala agli atti di violenza fisica, prima sporadici fino a quel grande pogrom della Kristallnacht del novembre del '38, l'ultimo grande pogrom avvenuto nell' Europa occidentale.

Si disse: reazione popolare all'assassinio di un addetto dell'ambasciata tedesca a Parigi ad opera di un giovane ebreo polacco, in realtà violenza sistematica organizzata e scatenata da Goebbels, che portò alla distruzione di migliaia di negozi ebraici, all'incendio di un centinaio di sinagoghe, all'assassinio di decine di ebrei e all'internamento di alcune migliaia di altri. Dopo di che seguirono tutta una serie di misure di carattere economico che ridussero gli ebrei tedeschi alla condizione di paria.

Con la guerra c'è la ghettizzazione degli ebrei polacchi, mentre per quanto riguarda gli ebrei tedeschi dal settembre 1941 l'obbligo del segno distintivo fu imposto a tutti gli ebrei maggiori di sei anni, ciò che li rese così dovunque oggetto immediato di riconoscimento e perciò di angherie (anche questa è un'imposizione del tutto tradizionale: si può risalire al IV Concilio Lateranense del 1215, che in tal modo additava gli ebrei al disprezzo altrui); ed infine vi è la deportazione che per gli ebrei tedeschi comincia con l'ottobre del '41 allargandosi poi a tutti gli ebrei presenti nelle terre occupate dai nazisti e nei paesi che formavano la corona degli stati satelliti del fU Reich.

Questo della deportazione degli ebrei è un passo già pienamente iscritto nello sterminio, che peraltro era già stato avviato dagli Einsatzgruppen, le truppe scelte delle SS che seguivano l'esercito tedesco in avanzata nei territori russi, con il compito, dall'agosto del '41, della uccisione sistematica di tutti gli ebrei (dalla seconda metà di agosto infatti si passa allo sterminio anche di bambini donne e vecchi). Deportazione e attività degli Einsatzgruppen fanno già parte del piano di sterminio, ma non si può dire la stessa cosa però di ciò che avvenne prima.

La revoca della cittadinanza degli ebrei, la loro emarginazione civile, fanno pienamente parte di propositi già formulati precedentemente, fanno parte di quel nuovo antisemitismo che si sviluppa dalla seconda metà dell' Ottocento. Questo è un antisemitismo nuovo nel senso che, nella seconda metà dell'Ottocento, la lotta contro la presenza degli ebrei nelle società europee occidentali diventa insegna e opera di partiti politici organizzati, diventa l'impresa fondamentale di una serie di partiti politici. L'insegna dell'antisemitismo è uno strumento per ottenere consenso, e dunque questo antisemitismo è nuovo, nel senso che sono nuovi gli strumenti che entrano in campo ed è quindi nuovo il ruolo che all'antisemitismo viene assegnato, di collettore cioè di un consenso di massa. Le premesse per tale processo, che fa si che l'antisemitismo diventi insegna di partiti politici, diventi impresa per ottenere consenso, stanno nell' emancipazione civile concessa agli ebrei dalla rivoluzione francese nel settembre 1791.

Le armate rivoluzionarie diffondono l'emancipazione in Europa, la restaurazione la ritira pressoché dovunque. Con la rivoluzione del '48 lentamente l'emancipazione civile degli ebrei si diffonde in tutta l'Europa: nel '70 solo la Russia zarista , la Romania e lo Stato pontificio mantenevano ancora una discriminazione civile. Per gli ebrei si apriva così una situazione del tutto nuova, che si verifica in coincidenza con tre fenomeni di notevole rilievo. Da una parte l'organizzazione di un sistema politico che si richiama a principi liberali, che implicano la separazione dei poteri, un ordine rappresentativo, implicano le libertà moderne di coscienza, di stampa, d'opinione, di religione (primo fenomeno).

Secondo fenomeno: una grande accelerazione dei processi di industrializzazione, con i profondi processi di trasformazione sociale che a tale industrializzazione sono connessi. Terzo fenomeno: il costituirsi di movimenti e partiti politici di massa, che diventano lo strumento fondamentale della lotta politica per organizzare, orientare e conseguire il consenso.

É in questo contesto che gli ebrei europei acquistano una progressiva visibilità. Liberi dalle antiche interdizioni essi si affermano in molteplici campi, della finanza, delle professioni, della politica e si sentono insieme i protagonisti, gli alfieri della modernità, sono gli alfieri della modernità in marcia contrapposta all'oscurantismo dei secoli bui.

Sono in corso dunque nella seconda metà dell'Ottocento tutta una serie di fenomeni di integrazione e di assimilazione delle antiche comunità ebraiche ai gusti, ai costumi, agli orientamenti ideali e politici della società borghese maggioritaria.

