La geopolitica del Medio oriente
Parte IV - La posizione geostrategica di Israele

11/11/2015

La regione occupata oggi da Israeliani e Palestinesi non è appetibile − né mai fu appetibile − da parte dei vicini, perché è povera di risorse. È fatta di deserto e di alte colline sassose, con una stretta striscia di litorale che diventa paludoso se non si imbrigliano le acque dei brevi e impetuosi torrenti che si formano sulle colline in occasione di pioggia. 

Per questo la regione è sempre stata poco abitata: il censimento del 1890 rilevò 532000 persone, di cui 43000 Ebrei e 57000 Cristiani, il resto Musulmani. Tutti poverissimi.Mark Twain nel 1867 visitò la regione come turista e così descrisse Gerusalemme (“Gli innocenti all’estero”, capitolo 53) : ‘Mi pare che tutte le razze e i colori e le lingue della terra siano rappresentate fra le 14000 anime che vivono a Gerusalemme. Stracci, abiezione, miseria e sporcizia: abbondano i segni e i simboli che rivelano l’amministrazione musulmana, più della stessa bandiera con la falce di luna’.

Ma la posizione geografica del territorio di Israele-Palestina lo rende zona di incontro − e di possibile scontro − di tre diverse aree di interessi geopolitici: quella egiziana, quella turco-europea e quella iraniana.

Gli imperi che in passato controllarono le ricchezze della Mesopotamia trovarono necessario espandersi anche in Egitto, per conquistarlo o per rintuzzarne la potenza. Poiché le valli e il litorale della Galilea sono la stretta porta di comunicazione via terra fra la Mesopotamia e l’Egitto, fra Asia e Africa, gli imperi mesopotamici invasero sempre il territorio d’Israele per raggiungere l’Egitto.

Attraverso le valli della Galilea passava la strada romana che univa la Mesopotamia all’Egitto. Attraverso la stessa strada si potrebbe invadere oggi l’Egitto dalla Siria. Di qui arrivarono tutti gli invasori provenienti dalla Persia, dalla Mesopotamia e dalla Turchia, prima e dopo i Romani. Lungo la stessa strada si svolse nel 1187 la battaglia finale fra i Crociati e il Saladino, nella valle fra i due corni di Hattin, non lontano da Megiddo. Anche Abramo era giunto per la stessa via con tutto il suo popolo. L’Apocalisse pose la battaglia finale fra le schiere del bene e del male ad Armageddon, cioè l’odierna Megiddo, perché è situata all’incrocio delle valli della Galilea che congiungono il litorale con l’interno, dunque è di importanza strategica decisiva in caso di scontro.

Attraverso questa valle gli Egiziani potrebbero tentare di conquistare la Siria, arrivando dal litorale di Israele, cosa che fecero soltanto due volte nella storia. Lo fecero per un periodo relativamente breve gli antichi Faraoni. Lo fece di nuovo Nasser, che nel 1958 volle creare uno stato federale arabo di cui faceva parte la Siria, e lo chiamò Repubblica Araba Unita. Nasser promosse l’ideologia del Panarabismo, cioè del nazionalismo arabo, che avrebbe dovuto accomunare e quindi unire politicamente i popoli arabi, superando le frontiere statali. Trovò però forti resistenze negli altri paesi arabi, che non volevano sottostare all’egemonia egiziana.

Per unire il mondo arabo in una unica confederazione con continuità territoriale, Nasser aveva bisogno che anche Israele fosse terra araba, perciò ideò e finanziò l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ponendone a capo Arafat. Arafat era egiziano, non palestinese. Fallita la spinta del panarabismo che voleva unificare sotto l’egemonia egiziana la Mesopotamia, all’Egitto convenne far pace con Israele, perché un Israele amico costituisce un baluardo a protezione dei confini egiziani e del canale di Suez.  

