Tanto rumore
per nulla

03/12/2013

Il caso della Tailandia

Le grandi dimostrazioni e i disordini di fine novembre-inizio dicembre a Bangkok sono la manifestazione della frattura fra gli interessi politici di due parti del paese, che perdureranno nel tempo. L’attuale governo gode di grande sostegno popolare nelle regioni agricole e fra la popolazione più povera, grazie a politiche populiste, mentre l’opposizione è forte nelle aree di economia moderna, presso la borghesia urbana, e ha il favore dell’esercito e della corte. Ma l’attuale governo, piaccia o non piaccia, ha il sostegno della maggioranza, e il suo rovesciamento non avverrà a furor di popolo, con proteste e dimostrazioni, a meno che non ci sia anche un golpe militare. I militari hanno già fatto un golpe contro il governo di Thaksin Shinawatra nel 2006, ma alle elezioni successive la popolazione ha votato a maggioranza la sorella di Thaksin, Yingluck, attuale primo ministro. È poco probabile che i militari ricorrano di nuovo al golpe, per ora.

Il caso della Cina

La Cina ha recentemente esteso la propria Zona di Identificazione per la Difesa Aerea (ADIZ) sopra alle isole contese Senkaku-Diaoyu, su cui già si estende la ADIZ del Giappone, e parzialmente anche quella di Taiwan (mappa a lato). I notiziari e i giornali ne hanno parlato come di un atto aggressivo. Molti pensano che si tratti di qualche cosa di analogo all’estensione della sovranità territoriale sulle acque. Non è così. La sovranità di ogni paese si estende sulle acque e nei cieli per 22 miglia dalle proprie coste, per convenzione internazionale. Ma molti paesi istituiscono zone molto più ampie in cui chiedono agli aerei di identificarsi. È un monitoraggio dello spazio aereo al di fuori dei propri cieli, che gli stati di solito organizzano per iniziativa unilaterale. 

L’estensione delle ADIZ non è regolata dalla legge internazionale, ogni paese sceglie fin dove estenderla. La ADIZ giapponese su quella zona di mare risale al 1969, ed è stata ampliata di 22 chilometri lo scorso giugno. Ovviamente il fatto che le scogliere sottostanti quello spazio aereo − e i giacimenti di gas sottostanti quel mare − siano contesi fra più stati rende particolarmente significativa qualunque modifica di
comportamento fra i contendenti. Ma non è il caso di temere che questo costituisca l’innesco di un confronto militare.

Il caso dell’Ucraina

Le dimostrazioni, duramente represse, degli studenti a Kiev non sono segno che qualche cosa cambierà in Ucraina. Il paese è spaccato in due parti con composizione etnica diversa, che vogliono una politica diversa. Il sud-est del paese, che ha una grande componente di popolazione russa, sostiene il partito attualmente al governo. Dalla caduta dell’URSS le regioni dell’ovest votano per partiti europeisti, che vogliono liberarsi da legami troppo stretti con i Russi (mappa a lato). Le dimostrazioni dei giorni scorsi, pur affollate, non si sono estese ad altre parti del paese, ma sono rimaste circoscritte alla capitale. Ancor più significativo è che alle dimostrazioni abbiano partecipato quasi esclusivamente giovani e giovanissimi: non hanno partecipato i sindacati, non hanno partecipato gruppi di popolazione di altra età. È dunque poco probabile che queste dimostrazioni portino a cambiamenti politici significativi. Ma è certo che la divisione fra le due parti del paese rimarrà e continuerà a rendere difficile e controversa la vita politica ucraina.

 

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