Non c'è dubbio che quando arriveremo alle leggi di discriminazione antiebraiche in Francia, in Italia, in Germania, è una lacerazione fortissima che si verifica, colpisce gente che si sente profondamente tedesca, italiana, francese e che scopre per così dire di non esserlo più, di non poter esserlo più. Non per questo, non perché erano in corso questi processi di integrazione e assimilazione, il pregiudizio antiebraico era scomparso; radicato da secoli quel pregiudizio antiebraico offriva un facile strumento di mobilitazione a tutte le forze che erano opposte e contrarie al sistema politico-sociale esistente.

L'antisemitismo, l'ostilìtà per gli ebrei, offre uno strumento di mobilitazione a quanti vogliono mobilitare forze sociali avverse al sistema politico liberale. Proprio perché simboli della modernità, della nuova società individualista, capitalistica e borghese, gli ebrei diventano il bersaglio di tutte le forze che sono avverse al sistema politico e sociale esistente. Quindi troviamo tematiche antiebraiche che sono chiaramente presenti nei teorici del socialismo (da Toussenel a Marx a Proudhon a Blanqui e ai suoi eredi), che sono presenti nei partiti socialisti e nella propaganda socialista. I socialisti in realtà abbandoneranno i temi e la propaganda antisemita soprattutto alla fine dell' Ottocento, quando nel corso dell'affaire Dreyfus, quel processo che vede accusato di alto tradimento un ufficiale francese di origine ebraica con lo scatenamento di tutte le forze reazionarie, i socialisti si accorgeranno che la campagna antiebraica mina le libertà repubblicane, è condotta dai settori della società avversi alle libertà moderne, essenziali per la crescita stessa del movimento operaio.

Ma la propaganda antisemita è largamente presente anche, e con impatto e consensi maggiori, nei nascenti movimenti nazionalistici, avversi tutti al sistema liberale, che negli ebrei individuano il corpo estraneo alle tradizioni e ai caratteri dei rispettivi popoli.

Un posto tutto particolare infine occupa l'antisemitismo, occupano la propaganda e le campagne antiebraiche all'interno dei nascenti partiti e movimenti cattolici. lo credo si possa dire, in riferimento alla diffusione e all'impregnazione di antisemitismo più o meno latente che le società europee presentano nei primi decenni del '900, che un ruolo particolare lo svolgono appunto i partiti e i movimenti cattolici. Non è un caso del resto che Hitler nel Mein Kampf indichi in Karl Lueger (il famoso sindaco di Vienna e capo dei cristiano sociali austriaci, che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento aveva fatto dell'antisemitismo un elemento di forza del suo partito) un modello che attestava la validità e l'utilità politica e sociale della mobilitazione antisemita per raccogliere consensi.

Va detto che le gerarchie ecclesiastiche e gli esponenti del pensiero politico cattolico erano stati nella grandissima maggioranza fin dall'inizio avversi all'emancipazione ebraica portata dalla rivoluzione. L'emancipazione ebraica viene vista come un colpo portato alla Chiesa dalle sette, dalla rivoluzione, dai massoni, da tutti coloro insomma che avevano cospirato per preparare la rivoluzione francese; l'emancipazione viene vista come un segno dell'odio anticristiano della setta, perché minava alla base il regime di cristianità, quel regime cioè costruito secondo le norme dettate dalla Chiesa e che prevedeva tra l'altro, secondo uno schema molto antico, la soggezione sociale e politica degli ebrei.

L'aspetto significativo però è che, nella seconda metà dell'Ottocento, sono gli ebrei stessi a divenire, nella polemica e nel pensiero politico cattolico, i protagonisti della rivoluzione, essi i principali cospiratori che hanno tramato contro l'ordine sociale esistente e contro la Chiesa. C'è tutta una elaborazione sia di tipo teologico e pseudoteologico sia di tipo propagandistico che diffonde l'idea degli ebrei, nemici per eccellenza del nome cristiano, che hanno cospirato contro la Chiesa. Tornano in campo tutta una seria di antichi stereotipi e di antiche accuse già elaborati dal pensiero patristico e poi nel Medioevo, dall'accusa del deicidio alla diaspora intesa come segno del castigo divino, cui si aggiungono le accuse di omicidio rituale, cioè di servirsi del sangue di bambini cristiani per impregnarne il pane azimo per la Pasqua, di avvelenamento dei pozzi, di aver diffuso la peste in Europa e via dicendo. Tornano in campo tutte queste accuse però in qualche modo tradotte in operazioni politiche, funzionali alla battaglia politica, perché il punto fondamentale è che la rivoluzione ha gravemente minato, ha gravemente messo in discussione quello che era il ruolo della Chiesa cattolica all'interno della società

Le società secolarizzate, le società che sostengono e attuano secondo lo schema liberale la separazione tra Stato e Chiesa, la secolarizzazione, la sottrazione al controllo ecclesiastico della scuola, sono società che vengono accusate di ripetere l'antico grido che gli ebrei avevano pronunciato contro Cristo: "Non vogliamo che costui regni su di noi". Per la Chiesa le società secolarizzate sono società influenzate dal pensiero ebraico, dall'odio anticristiano degli ebrei.

