La visione di lungo termine
della storia

23/01/2015

Da un articolo dell’analista Ian Morris per Strategic Forecasting.

Da tempo i popoli di civiltà islamica hanno la sensazione che il mondo sia loro ostile, perciò si chiudono in se stessi, vanno alla ricerca di significato nel passato e indulgono in atti di violenza giustificata con la religione. Non è la prima volta che questo succede a una civiltà.

Se guardiamo alla storia di lungo termine, abbracciando con lo sguardo più secoli, percepiamo uno schema del genere nell'Impero Romano a partire dal III secolo e in Cina a partire dal XII secolo. Dal XVIII secolo in poi questo tipo di crisi è in atto nel mondo islamico. 

Fino al 1600 circa l'Europa era stupita e affascinata dalle capacità produttive del Medio Oriente e dalla dimensione delle economie dell'Oceano Indiano. Gli eserciti turchi avevano conquistato Costantinopoli nel 1453, assediato Vienna nel 1529 e nel 1683. I Cristiani vivevano nel costante timore della conquista musulmana dell'Europa.

Ma dal 1700 le cose cambiarono: nuove tattiche militari, innovazioni nei trasporti, riforme fiscali innovative permisero agli Europei di sconfiggere gli Ottomani, i Safavidi e i Moghul. Dopo la rivoluzione industriale il divario fra Europa e Medio Oriente si ampliò ancora, tant’è che all’alba del 1900 la Gran Bretagna dominava sull’area che va dall'attuale Pakistan alla Malesia, mentre Persia, Turchia e paesi arabi entravano di fatto nella sfera d’influenza occidentale.

Da allora sempre più Musulmani hanno aderito al fondamentalismo, nel tentativo di capire e rimuovere le cause dell’umiliante situazione. Nel 1700 il wahhabismo ultraconservatore si diffuse rapidamente  nella penisola araba. Gruppi di Musulmani radicali si votarono al terrorismo, sapendo di non poter vincere una vera e propria guerra contro l'Europa. Il fanatismo islamico, vissuto come identità di gruppo, fece strage di Cristiani nella Grecia degli anni venti dell'Ottocento, nei Balcani del 1870 e nella Turchia del 1915, con lo sterminio di 1,5 milioni in Armeni. 

In Sudan nel 1881 Muhammad Ahmad, noto come “il Mahdi pazzo”, creò un primo gruppo sullo stile di al Qaeda. La Gran Bretagna invase l'Egitto l'anno successivo, ma le forze di Ahmad riuscirono a spazzar via un'armata di 10.000 uomini. L'anno successivo gli islamisti marciarono su Khartoum e si sbarazzarono del generale Gordon. Furono i primi episodi di una guerra asimmetrica in cui i Musulmani, umiliati e militarmente inferiori, si opposero violentemente alle forze della modernità e della globalizzazione. Le truppe britanniche si trovarono invischiate a lungo in conflitti inconcludenti di questo tipo in Afghanistan e Iraq e soltanto nel 1899 riuscirono a sconfiggere gli islamisti in Sudan. Gli Inglesi rimasero ancora intrappolati in conflitti in Sudan e in Egitto fino al 1956. Dal 2001 in poi sono stati gli USA a combattere con questo tipo di nemici, che utilizzano tattiche di terrorismo e insurrezione in diverse parti del mondo.

Da circa 200 anni il mondo islamico sta retrocedendo di fronte al potere economico e militare dell'Occidente, ma combatte aspre battaglie di retroguardia. Soltanto una frazione del miliardo e ottocentomila milioni di Musulmani vede nella violenza una risposta legittima, ma gli eventi recenti mostrano che la rabbia estremista sta crescendo.

L'analisi della storia passata ci porta a due conclusioni:

·      è raro che simili spirali di violenza e rabbia vedano davvero la fine finché la regione o la popolazione coinvolta non ritornano ad essere un centro di sviluppo e di prosperità. Per il mondo musulmano questo implicherebbe accettare la modernità, la democrazia, l'apertura e la tolleranza, e smetterla incolpare l'Occidente per tutti i  problemi. Siamo ora in una fase di tumulti continui, ma i casi di Malesia, Indonesia e Turchia – nonostante tutti i problemi che questi paesi ancora hanno – indicano che il processo è possibile. Le sollevazioni originarie della ‘primavera araba’ mostrano che dall'Algeria al Golfo arabo molti Musulmani vorrebbero imboccare una nuova strada.

·      La seconda conclusione è che il processo di ritorno allo sviluppo stabile può richiedere moltissimo tempo. La dinastia Ming riuscì a risollevare la Cina dalla crisi nel XIII secolo, ma nel XVI secolo il paese riprese a declinare. La dinastia Qing riuscì a invertire la tendenza nel XVII secolo, ma l’effetto fu di breve durata. L’attuale fase di sviluppo cinese risale alla fine della guerra civile del 1949, o forse è meglio dire alla fine della rivoluzione culturale nel 1970, ma non c'è nessuna garanzia che la Cina sia ormai al sicuro. La crisi dell'impero romano durò ancora più a lungo: ebbe una ripresa nel IV secolo, ma tornò a declinare dal V al VII secolo. All'Europa servirono quasi mille anni per riprendersi in pieno nel XV secolo.

Confrontare gli esempi di Roma e della Cina con l’attuale situazione islamica non è proprio confortante. La storia sembra suggerire che, con il tempo, il mondo musulmano tornerà ad essere tollerante e aperto; ma è difficile immaginare quando questo accadrà e quanto sarà difficile il percorso. Un’occhiata lunga alla storia ci può offrire il quadro di insieme per capire i fenomeni che viviamo, ma non ci dà previsioni a breve termine.

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