Geopolitica della Cina: la strategia di Mao e quella di Deng

05/12/2018

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Prima dell’ascesa di Mao al potere il governo centrale era indebolito e la Cina Han era impegnata simultaneamente nella guerra con il Giappone, nella guerra civile e nella deriva delle regioni. La Manciuria era sotto il controllo giapponese, la Mongolia esterna sotto il controllo sovietico ed estendeva la sua influenza sulla Mongolia interna, mentre il Tibet e lo Xinjiang andavano alla deriva.

Durante la guerra civile Mao gettò anche le basi per prendere il controllo delle regioni esterne. Le sue prime mosse furono progettate per bloccare gli interessi sovietici. Mao si trasferì personalmente per consolidare il controllo del partito comunista cinese sulla Manciuria e sulla Mongolia interna, sfruttando l’appoggio dei Sovietici. Subito dopo la fine della guerra civile si mosse per prendere possesso dello Xinjiang e cacciarne Yang Zengxin, il locale signore della guerra. Infine, nel 1950 Mao si mosse contro il Tibet, conquistandolo nel 1951.

Il consolidamento veloce del controllo sulle regioni esterne diede alla Cina di Mao protezione dalle invasioni. Controllare il Tibet significava mantenere l’India lontana dall’altopiano tibetano. Lo Xinjiang, la Mongolia interna e la Manciuria isolavano la Cina dall’Unione Sovietica. Mao era più un geopolitico che un ideologo prono al comunismo russo. Le distanze, la carenza di trasporti e di risorse dovevano garantire che i Sovietici si impantanassero ben prima di raggiungere le regioni della Cina popolate dagli Han, proprio come era accaduto ai Giapponesi. 

Mao preferì l’unità nella povertà piuttosto che il rischio del caos. Xiaoping scommise che avrebbe potuto aprire la Cina agli investimenti stranieri a patto di mantenere un forte governo centrale, basato su due pilastri: l’esercito fedele e il Partito Comunista

Il pericolo maggiore sarebbe potuto provenire dalla Manciuria o, più precisamente, dalla Corea. I Sovietici, non i Cinesi, incoraggiarono l’invasione nordcoreana del sud. Gli Stati Uniti intervennero, sconfissero l’esercito nordcoreano e si diressero verso lo Yalu, il confine fluviale con la Cina. Vedendo la forza americana ben armata e ben addestrata salire verso i confini, i Cinesi decisero che era necessario attaccare e bloccarne l’avanzata. Il risultato furono tre anni di brutale guerra in cui i Cinesi persero circa un milione di uomini, mentre dal punto di vista sovietico la lotta tra la Cina e gli Stati Uniti fu il raggiungimento dell’obiettivo che si erano prefissati. 

Con le regioni cuscinetto sotto controllo, la costa era il punto più vulnerabile, non a invasioni, bensì al consolidamento di differenze economiche e sociali. Mao risolse il problema sigillando la costa e liquidando la classe che aveva collaborato con le imprese straniere. Per Mao la xenofobia fu parte integrante della politica nazionale, la presenza straniera era vissuta come una minaccia alla stabilità del paese. Mao preferì l’unità nella povertà piuttosto che il rischio del caos. Capì anche che, data la demografia e la geografia della Cina, il paese poteva difendersi da potenziali aggressori anche senza un complesso militare-industriale avanzato.

Il suo successore, Deng Xiaoping, sentì la tremenda pressione della richiesta di miglioramento degli standard di vita e capì anche che le lacune tecnologiche avrebbero minacciato la sicurezza nazionale. Fece una scommessa storica, sapendo che l’economia cinese non poteva svilupparsi da sola. Scommise che avrebbe potuto aprire la Cina agli investimenti stranieri e riorientare l’economia dall’agricoltura e dall’industria pesante a un sistema industriale orientato all’esportazione. In tal modo avrebbe aumentato gli standard di vita, importato tecnologia e addestrato la forza lavoro cinese. Scommise che stavolta questa politica di apertura al commercio internazionale non avrebbe destabilizzato la Cina, perché si poteva mantenere un forte governo centrale, basato su due pilastri: l’esercito fedele e il Partito Comunista. I suoi successori hanno continuato la lotta per mantenere l’unità interna e non cedere potere agli investitori stranieri. La scommessa continua.

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