Inoltre in questo periodo viene prodotta tutta un serie di testi propagandistici, di veri e propri falsi alcuni dei quali hanno avuto larghissima diffusione e un'enorme fortuna: la lettera di un massone di Berlino rivela che in realtà la massoneria, nemica principale della Chiesa nell'800, è stata fondata dagli ebrei; il capitolo di un romanzo, Biarritz, che in un suo capitolo presenta il discorso di un rabbino al cimitero di Praga rivolto ai rappresentanti delle 12 tribù di Israele nella prospettiva della conquista del mondo, diventa un testo autonomo, quale documento di un episodio autentico, che ottiene una larga diffusione (se ne trovano ancora stampe nel periodo nazista). Esso costituisce in qualche modo la premessa di quei "Protocolli dei savi anziani di Sion", costruiti dalla polizia politica zarista, che furono presentati come il verbale segreto dei savi di Sion (ossia dei capi degli ebrei), convocati in una riunione tenuta al margine del Congresso sionista di Basilea del 1897 per programmare la conquista del mondo.

Questo insieme di ragioni, di temi, di elementi diversi, si traducono poi nella propaganda dei partiti e dei movimenti cattolici che sono in fase di nascita nella seconda metà dell'800: lo Stato non svolge più la funzione di difesa della Chiesa e del cristianesimo che gli spetterebbe, quindi i partiti e i movimenti cattolici devono sostituire lo Stato nella sua funzione di difesa della Chiesa e degli interessi cattolici. E questi partiti, per raggiungere un più largo consenso sociale, avviano, con intensità maggiore o minore, una serie di campagne antisemite servendosi dei temi che ho appena illustrato.

Va aggiunto, e questo è un punto importante, che non ci sono solo i partiti cattolici che agitano l'antisemitismo, anche altre forze avverse all'ordine esistente agitano l'antisemitismo. I movimenti cattolici, facendolo proprio, possono rivendicare una sorta di primogenitura e aspirare a raggiungere nella società una egemonia sui vari movimenti anche non-cristiani che agitano la polemica antiebraica, recuperando così quel consenso sociale che la Chiesa era in fase di perdere. "La Civiltà Cattolica" lo scrisse con grande chiarezza nei primi anni Ottanta del 1800: "la stampa giudaica schernisce e calunnia la Chiesa cattolica e i suoi ministri, il cittadino e l'operaio antisemitico che prima non voleva sapere né di messa né di predica né di sacramenti e fuggiva il prete come la peste, frequenta ora, in odio agli ebrei, la Chiesa, dimostra al prete cattolico la sua venerazione, ne ascolta di buon grado gli avvertimenti e finisce col diventare un buon cristiano e aver cura che i suo figli vengano allevati religiosamente".

Assistiamo quindi ad un incrocio di temi nuovi e di stereotipi e accuse antiche. Nell’Europa centro-orientale negli ultimi 20 anni dell'800 abbiamo 15 processi per omicidio rituale, cioè un'antica accusa medievale che viene riproposta in funzione delle nuove campagne antisemite.

Le grandi prove di questo nuovo antisemitismo politico che trova i cattolici alla sua testa si svolgono in particolare in due paesi: l'Austria-Ungheria da una parte, con i cristiano sociali viennesi che ottengono un crescente successo, e Francia dall'altra in particolare nel corso dell'affaire Dreyfus.

Va aggiunto peraltro che alla fine dell'Ottocento tutta l'area europea è percorsa da tematiche e agitazioni antisemite: in Polonia per esempio il Congresso cattolico di Cracovia del 1893 proclama il boicottaggio di tutti i negozi ebraici e alla fine del secolo Stanislav Stojalowski, un prete molto legato ai cristiano sociali viennesi, organizza nella Galizia austriaca tutta una serie di agitazione antiebraiche (da cui prenderà poi le mosse la tradizione antisemita del partito nazionale democratico polacco). I cattolici italiani per parte loro, in seguito al non expedit proclamato dal papa, non partecipano alle elezioni politiche e quindi in Italia allora non abbiamo partiti cattolici veri e propri, ma la stampa cattolica pullula ugualmente di tematiche antisemite come strumento della polemica contro lo Stato liberale. Mette in evidenza il carattere strumentale che ha la polemica antiebraica in questo periodo il fatto che si polemizza contro gli ebrei per combattere lo Stato liberale, per combattere lo Stato retto con il sistema delle libertà moderne.

 

Qual è l'atteggiamento a questo riguardo della Santa Sede, ossia del papa e della curia romana? Sul piano pubblico è estremamente riservato, non ci sono esplicite pronunce pubbliche antiebraiche. La Santa Sede si pronuncia contro la massoneria, contro tutta una serie di movimenti e indirizzi ideologici contemporanei, ma nulla dice pubblicamente sugli ebrei. Però dalla corrispondenza riservata, che si può consultare oggi nell'archivio del Vaticano, risulta il pieno appoggio dato ai movimenti cattolici antisemiti. Badate non è una forzatura terminologica chiamare questi movimenti antisemiti, sono essi stessi che si definiscono tali, il termine "antisemita" viene abitualmente usato anche per definire i movimenti cattolici o settori del movimento cattolico.

