La linea di faglia dove nasce il jihadismo

11/03/2017

Mentre l’attenzione mondiale è rivolta al Medio Oriente, un altro fronte torna a infiammarsi: quello a cavallo tra Pakistan e Afghanistan, patria d’origine del jihadismo transnazionale.

L’attuale confine tra i due Paesi − lungo oltre 2400 chilometri − venne tracciato dalla Gran Bretagna al culmine dell’era coloniale per sistemare la periferia dell’India britannica. La linea prese il nome da Sir. Henry Mortimer Durand, che nel 1893 strinse un accordo con l’emiro dell’Afghanistan Abdur Rahman Khan, che fece dell’Afghanistan uno stato cuscinetto tra l’Asia controllata dagli Inglesi, e l’Asia controllata dalla Russia. Nel 1947, quando dall’Impero anglo-indiano sorsero India e Pakistan, la Linea Durand divenne il confine ufficiale tra Afghanistan e Pakistan, ma l’Afghanistan rifiutò di riconoscerne la legittimità perché divideva aree abitate dalla stessa etnia pashtun e privava Kabul di territori su cui reclamava diritti storici.

Quando gli Inglesi abbandonarono l’Asia, Mohammad Zahir Shah, re d’Afghanistan, prese a sostenere il separatismo dei Pashtun in Pakistan. Il Pakistan reagì rafforzando l’identità nazionale islamica e prese a sostenere i gruppi islamisti afgani che combattevano contro il regime comunista instaurato negli anni ’80 con il sostegno dell’Unione Sovietica. La guerra contro il regime comunista afgano richiamò combattenti islamisti radicali mujaheddin – da molti altri paesi e per la prima volta islamisti di origini, etnie e lingue diverse lottarono uniti su un campo di battaglia comune. Così l’Afghanistan divenne il crogiolo in cui prese forma il jihadismo contemporaneo. Nel 1989 l’Unione Sovietica fu costretta a lasciare l’Afghanistan e due anni dopo crollò. Questo ebbe un impatto psicologico straordinario sui mujaheddin, alimentando la loro convinzione di essere invincibili e di poter creare un ordine politico islamico attraverso l’insurrezione armata. Sotto al Qaeda questa convinzione subì un’importante trasformazione, assumendo carattere transnazionale.

Intanto l’Afghanistan sprofondava nel caos perché i gruppi islamisti presero a combattersi tra di loro. Ne conseguì una guerra civile che produsse una situazione di anarchia e di perdita di controllo del territorio da parte dello stato. Nel sud dell’Afghanistan finirono col prendere il potere i Talebani di etnia pashtun, molti dei quali avevano precedentemente combattuto i comunisti. Nel 1996 i Talebani afgani presero Kabul, fornendo ai jihadisti transnazionali guidati da al Qaeda una base dalla quale operare e organizzare gli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. Il Pakistan sostenne i Talebani fin dal 1994, sottovalutando la pericolosità di al Qaeda.

L’11 settembre mise in crisi il Pakistan perché Islamabad dovette schierarsi con gli Stati Uniti contro il vicino Afghanistan. Quando il regime dei Talebani venne rovesciato, decenni di sforzi pachistani per instaurare un regime amico sul confine occidentale andarono in fumo. La decisione del governo pachistano di stare dalla parte dell’Occidente fece sorgere un movimento di Talebani ribelli nelle aree tribali all’interno del Pakistan. Esercito, intelligence e forze di polizia pachistane divennero uno dei principali obiettivi di un’insurrezione organizzata dal movimento talebano interno, la cui nascita fu favorita da al Qaeda, spostatasi in Pakistan dopo che il suo quartier generale afgano fu distrutto dagli Americani.

Ora i Talebani afgani hanno preso le distanze da al Qaeda, mentre quelli pachistani ne hanno condiviso la vocazione transnazionale, perciò il cuore pulsante del jihad si è spostato nella regione di confine fra l’Afghanistan e il Pakistan, in quello che si è soliti definire “AfPak”.

La guerra contro il regime comunista afgano richiamò mujaheddin da molti altri paesi e per la prima volta islamisti di origini, etnie e lingue diverse lottarono uniti su un campo di battaglia comune. Così l’Afghanistan divenne il crogiolo in cui prese forma il jihadismo contemporaneo.

Il Pakistan, incapace di frenare l’ultraconservatorismo religioso che è da decenni il cuore dell’identità nazionale, giunse a perdere il controllo delle aree tribali lungo il confine nordoccidentale e i jihadisti misero radici nei principali centri urbani del paese e nella provincia del Punjab, finché il governo pachistano passò all’offensiva (2009), riconquistando il distretto di Swat, che era diventato un emirato talebano nel cuore del paese, e alcune delle aree tribali del nordovest. Così la frequenza degli attacchi terroristici in Pakistan si è ridotta sensibilmente, ma i ribelli jihadisti non sono sconfitti: la loro è stata una ritirata temporanea.

Dopo il ritiro delle truppe occidentali della NATO dall’Afghanistan nel 2014 l’insurrezione talebana ha ripreso forza in entrambi i paesi e vari gruppi si sono riuniti nella zona di frontiera. Si è quindi prodotta la paradossale situazione per cui i jihadisti anti Pakistan trovano rifugio in Afghanistan mentre i Talebani afgani trovato rifugio in Pakistan. I due paesi si accusano a vicenda di sostenere i rispettivi nemici, che invece sono alleati fra di loro. Questo fa il gioco dei jihadisti che vorrebbero riprodurre in quell’area le condizioni esistenti al confine tra Siria e Iraq. Ma è improbabile che ci riescano, sia perché il Pakistan è uno stato militarmente solido, sia perché il nucleo dei Talebani afgani resta una forza nazionalista che mira a prendere il potere in Afghanistan e non ha ambizioni transnazionali.

La comunità internazionale ha sempre pensato che sia inevitabile negoziare con i Talebani afgani e che sia il Pakistan, loro protettore, a poterli convincere all’accordo. Ma negli ultimi anni Islamabad ha perso influenza sul gruppo, mentre i Talebani afgani hanno avuto la meglio sul territorio contro il governo afgano, il che non li incentiva a trattare. I Talebani sono ancora un movimento d’insurrezione, un’organizzazione militare con scarsa esperienza politica, non hanno le caratteristiche di una forza che possa essere incorporata in uno scenario politico già esistente. I Talebani non sono disposti ad agire come un partito all’interno di un sistema, ma esigono il ritorno all’emirato. Il destino del sistema di governo afgano resta perciò a dir poco incerto. Le ambizioni politiche dei Talebani afgani restano limitate all’Afghanistan, ma la loro ideologia si sovrappone a quella dei jihadisti che vogliono instaurare un califfato transnazionale. Afghanistan e Pakistan sono repubbliche islamiche, ma i gruppi ribelli jihadisti sfruttano il diffuso sentimento che i governi sostengano gli ideali dell’islam soltanto formalmente, che si tratti di una religiosità di facciata. Il conflitto ideologico sul rapporto tra religione e politica è tutt’altro che risolto in questa parte del mondo, che perciò sarà teatro di guerra ancora per molto tempo. 

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