Territori e potere. Un nuovo ruolo per gli stati?
di Sabino Cassese

29/12/2016

“L’affermazione che lo stato è sovrano viene criticata da molto tempo come non vera, come un’ipocrisia” scrive Cassese. E procede a elencare una serie di legami, di condizionamenti, di regolamentazioni sovranazionali e locali che danno pienamente credito a tale affermazione. Gli organi sovranazionali che legano gli stati non sono solo l’Unione Europea e l’ONU, cui subito tutti pensiamo, ma il WTO, l’OCSCE e migliaia di enti che stabiliscono le norme globali per i domini internet, per i velivoli, per i motori marini, per i mercati finanziari, per la sanità, per i prodotti alimentari, per pesi e misure, per le assicurazioni, per l’educazione, per la translitterazione delle lingue, per la ricerca, per la circolazione stradale, per le emissioni, per gli imballi, per le tinture, per l’uso di insetticidi, per tutelare le foreste, per l’uso delle acque, la pesca, la concorrenza, lo sport, la navigazione, il commercio, le telecomunicazioni, le migrazioni… Non c’è quasi dettaglio della vita e dell’attività delle persone che non ricada sotto qualche ente regolatore sovranazionale. Senza contare le ONG, alcune delle quali godono di una autorità morale e di capacità comunicative che possono sovrastare quelle dei governi. Gli stati sono condizionati da norme e istituzioni che essi stessi hanno contribuito a creare e alle quali si sono sottoposti. Gli USA, che pure hanno mantenuto il massimo di sovranità, hanno stipulato circa 700 trattati dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gli enti regolatori internazionali sono 2000. Le corti o i corpi giudiziari sovranazionali sono 200.

L’appartenenza a questi organismi sovranazionali dà a ogni singolo stato possibilità di azione oltre i propri confini: è stata la convenienza reciproca a far aprire gli stati all’esterno e creare ‘produttori di standard’ sovranazionali. Ma l’ampiezza e la portata dell’autonomia decisionale effettiva dello stato e dei suoi cittadini si sono ridotti molto più di quanto avvertano le persone, che di fronte ai problemi si aspettano dai propri governanti. La moltiplicazione degli organi regolatori e valutatori a livello sovranazionale − e in parallelo anche a livello locale − costituisce una rete burocratica multistrato di inaudita complessità, in cui i singoli nodi agiscono come punti di negoziazione continua e le decisioni si prendono senza essere discusse in nessuna aula parlamentare, al di fuori di metodi democratici. I processi decisionali ‘sono rimpiazzati dalla complementarietà e dalla reciprocità, dall’interdipendenza verticale e orizzontale, da mutue azioni di sostegno. Il risultato è spesso negativo, perché queste nuove, confuse soluzioni si risolvono in altrettante trappole in un processo decisionale congiunto. Si parla di ‘decisioni compartecipate’: bel termine – ma significa che le decisioni sono prese al di fuori delle istituzioni e dei metodi democratici.

I diritti politici, così come la difesa e la raccolta delle tasse, continuano a essere gestiti a livello territoriale dallo stato, a favore dei cittadini. Ma chi sono i cittadini? Oggi almeno 250 milioni di persone vivono abitualmente in stati diversi da quelli in cui sono nati. Senza contare che circa un miliardo e mezzo di persone viaggia ogni anno fra uno stato e l’altro, e anche la loro condizione deve essere soggetta a norme, assicurazioni, diritti e doveri. Ogni stato decide autonomamente chi è cittadino e chi no, decide che tipo di diritti attribuire a chi vive sul suo territorio a seconda se è o non è cittadino, decide chi ha o non ha il diritto di residenza sul proprio territorio. Si è così creata una situazione paragonabile a quella del medioevo o dell’Impero Romano, per cui sullo stesso territorio vivono comunità che non godono degli stessi diritti (l’uguaglianza dei diritti dei cittadini è uno dei grandi titoli di merito dello stato-nazione): chi è cittadino ha diritti politici e talora economici (alcune forme di welfare) che i residenti non hanno se non sono cittadini. E spesso i residenti non cittadini sono milioni. È una situazione insostenibile, che comporta rischi di rivolte.

Lo stato è l’area nella quale si è sviluppata la democrazia rappresentativa, ma lo stato è in evoluzione continua, quasi ogni giorno cede poteri a organismi regolatori sovranazionali, resi vieppiù necessari dalla ineluttabile globalizzazione tecnologica, commerciale e demografica. Si va verso al fine della democrazia rappresentativa? Occorre ripensare lo stato futuro, il sistema di rappresentazione e composizione degli interessi, i metodi di fruizione dei diritti.

Il bel saggio di Sabino Cassese offre un quadro preciso e chiaro della situazione e dei suoi punti di evidente crisi, ma non offre soluzioni: la soluzioni, o meglio gli equilibri temporanei, li costruiranno faticosamente le persone vivendo giorno per giorno il futuro, come sempre avviene nella storia. A noi cittadini dello stato nazione della seconda metà del XX secolo è andata bene: buona fortuna ai posteri!

 

 

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