Non si può dire però che tutte le gerarchie ecclesiastiche siano schierate su questa linea. Nella primavera del 1895 ad esempio l'episcopato austriaco e il governo viennese denunciarono a Roma i cristiano sociali, e li denunciarono non per amore sviscerato degli ebrei, ma perché li consideravano un movimento di tendenze socialiste, ribelle alle gerarchie; denunciarono però anche il loro antisemitismo definendolo razzistico. Fu perciò costituita una commissione di cardinali per esaminare la questione, e alla fine furono mandate ai cristiano sociali una serie di raccomandazioni, ma il tema dell'antisemitismo e della polemica antiebraica venne lasciato completamente cadere, in una sorta di avallo silenzioso della loro azione: tanto è vero che quando nella più grande e bella sala di Vienna i cristiano sociali riunirono una grande assemblea per dichiarare la loro piena accettazione delle raccomandazioni romane (essere obbedienti ai vescovi, distinguersi chiaramente dai socialisti, rispettare il governo imperiale e via dicendo), i loro discorsi risultarono intrisi di polemica antisemita, segno, appunto, che da Roma non era venuta nessuna raccomandazione al riguardo. Karl Lueger e tutta una serie di capi del partito usano tranquillamente il termine Schmarotzer (parassiti) per definire gli ebrei, un termine chiaramente molto pesante.

Lo stesso si può dire, per quanto riguarda il secondo grande episodio di mobilitazione cattolica in funzione antiebraica. Avviene in Francia nel corso dell'affaire Dreyfus, quando cioè, in particolare tra il '97 e il '98, la gran parte del cattolicesimo francese si schiera per la colpevolezza del capitano ebreo nonostante i molti segni che ne attestavano ormai l'innocenza, e intessendo la polemica contro coloro che chiedono la revisione del processo di tematiche antisemite.

I giornali cattolici dell'epoca sono pressoché tutti più o meno violentemente antisemiti: i giornali cattolici francesi in primo luogo, ma non solo essi (il caso Dreyfus suscita in effetti un dibattito europeo: tra gli italiani, ad esempio, "L'Osservatore Romano", il giornale ufficioso della Santa Sede, che per di più in quel periodo sottoponeva tutti gli articoli riguardanti la Francia alla revisione della Segreteria di Stato, presenta tutta una serie di articoli violentemente antisemiti, mentre le campagne antiebraiche sono indicate come un segno di riscossa dello spirito cristiano). Ed è significativo il fatto che, quando un gruppo di cattolici inglesi chiede al Santo Uffizio di dichiarare che l'accusa di omicidio rituale è un'accusa infondata (lo chiede soprattutto perché in quell'accusa stava una delle ragioni di mobilitazione popolare contro gli ebrei) il Santo Ufficio risponde: "Non si può dare la dichiarazione richiesta", e dalla discussione che precede la sentenza emerge chiaramente che si è persuasi che l'omicidio rituale esiste.

Qual è il punto però? Mentre in Austria-Ungheria il movimento cristiano sociale antisemita segna molti punti di vantaggio, la campagna antisemita in Francia si risolve con una pesante sconfitta. Le libertà repubblicane infatti sono viste minacciate: si ricompone perciò la concentrazione repubblicana e i cattolici vengono politicamente emarginati, mentre il governo francese avvia quel processo che porta allo scioglimento delle Congregazioni religiose, alla separazione tra Stato e Chiesa e alla denuncia del concordato.

Questa sconfitta, che viene largamente attribuita agli eccessi della campagna antisemita, determina in qualche modo un affievolimento, nel primo decennio del '900, della propaganda antiebraica nei movimenti cattolici. É un fenomeno peraltro che si realizza in parte in tutta Europa. Questa sorta di accantonamento dell'antisemitismo non significa affatto però un suo superamento, tanto è vero che violente campagne antiebraiche si ripropongono periodicamente in occasione di determinati avvenimenti, come il processo Beylis, l'ultimo grande processo per omicidio rituale che ha luogo a Kiev nel 1913, o la dichiarazione Balfour che assegna agli ebrei, nel 1917, un "focolare" in Palestina, o lo scoppio della rivoluzione in Russia, che viene attribuita alla influenza ebraica.

Però con l'inizio degli anni '20 si verifica un fenomeno che crea difficoltà e imbarazzo tra le file cattoliche e in genere cristiane. Perché, mentre alla fine dell'800 si poteva pensare di riuscire, da parte cattolica e cristiana in generale, ad egemonizzare gli altri movimenti antisemiti, con gli anni Venti fa la sua comparsa in forze un antisemitismo razzista che è insieme violentemente anticristiano, ed è questo movimento. che in parte sfocerà nel nazismo.

