Il circolo vizioso della geopolitica russa

07/11/2016

Da quasi otto secoli la Russia non riesce a uscire da un circolo vizioso: esce dal caos, torna a essere una vera potenza regionale o addirittura mondiale, si espande aggressivamente, poi il sistema si incrina e la Russia torna nel caos. Questi avvicendamenti non sono da imputarsi soltanto a scelte politiche quanto alle costrizioni geografiche.

La Russia si trova in una posizione geografica poco favorevole. È il paese più esteso al mondo, copre tredici fasce orarie, attualmente suddivise in quattro mega-zone. Il 75% della superficie del paese è praticamente inabitabile perché costituita da tundre congelate che in estate diventano paludi e rendono trasporti e commerci estremamente difficili. Anche il commercio marittimo in Russia non è facile, visto che l’unico porto su acque temperate nel Mar Nero è circondato da popolazioni ostili, fra cui i Turchi. Per questo il paese ha sempre dovuto lottare per lo sviluppo economico.

Il centro nevralgico della Russia – che va da San Pietroburgo a Mosca e scende a sud lungo la valle del Volga – si estende su una serie di pianure prive di barriere naturali, perciò molto vulnerabili. Il mondo visto da Mosca presenta pericoli di invasione da più parti, come mostra la mappa a fianco. Perciò la Russia ha sempre tentato di estendere i suoi confini e la sua influenza anche oltre confine, per creare una vasta zona cuscinetto tra il suo centro nevralgico e le potenze nemiche. “Non ho altro modo per difendere i miei confini se non estenderli”, diceva Caterina la Grande. L’esempio di maggiore e più duratura espansione fu l’epoca sovietica, quando la Russia era protetta dalla Siberia, da quattordici altre repubbliche sovietiche e da sette paesi dell’Est Europa.

Ma l’espansione comporta costi militari, politici e sociali altissimi. Durante il periodo sovietico Mosca fu costretta a centralizzare il controllo sull’intera area sovietica, sovvenzionare la maggior parte delle economie e gestire rapporti intensi con le diverse popolazioni dell’ ‘impero’ sovietico. Inoltre il prodotto interno lordo sovietico fu sempre circa la metà di quello americano, sebbene i due paesi avessero grossomodo lo stesso numero di abitanti. Fonti di intelligence occidentali calcolarono che nell’ultimo decennio metà della produzione sovietica fosse destinata soltanto al rafforzamento dell’apparato militare, a scapito della popolazione civile. La Russia deve espandersi per sopravvivere, ma tale espansione è insostenibile e porta storicamente il paese al collasso.

 

Un ciclo perpetuo

Il ciclo geopolitico della Russia può essere suddiviso grossomodo in tre fasi: tracollo, rinascita e fragilità.

-          Dapprima qualche catalizzatore provoca il crollo del governo e disgrega l’ordine sociale portando la Russia al collasso. È avvenuto nel XIII secolo con l’invasione dei Mongoli; nel XVII secolo con il Periodo dei Torbidi; all’inizio del XX secolo con la Rivoluzione Russa, poi di nuovo con la caduta dell’Unione Sovietica e la crisi finanziaria del 1998.

-          Dopo il tracollo si passa alla seconda fase: la rinascita. Solitamente il sistema di governo prende una nuova forma nel periodo di crisi e ne diventa capo un leader dalla forte personalità. Tale figura tende a creare un sistema stabile in cui la Russia può rafforzare se stessa e i territori di confine. Costui riesce a rafforzare il senso di identità, portando i Russi e le popolazioni periferiche a sentirsi uniti dallo stesso spirito patriottico. Gli esempi sono Ivan III, che si sbarazzò del giogo dei mongoli e unì la Russia; il primo zar Romanov, Mikhail, che condusse la Russia fuori dalla guerra civile del XVI secolo; i “grandi” Pietro e Caterina che fecero della Russia un impero mondiale; Vladimir Lenin che trasformò la Russia in Unione Sovietica; forse, Vladimir Putin che reintrodusse la prosperità dopo il crollo sovietico.

Nessuno di loro è riuscito a vincere stabilmente la sfida geografica della Russia. Tutti caddero nel processo di continuo consolidamento del nucleo centrale e di ulteriore espansione dell’influenza russa, così oneroso da portare certamente al crollo. Quando l’inevitabile punto di rottura – politica, sociale, di sicurezza o economica – inizia a emergere, Mosca tende a stringere la presa e ad agire con più aggressività all’interno e lungo i confini.

-          I leader che erano stati considerati i salvatori della Russia si trasformano in capi autoritari, senza limiti nel reprimere i dissensi, che difendono con aggressività i confini della Russia. È la fase della fragilità. In questa fase i leader non godono della stabilità e dell’autorità dei predecessori, hanno meno tempo da destinare al consolidamento della nazione, dando l’impressione di essere volubili. Da governi che rischiano di sgretolarsi emergono leader violenti, come Stalin. Così quando la siccità e la carestia seguirono il periodo di espansione di Ivan III, Ivan IV – detto ‘Il Terribile’ – limitò duramente la libertà di movimento e scatenò una serie di guerre contro la Confederazione polacco-lituana che, dopo la sua morte, portarono alla guerra civile. Nella fase della fragilità ci può essere un lungo periodo di stagnazione politica, economica, sociale e di politica estera prima di arrivare alla trasformazione. A volte una trasformazione politica basta a rafforzare e prolungare la vita del sistema, come nel caso del passaggio da Stalin a Kruscev; altre volte l’intero sistema precipita nel caos, come alla caduta dell’Impero Russo o dell’Unione Sovietica. In tal caso ricomincia un nuovo ciclo.

 

In quale fase del ciclo possiamo porre l’ascesa di Putin? 

I leader che erano stati considerati i salvatori della Russia si trasformano in capi autoritari, senza limiti nel reprimere i dissensi, che difendono con aggressività i confini della Russia. È la fase della fragilità.

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