Il paradosso del progresso

12/10/2017

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“Il paradosso del progresso” è il titolo del grafico qui accanto, elaborato per la Banca Mondiale, che mostra la variazione tra il 1820 e il 2015 del numero di esseri umani che vivono nella povertà assoluta e del numero di persone che vivono al di sopra di quel misero livello. ‘Il grafico mostra un trend quasi miracoloso e difficile da immaginare per coloro che vivevano prima del 1820’, scrive lo storico dell’economia Ian Morris in un saggio per Strategic Forecast (“The happiest graph on earth”, 4 ottobre 2017), di cui riassumiamo i concetti principali.

Le discussioni sulla povertà negli ultimi decenni sono state concentrate sulla disuguaglianza. La disuguaglianza è importante: una serie di studi ha dimostrato che sia tra gli scimpanzé sia fra gli esseri umani quelli che raggiungono le vette delle gerarchie sociali tendono a essere più felici, hanno più salute e vivono più a lungo. Ma il grafico ci dice che focalizzarci sulla disuguaglianza ci fa perder di vista aspetti più vasti della realtà. Dal 1980 in poi l’economia ha sollevato dalla povertà estrema oltre un miliardo di persone nel mondo. Nella storia umana non era mai successo che tante persone sperimentassero tale rapido miglioramento. Nel 2015 la Banca Mondiale ha persino rivisto al rialzo la soglia ufficiale dell’estrema povertà, portandolo da 1,25 a 1.90 dollari al giorno. È forse il maggiore trionfo del periodo post-guerra fredda. La più grande tragedia, ovviamente, è che un miliardo di persone ancora si trova in povertà estrema, ma tutto suggerisce che questo numero diminuirà fino a zero nei prossimi decenni. Sappiamo come sradicare la povertà estrema.

I due elementi che hanno permesso lo sradicamento della miseria sono la globalizzazione e l’utilizzo di energia. Da quando Adam Smith scrisse “La ricchezza delle nazioni”, nel 1770, la tendenza di lungo termine è stata verso mercati sempre più aperti e interconnessi, con maggiori volumi di scambi a lunga distanza.

La tendenza non ha avuto uno sviluppo ininterrotto e costante: il sistema napoleonico la bloccò per quasi un decennio tra il 1806 e il 1814, la Grande depressione lo fece ancora più drammaticamente negli anni Trenta. In altri momenti della storia il protezionismo trionfò temporaneamente. Ma sul lungo periodo parti sempre più grandi di mondo sono entrate in un mercato sempre più allargato, aumentando enormemente i redditi, e anche le disuguaglianze.

Nonostante l’enorme crescita dei due secoli passati, molti economisti ritengono che l’apertura del mercato globale possa portare ancora ricchezza. Secondo il Forum Economico Mondiale, la rimozione del 50% degli ostacoli agli scambi, se applicata da tutti i paesi del mondo, porterebbe alla crescita del 4,7% del PIL globale, di cui una fetta preponderante andrebbe a favore dei paesi più poveri. L'Africa subsahariana, per esempio, vedrebbe crescere il PIL del 12%.

Ma l’aumento del consumo di energia è stato ancor più importante della globalizzazione nel ridurre la miseria. Prima della rivoluzione industriale, le economie agrarie più sviluppate – quella dell’Impero romano nel I e II secolo e quella della Cina nell’XI e XII secolo – utilizzavano non più di 30.000 calorie pro capite al giorno, di cui 2000 andavano ad alimentare l’adulto medio, il resto era destinato al concime, ai trasporti e alla miriade di altri componenti e servizi di cui un’economia agraria ha bisogno, dagli utensili all’immagazzinaggio, conservazione e difesa delle scorte. Aver imparato a sfruttare l’energia intrappolata nei combustibili fossili ha annientato questi limiti. Dal 1820, data d’inizio del grafico, fino al 1900 l’utilizzo di chilocalorie per persona/giorno in Inghilterra è passato da 52 000 a oltre 92 000 chilocalorie. Nel 2010 gli Americani utilizzavano circa 230.000 chilocalorie a persona al giorno, di cui 3.770 sotto forma di cibo (troppo!), il resto per dare energia agli aerei, ai SUV, ai computer portatili, alle industrie, alle case, a tutti i servizi. Tra il 1500 e il 1900 i contadini occidentali raddoppiarono la produzione di grano per ettaro aumentando la quantità di energia investita nell’agricoltura con l’aggiunta di letame e l’uso di bestiame. Tra il 1900 e il 2000 gli agricoltori americani hanno quadruplicato la produzione aumentando di 80 volte l’utilizzo di energia per ettaro, grazie alle macchine a benzina, ai fertilizzanti chimici e alle pompe elettriche. Senza l’esplosione di energia, l’estrema miseria e la morte per fame sarebbero ancora la regola per il grosso dell’umanità.

Sono ancora possibili giganteschi crescite di ricchezza grazie all’utilizzo di energia: ci sono ancora enormi riserve di combustibili fossili, al contrario di quanto si pensava qualche decennio fa, e nuove tecniche di estrazione li rendono accessibili, anche se la maggior parte dei geologi e dei climatologi sono convinti che l’uso massiccio del carbone, del petrolio e del gas naturale abbia già terribilmente danneggiato l’atmosfera e gli oceani e il pieno sfruttamento di queste riserve sarebbe una cattiva idea. Fortunatamente gli ingegneri stanno compiendo costanti progressi nella cattura di energia pulita, per immagazzinarla in nuovi tipi di batterie. Nel XXI secolo potremmo assistere a una crescita dell’utilizzo di energia ancora maggiore di quella del XIX e XX secolo.

Possiamo realisticamente aspettarci che la combinazione di globalizzazione e rivoluzione energetica in corso elimini presto la povertà estrema. Ma oggi la politica deve mettere il freno alla globalizzazione e alla nuova ricerca energetica, dando la precedenza all’evitare l’impoverimento di popolazioni già ricche piuttosto che all’arricchire i più poveri. Lo richiedono gli elettori nella parte del mondo più sviluppata. Sollevare la fetta di popolazione “rimasta indietro” nei paesi ricchi e sradicare la povertà estrema nel mondo sono progetti politici molto differenti fra di loro. Ma è probabile che l’opposizione politica in Occidente rallenti i processi di globalizzazione senza fermarli.

L’apertura della Cina al mercato globale iniziata cautamente nel 1970 è stata la causa più importante dell’uscita di grandi masse di persone dall’estrema miseria. La politica di Pechino per la globalizzazione non si ferma: ne sono prova la sua nuova Banca d’Investimento per le Infrastrutture Asiatiche e il suo Partenariato Economico Regionale Omnicomprensivo. Anche l’utilizzo di energia rinnovabile sta crescendo molto velocemente in Cina. Nel 2015 l’utilizzo di combustibili fossili è stato ridotto del 1,4%. La Cina produce già il 28% di tutti i veicoli elettrici al mondo, il 32% dei pannelli solari e il 47% delle installazioni eoliche.

Può darsi che il controllo dell’energia del sole e del vento darà alla Cina il dominio del mondo nel XXI secolo, come il controllo del carbone lo diede all’Inghilterra nel XIX secolo e il controllo del petrolio lo diede agli USA nel XX secolo?

I due elementi che hanno permesso lo sradicamento della miseria sono la globalizzazione e l’utilizzo di energia

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