Da questo punto di vista viene meno la speranza di poter egemonizzare tali movimenti così esplicitamente, oltre che antisemiti, anche anticristiani. Perciò da parte cattolica in particolare si comincia a distinguere tra due antisemitismi: un antisemitismo proibito che combatte gli ebrei in quanto ebrei e che ha dunque un fondamento razzistico, e un antisemitismo che combatte gli ebrei per il male che fanno, e quindi è permesso, o addirittura, come scrive il vescovo di Linz monsignor Gfollner nel gennaio del '33, è dovere di coscienza di ogni cristiano consapevole.

Questa distinzione mira a chiarire che non vi è un fondamento razzistico nell'antisemitismo cristiano, giustificandolo appunto con il male che gli ebrei fanno. Infatti la secolarizzazione della società, la sua progressiva scristianizzazione, l'introdursi di costumi liberi, la pornografia, tutto viene attribuito all'influenza degli ebrei. Si tratta di temi da tempo largamente diffusi nella pubblicistica cattolica. Nel gennaio 1933, quando il presidente tedesco Hindenburg affida a Hitler la carica di cancelliere del Reich, e soprattutto dopo le elezioni generali del 5 marzo, avviene un fatto nuovo.

Fino ad allora l'antisemitismo era stato agitato da partiti, da movimenti culturali e sociali, ma non era mai arrivato al potere. Con il marzo '33 arriva al potere, in un grande Stato europeo come la Germania, il nazismo, che dell'antisemitismo faceva una componente centrale della sua ideologia.

Immediatamente partono una serie di disposizioni contro gli ebrei che ho già ricordato (il boicottaggio dei negozi e delle imprese ebraiche è indetto il 1 o aprile, mentre il 7 un decreto del governo allontana gli ebrei dagli uffici pubblici e dall'insegnamento). Viene indirizzata perciò da parte di personalità ebraiche, ma non solo, la richiesta alla Santa Sede di intervenire in loro difesa. Ci sono tutta una serie di documenti nuovi da questo punto di vista che attestano una pressione in direzione di Roma. Scrivono rabbini da varie parti d'Europa, ma scrivono anche cattolici, come ad esempio Edith Stein, non ancora carmelitana, che scrive a Pio XI: "il buon nome della Chiesa corre gravi rischi se non interverrà a difesa degli ebrei".

Il Segretario di Stato, ossia il Cardinale Pacelli, futuro Pio XII, consulta il nunzio: si può fare qualcosa? Risposta del nunzio: la campagna antisemita è diventata un fatto del governo, intervenire a difesa degli ebrei significherebbe interferire nelle faccende interne della Germania. Si afferma così un criterio che verrà adottato anche negli anni successivi. A spiegare questa scelta del silenzio nei confronti della persecuzione cui gli ebrei sono sottoposti va ricordata la preoccupazione da parte dei cattolici di diventare anch'essi un obiettivo della campagna antinazista (ci sono in effetti segnali minacciosi in questo senso), e va ricordato anche il fatto che lungo tutto l'arco del potere nazista è in atto una strisciante persecuzione anticattolìca e anticristiana.

Ma ciò che soprattutto importa sottolineare è che in qualche modo la Santa Sede fa proprio un criterio che corrisponde al punto di vista del governo nazista: intervenire a difesa degli ebrei significa interferire nelle questioni interne tedesche, significa compiere un atto di ostilità antigovernativa.

Vi citerò a questo riguardo un episodio in fondo marginale, ma molto significativo. Nel giugno del 1934 un prete di un piccolo paese della diocesi di Paderborn scrive a Roma. "La polizia politica mi ha allontanato dalla mia parrocchia", lasciando capire nello stesso tempo che il suo arcivescovo ha fatto ben poco per difenderlo. Il cardinale Pacelli chiese perciò al vescovo spiegazioni e il vescovo rispose con una lunga lettera. Per lui il prete in questione era un personaggio strano. Senza soffermarsi sulle cose passate, egli ricorda come recentemente in una predica avesse detto che Abramo, Gesù Cristo, la Madonna, gli apostoli erano ebrei e che dunque non è il sangue tedesco che ci ha salvati ma è il sangue ebraico. Inoltre al funerale di un ebreo si è presentato, segno di particolare omaggio al defunto, col cilindro. Questo ha creato grave scandalo nel paese e il consiglio parrocchiale ha deciso all'unanimità che non poteva continuare ad operare in parrocchia. Perché? Perché con queste sue dichiarazioni ha compiuto un atto che viene considerato antigovernativo: in effetti in quegli stessi giorni la polizia politica aveva deciso che non si doveva acquistare dai negozi ebraici e quindi queste sue dichiarazione sono suonate come un esplicito atto di critica a queste disposizioni.

