Perché
tanta anarchia?

12/02/2014

È il titolo di un saggio di Robert Kaplan per Strategic Forecasting, di cui traduciamo le parti più significative.

“Invece di seguire i dettami del Progresso e del Razionalismo, molte aree del pianeta sono sempre più difficili da governare, e ancora non conoscono una società civile diffusa. In questi luoghi la società civile rappresenta una minoranza, un’élite concentrata nelle città principali, composta di quelle persone che i giornalisti occidentali riescono ad avvicinare e intervistare, che quindi risultano sovrarappresentate nei media.

[…] L’anarchia che in questo periodo caratterizza in particolare il mondo arabo ha radici profonde, tra cui:

- Il tramonto dell’imperialismo. L’imperialismo ebbe il vantaggio di assicurare a gran parte dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina sicurezza e ordine amministrativo. Gli Europei in particolare divisero il pianeta in entità statali più o meno artificiose e vi esercitarono il loro governo. Poteva non essere giusto e non essere del tutto civile, ma perlomeno assicurava un certo ordine. Ora l’imperialismo, che ha costituito il perno della stabilità per migliaia di anni, è finito.

- La caduta dei dittatori negli stati coloniali. Il colonialismo non sparì con la partenza degli Europei, ma continuò per decenni sotto i dittatori che ereditarono il sistema statale dei colonialisti. Poiché questi dittatori si consideravano combattenti per la liberazione dei loro paesi dall’oppressione occidentale, pensavano di avere il diritto morale di governare a modo loro. Gli Europei non furono democratici in Medio Oriente, ma non lo furono neppure questi nuovi governanti. Hafez al Assad, Saddam Hussein, Ali Abdullah Saleh, Muammar Gheddafi e i capi di stato succedutisi in Egitto fino a Hosni Mubarak erano tutti di questa categoria, ma sono ormai usciti di scena (tranne in Egitto, dove sono tornati al potere).

- La carenza di istituzioni. Questo è l’elemento centrale. I dittatori arabi post-coloniali erano alla testa di stati moukhabarat, ovvero stati in cui l’ordine era mantenuto dalla polizia segreta e da altre forze di sicurezza. Ma l’impiego di queste strutture nascondeva gravi carenze dell’apparato istituzionale e burocratico, incapace di far fronte alle necessità di popolazioni sempre più urbanizzate, che richiedevano servizi e infrastrutture complesse. Sono le istituzioni a riempire il vuoto tra i governanti e i clan o i nuclei tribali. Lo scarso sviluppo delle istituzioni aumenta esponenzialmente le probabilità di dittature o di situazioni di anarchia. La società civile occupa lo spazio tra questi estremi, ma non può prosperare senza istituzioni burocratiche adeguate.

- Identità deboli. Avendo istituzioni deboli, questi stati post-coloniali finiscono per avere anche identità deboli. Se lo stato viene identificato soltanto con il dittatore, la popolazione è composta di sudditi, non di cittadini. I sudditi di un regime dispotico conoscono solo la paura, non la lealtà. Se lo stato non incute altro che paura e se i pilastri della dittatura si sgretolano, le identità non statali vanno a colmare il vuoto che si viene a creare. In stati con confini delineati secoli fa – spesso in maniera artificiosa − il trionfo delle identità non statali può significare l’anarchia.

- Le battaglie dottrinali. Nel mondo islamico la religione occupa uno spazio nella vita quotidiana che per l’Occidente è impensabile, almeno dai tempi in cui chiamava se stesso “Cristianità”, circa mille anni fa. Nel Medio Oriente del XXI secolo identità non statali generalmente corrispondono a identità religiose. E poiché anche una grande religione di diffusione mondiale come l’islam ha correnti diverse, l’insorgere di identità religiose e il conseguente declino delle identità statali comporta dispute dottrinali che possono sfociare nella violenza. Nel primo Medioevo l’impero bizantino, la cui identità si basava sulla cristianità, conobbe violente dispute dottrinali tra Donatismo, Monotelismo e altre sette o eresie. Così anche nel mondo islamico odierno l’affievolirsi delle identità statali corrisponde all’insorgere, spesso in modo violento, di divisioni settarie.

- Limpatto della rivoluzione digitale sull'informazione. Le popolazioni possono impiegare nuovi mezzi e forme di comunicazione per opporsi a un regime odiato, riuscendo per esempio a entrare in contatto via Facebook, Twitter e altri social media, anche senza conoscersi di persona. Questa tecnologia può aiutare a rovesciare i governi, ma non può fornire un potere burocratico alternativo, coerente e organizzato, che consenta di mantenere la stabilità politica. Ecco come la tecnologia finisce per favorire l’anarchia. L’era industriale è stata caratterizzata dalle grandi dimensioni (grandi carri armati, aerei, ferrovie ecc.), che esaltavano il potere di grandi stati centralizzati. L’era post industriale è caratterizzata al contrario dalle piccole dimensioni, che permettono a piccoli gruppi oppressi di sfidare lo stato, ma il risultato finale è spesso l’anarchia.

Poiché stiamo parlando di processi di lungo termine piuttosto che di eventi contingenti, l’anarchia potrà accompagnarci sotto varie forme per un po’ di tempo, fino a quando nuove formazioni politiche riusciranno ad assicurare l’ordine richiesto. Ma non è detto che queste nuove formazioni saranno democratiche.

Al crollo dell’Unione Sovietica, le società dell’Europa Centrale e Orientale che prima della Seconda Guerra Mondiale avevano classi medie considerevoli e tradizioni burocratiche di un certo livello furono in grado di trasformarsi in democrazie relativamente stabili. Ma il Medio Oriente e gran parte dell’Africa non hanno queste caratteristiche proprie della tradizione borghese, dunque la caduta degli uomini forti ha lasciato il vuoto. I paesi dell’Africa Occidentale che a fine anni ’90 hanno conosciuto l’anarchia − come la Sierra Leone, la Liberia e la Costa d’Avorio − non si sono ancora del tutto ripresi, sono in qualche modo sotto la tutela della comunità internazionale attraverso forze di peacekeeping o consulenti stranieri, mentre cercano di sviluppare una classe media e una propria base manifatturiera. Ma lo sviluppo di burocrazie efficienti richiede funzionari preparati, cosa che, a sua volta, richiede l'esistenza di una classe media.

I veri interrogativi sono rappresentati da Russia e Cina. Il possibile indebolimento dell’autoritarismo in questi paesi sconfinati potrebbe sfociare in un’instabilità cronica e in un separatismo etnico di portata ben superiore all’instabilità in Medio Oriente. Insomma, quel che verrà dopo Putin potrebbe essere peggiore, non necessariamente migliore. Lo stesso varrebbe per un indebolimento dell’autocrazia cinese.

L’attuale stagione di anarchia ci induce a ritenere che il futuro della politica mondiale dipenderà da quali e quante società riusciranno a sviluppare istituzioni funzionali per governare aree geografiche molto vaste.”

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