La testimonianza di Fatemeh

11/03/2014

“Sono arrivata qui sette mesi fa. Sono malata di sclerosi multipla, non potevo più rimanere a Camp Liberty: la situazione era insostenibile e le mie condizioni stavano peggiorando rapidamente.

La situazione in cui ci toccava vivere era tremenda: d’estate c’erano 50 gradi, non avevamo l’aria condizionata e ci era stato vietato di piantare alberi. Quindi non c’era modo di scampare al clima torrido. Nelle baracche si respirava un’aria infuocata, insostenibile. 

D’inverno al contrario non sapevamo come riscaldarci perché non ce lo permettevano. Gli sbalzi termici mi causavano molti problemi, finché mi si è bloccata la schiena. Sarei dovuta andare in ospedale, ma ci era vietato. Nei rari casi in cui me lo hanno permesso, l’ambulanza arrivava sempre in ritardo così perdevo l’appuntamento con lo specialista. Quando sono arrivata in Albania sono stata curata e ora sto molto meglio.

Prima di arrivare qui, avevo passato buona parte della mia vita ad Ashraf. All’inizio i miei genitori venivano a trovarmi, ma ogni volta al ritorno a casa venivano arrestati per un po’. Questo è accaduto più volte: era un modo per esercitare pressione su di loro e, indirettamente, su di me. La mia famiglia è stata costantemente perseguitata dal regime: mio nipote dopo essere venuto ad Ashraf è stato arrestato ed è ancora in cella. Altri due miei fratelli invece sono ancora in Iran, ma si sono dati alla macchia e nessuno sa dove siano.

Anche mio figlio ha vissuto ad Ashraf per alcuni anni, ma dopo la guerra Iran-Iraq abbiamo preferito mandarlo a studiare negli USA. Ora ha 26 anni, vive a Chicago dove sta facendo il dottorato in medicina. L’ho rivisto dopo tanti anni in Albania l’anno scorso. È stato un incontro emozionante. Purtroppo non rivedrà mai più suo padre perché è morto in uno degli ultimi attacchi a Camp Liberty.”

 

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