Questo parroco dunque resterà allontanato dalla sua parrocchia. Non pare sia stato messo in un campo di concentramento ma la cosa resta oscura. In una grossa opera che fa l'elenco dei 10.000 e più preti cattolici perseguiti a vario titolo in Germania dalla polizia, egli figura solo come allontanato dalla sua parrocchia.

Ma quello che è importante sottolineare è che anche sul piano concreto non solo è in corso una emarginazione sociale degli ebrei, ma in qualche modo la gerarchia ecclesiastica così come la Santa Sede fanno proprio il punto di vista, il criterio di giudizio del governo nazista: difendere gli ebrei è compiere un atto contro il governo e contro lo Stato.

La difficoltà a scendere in campo in difesa degli ebrei non si manifesta solo in Germania né coinvolge solo la Santa Sede. Vi è ad es., una lunga dichiarazione che il cardinale di Varsavia, Alexander Kakowski fa nel giugno del '34 ad un gruppo di rabbini venuto a chiedergli di intervenire contro le violenze in atto in quel momento in Polonia contro gli ebrei (va ricordato che c'è una tradizione antisemita polacca cui si aggiunge in quegli anni anche l'influenza del nazismo). Il cardinale risponde: io sono contro tutte le violenze, ma non bisogna dimenticare che gli ebrei sono alla testa di tutti i movimenti anticristiani, hanno diffuso la pornografia, sono a capo dei partiti comunisti e via dicendo.

E lo stesso tipo di considerazioni e di ragionamenti, la stessa difficoltà a intervenire pubblicamente si manifestano dovunque si avvino campagne antisemite e dovunque si avviino, nel corso degli anni '30, una serie di legislazioni contro gli ebrei.

L'introduzione delle leggi razziali in Italia suscita il tentativo da parte della Santa Sede di trasformarle in leggi confessionali, ossia di esentare da esse gli ebrei cristiani ma non suscita un' opposizione frontale.

Vi è tuttavia un tentativo di svolta molto interessante che Pio XI compie alla fine del suo pontificato. Non solo accentuando l'attacco al III Reich per la persecuzione antireligiosa in corso ma individuando nello stesso tempo nel razzismo e nell'antisemitismo una minaccia mortale per la coscienza cristiana. Da ciò l'affidamento da parte sua ad un gesuita americano di preparare il testo di una enciclica contro il razzismo e l'antisemitismo, e vi sono inoltre tutta una serie di sue dichiarazione pubbliche (soprattutto quella del 15 luglio 1938, quando dice di non aver mai pensato intorno a queste cose così chiaramente, parlando del manifesto dei cosiddetti scienziati razzisti come di un' apostasia che tocca i gradini dell' altare - va ricordato che ormai è in pieno corso in Italia la campagna antisemita, che porterà all'emanazione delle leggi razziali nel novembre); c'è la sua dichiarazione del 6 settembre, il giorno successivo dell'allontanamento dei professori e degli studenti ebrei dalle scuole, che l'antisemitismo è incompatibile col cristianesimo, una dichiarazione fatta ad un pellegrinaggio belga che resterà sconosciuta alla stampa italiana (sarà un giornaletto belga che la stamperà e che "La Croix" diffonderà su larga scala); e c'è infine la sua dichiarazione del Natale del '38 che definirà la svastica come la croce nemica della croce di Cristo.

Anche se la documentazione è solo parziale, è chiaro tuttavia che Pio XI, pur gravemente malato e con una capacità di governo ridotta, stava adottando una linea di rottura con il III Reich che avrebbe avuto inoltre gravi ricadute anche sui rapporti con il regime fascista. Ma numerosi sono anche i segni che una tale linea non incontrava il consenso di gran parte della curia né del suo stesso Segretario di Stato.

Con la morte di Pio XI si avvia un nuovo tentativo di ristabilire buone relazioni sia col regime fascista sia col III Reich, ma lo scoppio pochi mesi dopo della seconda guerra mondiale modifica profondamente il quadro e sposta largamente le questioni.

Non c'è dubbio che parlare di Pio XII come del papa di Hitler, come ha fatto uno studioso inglese, John Cornwell, è una vera sciocchezza. Pio XII non era il papa di Hitler. È un fatto però che Pio XII e la Chiesa si trovavano di fronte a problemi che dal loro punto di vista consideravano molto più importanti rispetto alla difesa degli ebrei. Pesa fortemente inoltre il sostanziale silenzio mantenuto nei confronti della persecuzione antiebraica nel corso di tutti gli anni precedenti.

 

Si incrociano dunque due fenomeni: la guerra porta nuovi gravi problemi, ma conta anche il fatto che la persecuzione antiebraica in atto ormai da anni non aveva sollevato particolari proteste pubbliche. Durante la Kristallnacht, il pogrom del novembre '38, si contano sulle dita di una mano i preti cattolici e i pastori protestanti che elevano pubblicamente la voce. Ed è una voce solitaria quella del prevosto di Berlino, monsignor Lichtenberg, che dice che la sinagoga che brucia là nei pressi è anch'essa una casa di Dio.

