L’anno decisivo per il futuro dell’Eurozona

18/02/2017

Le finanze dei paesi dell’Eurozona variano grandemente da un paese all’altro e avrebbero bisogno di politiche monetarie e fiscali molto diverse. L’Italia e la Germania sono i due esempi estremi, dopo il disastro greco. La Germania ha un continuo surplus di esportazioni, ha il PIL in crescita, bassa disoccupazione e pochissimi debiti. L’Italia ha una percentuale di debito pubblico molto alto, che è finanziato in modo preponderante dalle banche italiane, finché la Banca Centrale Europea permette loro di farlo. Se lo stato avesse difficoltà a ripagare il debito, se il valore dei titoli di stato italiani crollasse, le banche italiane correrebbero il rischio di fallire. Ci troveremmo nella stessa condizione di sfascio sociale ed economico della Grecia. Il PIL italiano è fermo da anni, la disoccupazione è altissima – ma lo stato non può spendere in investimenti e stimoli perché ha troppi debiti, né può ridurre le tasse che opprimono le aziende italiane (insieme all’eccessiva burocrazia) e le rendono poco concorrenziali sul mercato globale.

Ora che si riaccende timidamente l’inflazione, aumentando il costo degli interessi sul debito, le difficoltà rischiano di aumentare: aumenta la difficoltà per lo Stato, che deve destinare più tasse al pagamento degli interessi anziché a investimenti strutturali o a scopi sociali, aumentano le difficoltà per le banche indebitate e a rischio di fallimento, aumentano i rischi per le banche sane che però hanno acquistato grandi quantità di titoli di stato. A inizio 2017 ben il 12% dell’attivo di tutte le banche italiane è investito in titoli di stato italiani!

Abbiamo molte banche a rischio, a cominciare dal Monte dei Paschi di Siena, che secondo le norme dell’Eurozona dovrebbero esser lasciate fallire a danno non soltanto di chi ha investito in azioni di quelle banche, ma anche dei risparmiatori che in quelle banche hanno un conto corrente. Si chiama bail in: chi è dentro alla banca come cliente o come investitore concorre a pagare i debiti della banca, perdendo i propri soldi personali. Al bail in si contrappone il bail out: dall’esterno della banca vengono prestate garanzie – di solito da parte dello stato o delle banche centrali – per cui la banca trova ancora credito, può farsi prestare altri soldi e continuare a operare, continuando a pagare i debiti man mano che scadono. Il rischio è che, continuando a operare, le banche anziché ridurre il debito lo allarghino ancora di più − perciò in queste operazioni di solito chi presta la garanzia assume anche il controllo della gestione successiva della banca. La normativa dell’Eurozona proibisce il bail out da parte degli stati e prescrive il bail in, ma l’Italia tenta in vario modo di aggirare la normativa, perché sarebbe insostenibile l’effetto sociale e politico di centinaia di migliaia di risparmiatori che perdono i loro risparmi affidati alle banche. L’Italia chiede flessibilità, cerca di far passare il bail out delle banche a rischio tramite la Cassa Depositi e Prestiti, anziché ricorrere al bail in, per evitare una grave crisi politica in questo periodo in cui in tutto il Vecchio Continente avanzano i partiti definiti ‘populisti’ e poco favorevoli all’Europa.

Per quanto riguarda la sostenibilità del debito pubblico, il rischio che lo spread aumenti e che lo stato italiano si ritrovi in un dilemma analogo a quello dell’autunno del 2012 (non pagare il debito in scadenza, oppure pagarlo ma non aver più i fondi per pagare stipendi e pensioni) può essere evitato soltanto con qualche sorta di accordo europeo – fondamentalmente con la Germania – per cui a comperare i titoli di stato in euro sia in qualche modo l’insieme dei paesi dell’eurozona. Dall’ottobre 2016 circola l’idea (italiana) di creare gli European Safe Bonds, venduti da un ente da creare ad hoc. Questo ente acquisterebbe titoli di stato di tutti i paesi dell’Eurozona, ognuno dei quali presenta un diverso livello di rischio, perciò ha un prezzo diverso e diverso tasso di rendita. L’ente raggruppa questi titoli in due ‘pacchetti’, mettendo nel primo un mix di titoli più sicuri, più cari e a bassa rendita, nell’altro un mix di titoli meno sicuri, di prezzo inferiore e con rendimento più alto. Il fatto di mescolare titoli diversi di stati diversi e venderli in ‘pacchetti’ indivisibili renderebbe molto più difficili e perciò meno probabili attacchi speculativi specifici rivolti ai titoli di uno stato specifico. Né la Banca Centrale Europea né la Commissione Europea si sono ancora pronunciati su questa proposta, ma dovrebbero farlo nei prossimi mesi. La Germania ha già fatto sapere di essere contraria – ma non è detta l’ultima parola. Le condizioni politiche europee rendono consigliabili dimostrazione di unità e di solidarietà, perciò l’opposizione della Germania potrebbe anche essere relativamente morbida.

Negli ultimi due anni la banche tedesche hanno già cessato di acquistare titoli di stato dei paesi deboli dell’Eurozona e hanno persino cessato di concedere prestiti ad aziende non tedesche dell’Eurozona. Questo fa pensare che le banche tedesche diano per scontato che l’Eurozona non sopravvivrà a lungo, purtroppo.

 

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