Ricerca scientifica:
il bicchiere è più che mezzo vuoto?

21/03/2015

Luc de Kaeyser scrive su Stratfor che il bicchiere della ricerca scientifica è più che mezzo vuoto, perché i fondi per la ricerca sono in larghissima parte sprecati.

Il progresso scientifico e tecnologico è una delle conquiste più straordinarie della civiltà umana.

Le epoche storiche spesso si identificano con la tecnologia che le caratterizza: età del bronzo, era atomica, era dell’informazione, rivoluzione agraria, rivoluzione industriale…. Se aggiungiamo altre invenzioni fondamentali – il controllo del fuoco, l’invenzione della scrittura, la creazione della ruota, ad esempio – la capacità di scoprire dell’uomo sembra davvero inarrestabile. La percezione comune è che il progresso scientifico e tecnologico stia oggi accelerando, che la crescita sia esponenziale.

Il metodo scientifico in realtà risale soltanto al XVII secolo e i premi Nobel sono stati assegnati per la prima volta all’inizio del XX secolo. Soltanto dal 2007 la NSF − National Science Foundation, agenzia governativa degli Stati Uniti, che sostiene la ricerca e la formazione di base in ambito scientifico e ingegneristico − ha iniziato a premiare ricerche sperimentali soltanto sulla base di comprovate evidenze, e ne ha premiate una trentina: una goccia nel mare, se si considera che i premi alla ricerca scientifica sono migliaia ogni anno.

Nel 2013 i vincitori del Nobel per la fisiologia/medicina e per la fisica hanno approfittato del discorso di ringraziamento per denunciare l’inadeguatezza degli standard di valutazione della qualità delle ricerche. Uno dei premiati ha fatto notare che soltanto gli articoli pubblicati su tre riviste scientifiche servono all’avanzamento professionale dello scienziato come professore o ricercatore, indipendentemente dall’effettiva qualità delle ricerche. L’altro vincitore ha dichiarato che prima del Nobel il suo dipartimento lo considerava quasi una palla al piede, perché aveva pubblicato pochi articoli. A suo parere, se avesse fatto domanda per una borsa post-dottorato, probabilmente non l’avrebbe vinta.

Purtroppo in ambito scientifico l’eminenza prevale spesso sull’evidenza, le opinioni di professori di primo piano e di figure di prestigio hanno la meglio sulla valutazione sperimentale della qualità della ricerca. Il più delle volte non poniamo chiari obbiettivi alla ricerca, e non ne valutiamo i risultati in modo scientifico. Il concetto di gestione scientifica dei progetti scientifici è ancora allo stato embrionale. Uno studio pubblicato di recente su The Lancet (una delle riviste che contano!) stima che l’85% circa degli investimenti globali nella ricerca biomedica – 240 miliardi di dollari l’anno – è sprecato. Lo spreco non è tanto nella ricerca di base quanto nella ricerca mirata a un obbiettivo. Le cause: priorità sbagliate, progettazione errata, regolamenti inadeguati, conduzione e analisi inaccurata.

Reindirizzare le priorità scientifiche non sarà facile, anche perché la valutazione della priorità dipende dalla natura umana. Tendiamo a preferire innovazioni che sono facilmente riconducibili alla nostra esperienza fisica quotidiana o che sono associate a un’immagine culturale positiva. Uno scienziato che fa ricerca sugli archeobatteri dei vulcani sottomarini farà molta più fatica a trovare finanziamenti di chi studia la microflora usata nella fermentazione del vino. La ricerca di un neurologo sarà vista sotto una luce più positiva rispetto a quella condotta da un proctologo.

Tendiamo anche a preferire la ricerca che si prefigge di trovare una cura, più che lo studio di misure preventive. La cura è eroica, mentre la prevenzione è percepita come noiosa.

Non deve sorprendere che ci sia voluta l’esplosione dell’epidemia di Ebola per stimolare lo sviluppo di misure preventive e vaccini, anche se il pericolo di epidemia era noto da decenni. 

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