La linea generale assunta dalla Santa Sede durante la guerra, linea in cui va ovviamente inserito il problema suscitato dallo sterminio degli ebrei, è una linea che sceglie l'imparzialità rispetto ai contendenti; ripropone cioè la linea che era già stata di Benedetto XV durante la prima guerra mondiale. Nel momento in cui i suoi figli sono in lotta il Papa non può prendere posizione per l'uno o per l'altro (così più o meno testualmente l'Osservatorio Romano del 15 novembre 1939).

Perché questa scelta di imparzialità? Per varie ragioni. In primo luogo per cercare di proporsi come efficace mediatore di pace; e per essere mediatore di pace bisognava mantenere rapporti con entrambi i contendenti. Attaccare la persecuzione degli ebrei condotta dal III Reich significava inevitabilmente rompere i rapporti con la Germania. Si voleva anche tutelare le iniziative di soccorso e di informazione messe in campo dalla Santa Sede. Inoltre di fronte agli episcopati, al clero e ai fedeli che secondo la tradizione si schieravano a difesa e a sostegno delle proprie patrie in lotta (nella lettera pastorale del giugno 1941 i vescovi tedeschi affermano chiaramente che compiere il proprio dovere per la patria è compiere il sacro volere di Dio, e non diversamente avviene in Francia o in Italia), il papa si mantiene fuori dalla mischia come segno della persistente unità della Chiesa.

Ma ci sono anche ulteriori motivi più specifici che spiegano la linea assunta da Pio XII. Si trattava infatti anche di tutelare il cattolicesimo tedesco, tutelarlo non solo dalla strisciante persecuzione che era in fase di crescita, ma anche rispettando, tenendo conto del suo patriottismo. Sono due aspetti che vanno tenuti presenti. I vescovi tedeschi distinguono costantemente tra le misure assunte contro la Chiesa e quegli aspetti dell'ideologia del nazismo che andavano combattuti e condannati da una parte, e il lealismo dovuto allo Stato e al Fuehrer della nazione dall'altra, né manca l'apprezzamento per certi aspetti della sua politica.

Infine oltre al problema di tentare di ristabilire la pace, di porsi come mediatore efficace di pace, c'era il problema di tentare di ricostituire l'unità dell'Europa centro-occidentale per far fronte alla minaccia sovietica. Minaccia enunciata fin dalle prime settimane di guerra: l'accordo, l'alleanza germano-sovietica della fine di agosto fu vista come una prospettiva terrificante da parte della Santa Sede. La preoccupazione era che i contendenti consumassero le loro forze lasciando libero campo ai nemici della civiltà cristiana, come disse Pio XII. Quando la Germania aggredì la Russia la speranza fu che le due potenze considerate entrambe anticristiane si consumassero tra loro (come si disse in Vaticano: un diavolo scaccia l'altro). Ma quando, nel corso dell'inverno '421'43, si delineò il rovesciamento delle sorti della guerra, e l'armata rossa cominciò la sua avanzata verso occidente, le preoccupazioni aumentarono e tanto più si fece forte in Vaticano la tendenza a mantenersi come efficaci possibili mediatori di pace persino all'indomani della dichiarazione delle potenze alleate del gennaio '43 che avanzava alle potenze dell'Asse la richiesta di una resa senza condizioni.

Se queste sono le ragioni complessive che ispirarono e animarono la linea della Santa Sede, e rispetto alle quali è difficile negare che il destino degli ebrei restò per essa un problema secondario, ci sono ancora alcune osservazioni specifiche da fare rispetto al suo atteggiamento di fronte all'inizio della loro deportazione e all'avvio del loro sterminio. Ci sono, com'è noto, due dichiarazioni di Pio XII che accennano, pur senza nominarli espressamente, alla condizione degli ebrei: l'una nel messaggio radiofonico del Natale 1942 e l'altra nel discorso ai cardinali del giugno 1943, parlando di coloro che vengono uccisi solo in ragione della propria stirpe.

Va precisato che in Vaticano, dalla seconda metà del '42, si è perfettamente informati di ciò che sta succedendo agli ebrei. Parlare di una scarsa conoscenza da parte del Vaticano di ciò che era in corso è assolutamente infondato, significa confondere ciò che si sapeva nelle alte sfere con quella che era la scarsa conoscenza che si aveva a livello popolare. Le fonti d'informazione del Vaticano non erano solo le potenze alleate angloamericane, che potevano essere accusate o sospettate di tendenziosità. Sono fonti dirette, sono i nunzi, i vescovi, sono i cappellani militari, sono il clero. I cappellani militari italiani per esempio a seguito dell'Armir inviata da Mussolini in Russia, sono prezioso tramite di informazioni. Così alcuni vescovi lituani, polacchi, tedeschi. Monsignor Groeber, arcivescovo di Friburgo, scrive a Pio XII nel giugno del 1942, alla luce dei massacri compiuti in Russia dalle Eisatzgruppen e di ciò che sta avvenendo in Polonia, che con tutta evidenza il programma dei nazisti non intende limitarsi a distruggere l'ebraismo solo nei suoi fondamenti culturali, ma anche nei suoi appartenenti. E nel gennaio del '42 un altro vescovo, monsignor Berning, scrive nei suoi appunti personali: "con tutta chiarezza si sta varando un programma per distruggere completamente gli ebrei".

