La testimonianza di Hanif
33 anni

11/03/2014

“Mio zio era simpatizzante dei Mojahedin del popolo già dai tempi dello Scià, e dopo la rivoluzione era molto critico del regime di Khomeini. Per questo nei primi anni ’80 venne arrestato per la prima volta e portato nel carcere di Shiraz. I miei genitori avevano paura, temevano per la propria vita, perciò decisero di scappare in Iraq, trovando rifugio a Campo Ashraf." 

Nell’estate del 1988, subito dopo la fine della guerra contro l’Iraq, Khomeini soppresse brutalmente gli oppositori politici facendo fucilare oltre 20.000 persone. Anche mio zio venne fucilato, insieme a un altro mio parente.

Durante la prima guerra del Golfo la situazione era piuttosto confusa. Io ero piccolo, perciò i miei genitori decisero di mandarmi fuori dall’Iraq, in Germania, dove continuai gli studi fino alla fine degli anni ’90. Non avevo dimenticato le mie origini e non potevo accettare di vedere in televisione scene di lapidazioni e impiccagioni che macchiavano ogni giorno la reputazione del mio paese, l’Iran. Dovevo fare qualcosa; decisi di smettere di studiare e di unirmi alla resistenza ad Ashraf.

All’inizio della Seconda Guerra del Golfo, nel 2003, fummo attaccati dall’aviazione della coalizione (USA e Gran Bretagna). Quando arrivarono le truppe di terra, consegnammo le armi e ci affidammo alla loro protezione. Nonostante le garanzie che ci erano state fornite, quando la nostra protezione fu affidata al governo iracheno nel 2009, la situazione peggiorò drammaticamente. Da allora siamo stati attaccati ripetutamente dalle forze di sicurezza irachene, istigate dalla forza alQuds del regime iraniano. Uno dei miei migliori amici fu bastonato ripetutamente alla testa: stava malissimo, sarebbe dovuto andare subito all’ospedale a farsi curare, ma gli fu proibito di uscire dal campo. Morì dopo pochi giorni. Nel 2011 fummo di nuovo attaccati: questa volta furono massacrate 36 persone.

Quando fummo trasferiti a Camp Liberty/ Camp Hurriya nel 2012, mia madre rimase a Camp Ashraf per prendersi cura di quanto era rimasto e cercare acquirenti interessati a comperare le attrezzature che avevamo lasciato. Camp Ashraf infatti aveva piccole industrie con macchinari che potevamo vendere e usare il ricavato per andare all’estero.

Io ho ottenuto i documenti per l’espatrio, così sono arrivato in Albania. Ma il primo settembre ci è giunta una notizia terribile. Camp Ashraf era di nuovo stato attaccato: 52 persone erano state ammazzate, 7 rapite. Fra queste mia madre. Non sappiamo dove sia, alcuni informatori ci hanno detto che si trova con gli altri ostaggi in un carcere di massima sicurezza nella zona verde, ma da allora non abbiamo più avuto notizie.

Questa ferocia nei nostri confronti non ci fermerà, anzi ci renderà molto più forti. Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione sul governo di al Maliki perché rilasci gli ostaggi al più presto. Abbiamo bisogno dell’aiuto e dell’appoggio dei paesi occidentali per salvare i nostri fratelli e le nostre sorelle in ostaggio. Non dimentichiamoci di loro!”

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