Il racconto di Hazam

11/03/2014

Ho visto scene terribili. Ho visto una madre torturata di fronte al figlio di tre anni. Il bambino era sotto shock, non riusciva più a parlare. Ho visto un padre fucilato di fronte al bambino di 10 mesi perché non voleva collaborare.

Una volta dopo un Ramadan i pasdaran hanno portato una donna incinta in cella, l’hanno fatta coricare su una panchina e hanno iniziato a bastonarla brutalmente sulla schiena. Non potevamo guardare una scena così orrenda, e ci siamo voltate dall’altra parte. Le guardie volevano che guardassimo, perciò ci hanno portato in cortile dove per quattro ore consecutive siamo state in balia dei pasdaran, che ci giravano attorno e ci picchiavano.

Per diffondere il terrore erano soliti entrare in stanza di notte e ci picchiavano duramente.

Sono stata anche in isolamento per diversi mesi. Stavo quasi sempre sveglia, e sentivo le grida delle sorelle torturate. Una volta ho sentito due sorelle cantare l’inno della libertà. Le guardie le hanno prelevate dalla cella, ne hanno incatenata una alle sbarre e hanno torturato la sorella fino alla pazzia. Non si è più ripresa.

Io non collaboravo, per questo hanno minacciato anche di impiccarmi. Un giorno mi hanno messo in una gabbia di 60 x 150 cm dove sono rimasta per otto mesi. La notte non ci lasciavano dormire, accendevano la radio ad alto volume per disturbarci. Ma noi eravamo contenti: finalmente potevamo sentire notizie su quanto stava accadendo fuori!

Ricordo due torturatori brutali, Davood e il suo vice, Ahmad, che ogni giorno a mezzanotte entravano nelle celle e picchiavano i ragazzi nelle gabbie dicendo loro che le percosse servivano a fare bei sogni.

Alcuni bambini nascevano in carcere. I torturatori dicevano ai genitori che glieli avrebbero strappati di mano per trasformarli in torturatori. Ci avevano preso gusto, ogni violenza era per loro fonte di grande soddisfazione. Si inferocivano ancora di più quando ci mostravamo fieri e resistenti, non potevano sopportare il nostro spirito di indipendenza.

A un certo punto ci fu un allentamento della pressione per via degli scontri in seno alle varie fazioni del regime: le gabbie vennero rimosse, io fui trasferita prima in cella e poi liberata. Appena uscita sono scappata in Iraq e mi sono unita alla Resistenza. È stata un’esperienza che non dimenticherò mai.”

 

 

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