La Santa Sede dunque mantenne un sostanziale silenzio pur essendo informata, cercando di delegare piuttosto agli episcopati locali un eventuale pronunciamento. E in effetti alcuni pronunciamenti ci furono, vari, diversi e variamente articolati. Qualche vescovo francese prese esplicita e pubblica posizione contro la deportazione. Altri episcopati, come ad esempio quello slovacco e quello ungherese, intervennero tardi e dopo molte pressioni e non senza inserire nelle loro dichiarazioni molti riferimenti alle presunte colpe degli ebrei. In Germania ci fu una forte pressione da parte di alcuni gruppi perché l'episcopato parlasse, ma l'episcopato tedesco non parlò.

Chiuderò soffermandomi su un ultimo punto, che è in parte collegato a quanto ho appena detto. Spesso si dice che parlare sarebbe stato perfettamente inutile: la polizia tedesca, la Gestapo, le SS, erano scatenate nella loro caccia agli ebrei. Naturalmente è difficile lavorare sugli argomenti ex-silentio, è difficile lavorare con i se e con i ma; però restano alcuni fatti significativi. Quando col settembre '39 viene avviata la famosa operazione T 4, cioè la sistematica eliminazione degli handiccapati e dei malati mentali degli ospedali tedeschi, lentamente la voce si diffonde tra i parenti, che ricevono la notizia di morti improvvise. Via via ci si persuade che è in corso un'eliminazione sistematica. Nel giugno del' 41 numerosi vescovi di decidono a parlare. In particolare sono famose tre prediche tenute da monsignor von Galen, vescovo di Munster, che denunciò dal pulpito il crimine in corso. Suscitarono un' enorme emozione nel paese.

Furore dei nazisti, bisogna impiccarlo, si disse. Hitler progettò un grande processo pubblico. Ma alla fine si decise di rinviare la resa dei conti alla conclusione vittoriosa del conflitto. Se tocchiamo von Galen la Westfalia sarebbe perduta per la guerra, scrisse Goebbels nel suo diario. Ma intanto quelle eliminazioni sistematiche vennero interrotte. Perché l'impatto di queste prediche sull'opinione pubblica, non solo cattolica, era stato estremamente forte.

Ma qual è il punto? Scendendo in campo per gli ammalati mentali e gli handicappati von Galen scende in campo per i suoi Volksgenossen, cioè per i suoi concittadini, per i membri del suo popolo. Gli ebrei non erano considerati tali e l'insieme dell'opinione pubblica tedesca non era preparata, non era disponibile ad accogliere denunce di questo tipo in loro favore. Si incrociano qui due elementi: da una parte c'è l'acquisizione del punto di vista nazista che voleva gli ebrei espulsi dalla comunità nazionale, estranei ad essa (la lenta penetrazione della propaganda cui ho accennato prima ottiene un largo successo); dall'altra vi è un'opinione pubblica del tutto impreparata, perché negli anni precedenti gli ebrei mai sono stati difesi.

La guerra si concluse così senza che una parola esplicita e pubblica di condanna dello sterminio degli ebrei venisse pronunciata dall'episcopato tedesco. Pressioni in questo senso vi furono fino all'ultimo, e non mancano testimonianze drammatiche e atti di grande coraggio. La responsabile del servizio di assistenza organizzato a Berlino, Margarete Sommer, scrisse lettere appassionate ai vescovi perché parlassero e denunciassero ciò che stava avvenendo (solo un linguaggio massiccio può salvare, dal pulpito, pubblicamente, era il suo messaggio). In realtà, allora e ancora nei primi anni del dopoguerra, il massacro, lo sterminio degli ebrei si confonde, non solo per l'opinione pubblica tedesca ma anche per la stessa opinione pubblica europea, nelle grandi sciagure della guerra. Solo lentamente emergerà la consapevolezza della specificità, dell'unicità che la Shoah aveva rappresentato. Però insisto: per capire i prodromi che l'hanno preparata, gli orientamenti dello spirito pubblico che l'hanno preparata, impedendo le difese, la protesta, il rifiuto, bisogna guardare agli anni che l'hanno preceduta, quando fu avviata l'emarginazione sociale e la persecuzione degli ebrei. È allora che si preparano e si manifestano quegli atteggiamenti di rimozione e di indifferenza che ne hanno resa più facile l'attuazione. Ciò non riguarda la società tedesca soltanto ma va collocato e capito all'interno delle diverse società europee che l'hanno in varia misura permessa e prodotta.

 

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