Nel contesto degli attuali avvenimenti in Siria Israele ha dimostrato di essere un baluardo di stabilità, che protegge dalla guerra islamista il confine ovest di Siria e Giordania, oltre che il confine est dell’Egitto.

L’importanza strategica di una Galilea ebraica fu chiara anche agli Inglesi nel secolo scorso. Gli Ebrei della regione furono di grande aiuto agli Inglesi che combattevano contro i Turchi in Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale, e furono di nuovo di aiuto nella lotta contro i nazisti, che si erano fatti molti alleati fra gli Arabi, sfruttando in chiave anti-inglese il loro nazionalismo. La Brigata Ebraica formata in Palestina combatté contro i Tedeschi in Italia nel 1944.

La persistenza di Israele come stato autonomo è resa possibile non soltanto dalla capacità militare di Israele, ma anche dal fatto che la sua presenza nella regione conviene a molti e non fa paura a nessuno. Conviene all’Egitto, perché lo protegge da possibili attacchi provenienti da Nord; conviene alla Giordania, perché protegge il suo fianco sul lato ovest. Costituisce una possibile base logistica da cui eserciti di paesi occidentali potrebbero intervenire militarmente nella regione, in caso di necessità. Peraltro nessun paese arabo teme di essere invaso dagli Israeliani, che sono poco numerosi e non potrebbero certo controllare altri territori: hanno già grande difficoltà a gestire gli Arabi all’interno della Palestina.

L’esistenza di Israele sarebbe davvero in grave pericolo soltanto se qualche potenza regionale fosse determinata a impossessarsi di tutte le terre dalla Mesopotamia al Mediterraneo, utilizzando la forza di qualche ideologia possente, e sferrasse attacchi vittoriosi contro i vicini per costruire un impero, come fecero gli Assiri, i Babilonesi, i Persiani, i Romani e gli Ottomani. L’impresa invece non riuscì a Nasser con il suo panarabismo socialista. Ora stanno tentando la conquista gli islamisti dell’ISIS, ma con ben poche possibilità di riuscirci.

Sarebbe invece molto pericoloso se il tentativo lo facesse l’Iran, come continua a promettere la sua propaganda, perché l’Iran ha la potenza demografica e militare necessaria per riuscire a conquistarsi un impero fino al Mediterraneo, e ha spesso espresso la volontà di farlo. Non lo fa per timore di dover affrontare in guerra la Turchia, l’unico stato della regione che può tener testa all’Iran e sconfiggerlo.  

Il pericolo maggiore alla sicurezza d’Israele al momento non proviene dall’esterno, ma dall’interno, dalla presenza di Arabi ostili sulle alture, da cui sarebbe facile distruggere tutta Israele anche con armi poco sofisticate, come si ipotizza nella foto. Le terre dell’Autorità Palestinese infatti sono proprio sulle colline di Giudea e Samaria, da cui si dominano tutte le città israeliane.

Israele ha lasciato totalmente la striscia di Gaza ai Palestinesi, perché è in pianura e i razzi lanciati di lì possono venir contrastati. Ma non può lasciare il cosiddetto West Bank, con il rischio che venga usato per posizionarvi armi che distruggerebbero di certo Israele.

Il conflitto fra Israeliani e Arabi è uno dei tanti conflitti che coinvolsero i popoli della regione durante la fase di disfacimento dell’Impero ottomano, sconvolgendone la vita con migrazioni, guerre e stragi, e un genocidio. È un conflitto semi-congelato nel tempo e nello spazio, che ogni tanto ha brevi ma intensi scoppi di violenza, sin dal 1920. Difficilmente troverà soluzione, se non all’interno di un eventuale grande rivolgimento dell’intero Levante, che è frammentato in innumerevoli sette ed etnie, disseminate in stati dai confini definiti in modo arbitrario, che si stanno disfacendo e prima o poi si ricostituiranno con altri confini e altri governi. Ma è una possibilità ancora remota.

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