L’eterno dilemma russo: sviluppo interno o sviluppo ai confini?

09/06/2021

La mappa in testata, di Laura Canali, è tratta da Limes

Un incidente diplomatico ha riportato all’attenzione internazionale l’eterno dilemma della Russia, che è costituito dall’insufficienza delle risorse, soprattutto demografiche, per garantire sia lo sviluppo interno sia lo sviluppo ai confini e sui mari. La Russia è lo stato più esteso al mondo, possiede enormi risorse naturali, ma non ha abbastanza abitanti per sviluppare la rete di trasporti e servizi necessari per costruire una forte e ricca economia interna e per sostenere nello stesso tempo un esercito in grado di controllare le frontiere di terra, i cieli e i mari, nonché investire all’estero al fine di creare solidi e amichevoli rapporti internazionali. Questo più o meno ha detto a un foro internazionale Richard Moore, il nuovo capo dell’Intelligence inglese, provocando una risposta piccata addirittura da parte di Putin, il quale ha detto che però l’interscambio fra Russia e Regno Unito è aumentato del 54% in breve tempo, dunque gli Inglesi dovrebbero considerare ideale una situazione in cui i Russi si indeboliscono (se davvero fosse così), ma l’interscambio aumenta. Di che si preoccupano?

Ma Moore ha ragione e la situazione della Russia di oggi è uguale a quella di sempre: se i Russi si concentrano sullo sviluppo interno, sguarniscono le frontiere, i cieli e i mari e corrono il forte rischio che gli venga strappato territorio, o che venga invaso da forze ostili. Se danno priorità alla difesa e all’egemonia internazionale, non sviluppano abbastanza l’economia interna, debbono finanziare tutta la spesa pubblica e militare vendendo materie prime, cioè energia, ma il mercato delle materie prime è sempre in balia dell’ondeggiamento dei prezzi globali. Così la popolazione russa rimane sempre povera. Così fu ai tempi dell’Impero zarista, così fu ai tempi dell’Unione Sovietica. I rivali che intendono prevenire l’espansione della potenza russa debbono soltanto mantenere alta la pressione e costringerla a spendere molto per la difesa, in modo che non abbia più altre risorse per sviluppare i servizi interni e l’economia interna. Questa è stata la strategia degli USA dal 1946 in poi, e si è trattato di una strategia di successo. Non c’è motivo di prevedere che cambi. All’Unione Europea farebbe comodo una alleanza strategica con la Russia, ma non possiamo permettercela, perché un’Europa che inglobasse la Russia sarebbe una potenza troppo forte, che metterebbe paura sia gli USA sia alla Cina, scatenando reazioni negative in entrambe. Occorre mantenere l’equilibrio internazionale di potere, se non si vuole scatenare una guerra globale. Mantenere gli equilibri di potere significa gestire una politica di piccolo cabotaggio dando oggi un colpo al cerchio e domani uno alla botte.

Ma senza dimenticare che il potere si esercita e si mantiene sui mari, non sulla terra. Ogni scontro sulla terra si risolve o in carneficine corpo a corpo o nella necessità di invadere stabilmente un territorio e sottometterne stabilmente la popolazione, con costi demografici, economici e psicologici insostenibili. Il potere si esercita con successo prevenendo l’avvicinamento ostile, via mare, di altre popolazioni alle proprie frontiere. L’avvicinamento è ostile se coinvolge potenzialmente un numero così grande di persone da poter eventualmente sovrastare e dominare la popolazione locale, se cioè può portare all’invasione vera e propria.

Il grande successo dell’Impero inglese fu dovuto al fatto che comunque gli Inglesi erano pochi, non mettevano davvero paura agli abitanti dei paesi che colonizzavano, di cui cooptavano le classi dirigenti. I paesi ‘conquistati’ all’Impero inglese aprirono in gran parte le porte agli Inglesi senza troppo recalcitrare e senza molto combattere, gli Inglesi mantennero il potere quasi soltanto controllando i mari, non le terre dei paesi coloniali. Anche i Romani gestirono il potere mantenendo saldamente il controllo del mare e dei porti e co-optando le classi dirigenti dei popoli annessi all’Impero.

Il successo e il fallimento degli Arabi furono dovuti allo stesso motivo: erano troppo pochi per imporsi davvero fisicamente ai molti milioni di uomini dei territori conquistati, che furono invece coinvolti nell’avventura con la promessa che possiamo molto grossolanamente esprimere così: ‘Aggregatevi a noi per conquistare le terre vicine: sarete liberi e non pagherete più tasse, ma ve le farete pagare dagli altri’. La formula funzionò, la cultura araba si diffuse e fu assorbita da altre popolazioni più numerose e con più lunga esperienza di gestione di imperi, cioè dalle popolazioni dell’Asia Centrale e della Persia, che assunsero ben presto la direzione dell’Impero, sostituendosi alle dinastie arabe. La diffusione avvenne via terra, il controllo dei commerci avvenne soprattutto via terra. Gli Arabi con riuscirono mai a controllare interamente il Mar Mediterraneo, tanto meno gli Oceani. Così l’impero continuò a essere islamico e a usare l’arabo come lingua unificante, ma il potere e la ricchezza passarono di mano dopo pochi decenni, trasferendosi nelle mani di Persiani e Turchi, che erano molto più numerosi, mentre gli Arabi tornarono a condurre una vita più o meno grama nelle oasi del deserto.

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