Le sanzioni come strumento politico
nell’analisi di George Friedman per Stratfor

30/04/2014

Il 28 aprile 2014 gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni per sette funzionari del governo russo. Le sanzioni sono uno strumento politico usato da lungo tempo, allo scopo di indurre uno stato a cambiare il suo comportamento, causandogli delle difficoltà economiche. Perché siano efficaci devono quindi causare un disagio, ma non devono essere tanto severe da indurre lo stato sanzionato a pensare che sia preferibile la guerra piuttosto che cedere alle richieste di chi sanziona. La storia ci dimostra che le sanzioni possono avere effetti inaspettati, o rivelarsi del tutto inefficaci.

Nel luglio del 1941, quando il Giappone invase l’Indocina, gli Stati Uniti risposero congelando tutti i beni giapponesi. Fecero altrettanto il Regno Unito e le Indie Orientali Olandesi (attuale Indonesia). Le sanzioni fecero effetto e il Giappone venne tagliato fuori da gran parte dei commerci internazionali, perdendo il 90% delle importazioni di petrolio. I Giapponesi pensarono che cedere alle sanzioni avrebbe indotto gli Stati Uniti a richieste sempre più onerose e, di fronte a condizioni che avrebbero paralizzato l’economia, ritennero meno rischiosa l’opzione della guerra. Invece di ritirarsi dall’Indocina, attaccarono Pearl Harbor. Le sanzioni funzionano meglio se imposte a stati che non hanno molti strumenti di ritorsione. L’Iran è un ottimo esempio: senza l’atomica, non può lanciarsi davvero in una guerra al di fuori della propria regione, e ha pochi altri strumenti per rispondere alle sanzioni. Applicare sanzioni efficaci a un paese come la Russia è invece molto più complicato perché i Russi dispongono della forza militare necessaria per rispondere e della possibilità di rivalersi sui patrimoni degli Occidentali. Molte società occidentali fanno affari in Russia, dove hanno fabbriche, conti bancari, macchinari ecc. Inoltre Mosca potrebbe tagliare le forniture di energia all’Europa. Forse non lo farebbe davvero; ma resta il fatto che la Russia dispone di un ampio raggio di strumenti di ritorsione. Ecco perché gli Stati Uniti e l’Europa hanno evitato di sanzionare la Russia, preferendo colpire singoli individui e un numero ristretto di società russe. Si tratta di sanzioni mirate, volte a spingere verso un cambiamento di direzione senza causare danni collaterali o scatenare reazioni troppo pesanti.

Quando sono davvero efficaci, le sanzioni danneggiano soprattutto le popolazioni, ovvero persone in gran parte innocenti, lasciando al potere i leader che hanno causato la crisi. L’Iraq ne è un classico esempio: le sanzioni deteriorarono notevolmente la qualità della vita degli Iracheni, senza intaccare lo status degli uomini al potere attorno a Saddam. Ora l’Occidente cerca di attaccare gli interessi economici dei leader russi, o almeno delle loro ristretta cerchia, anziché la Russia come nazione. Ma questi leader tengono più al potere o al denaro? Negli anni ’90 il denaro generava potere, ma ora quelli che sono al potere coincidono con quelli che hanno i soldi. È dunque difficile immaginare che il regime di Putin cambi la propria politica e dunque ammetta la propria debolezza, errore fatale per chiunque sia al potere – per proteggere i patrimoni di alcuni suoi membri. Gli oligarchi russi hanno mantenuto parte dei loro patrimoni in patria proprio per evitare che potessero essere sottoposti a restrizioni da parte dei governi occidentali. Risponderanno alle sanzioni con relativa indifferenza, anche perché la perdita di qualche bene all’estero sarà ampiamente ricompensata dall’accresciuta popolarità in patria. C’è poi un altro aspetto da considerare: i leader russi hanno investito in molte società che hanno interessi anche in aziende occidentali e talvolta formano con esse delle joint ventures. Come deve comportarsi l’Occidente in questi casi? Applicare sanzioni mirate diventa molto difficile perché nel capitalismo contemporaneo gli investimenti sono spesso incrociati, specialmente in un paese come la Russia, che è l’ottava economia del mondo.

Infine, c’è una considerazione più strettamente politica: gli Stati Uniti non vogliono mettere in pericolo la sopravvivenza del regime di un paese con un'enorme potenza militare. Né vogliono impegnarsi in Ucraina e quindi costringerli a fare marcia indietro oppure a prendere parte a una guerra per la quale non sono pronti. La strategia americana della sanzioni non è volta a cambiare la strategia politica, ma a dare l'impressione che si stia facendo qualcosa, quando in realtà non si può fare nulla.











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