Sudan, uno dei tanti disastri delle istituzioni negli stati africani

05/11/2021

Cliccare sulle immagini per ingrandirle.

Il 25 ottobre 2021 il Sudan ha visto l’ennesimo colpo di stato. Sono in corso le ennesime trattative per la formazione di un governo di transizione, che ricorra a elezioni popolari. Sono le frasi che stancamente si ripetono nei telegiornali ad ogni colpo di stato, non soltanto in Sudan ma nei tanti paesi africani che non hanno mai conosciuto una situazione di stabilità istituzionale e politica in epoca postcoloniale.

La popolazione sudanese è divisa in 570 tribù, 57 gruppi etnici e 114 lingue parlate e scritte. IL PIL medio pro-capite è di 775 dollari l’anno, l’inflazione nel 2020 è stata del 360%, il debito nazionale è pari al 260% del PIL. Come si cade in tale prolungato disastro? Proviamo a riassumere il percorso politico del Sudan moderno, dall’inizio del 1800.

Nel 1819 l’Egitto mandò una spedizione militare alla conquista del Sudan. I maltrattamenti degli Egiziani diedero origine a un movimento di resistenza e di ribellione guidato da religiosi islamici appartenenti a una locale setta sufi, i Mahdisti. I Mahdisti chiamarono la popolazione al jihad. Gli Egiziani chiesero aiuto all’Inghilterra, che inviò una contingente guidato dall’ufficiale Charles Gordon, nominandolo governatore generale del Sudan. Nel 1833 i Mahdisti fecero strage di 10000 soldati egiziani, due anni più tardi conquistarono anche Khartum e uccisero Charles Gordon. Conquistato il potere, i Mahdisti imposero la loro feroce interpretazione della legge islamica. Sotto il loro governo la popolazione del Sudan si ridusse del 50% per guerre, abbandono delle attività economiche e conseguenti carestie. Il paese si ridusse alla sussistenza, il governo mahdista ricorse a frequenti scorrerie armate contro la sua stessa popolazione per mantenere l’esercito.

Nel 1899 una spedizione congiunta anglo-egiziana riconquistò quasi tutto il territorio (eccetto un’area del Darfur) e vi stabilì il Condominio anglo-egiziano, di fatto un sistema coloniale di stile britannico che diede stabilità amministrativa ed economica alla regione e durò fino al 1956, quando il Sudan proclamò l’indipendenza, sotto la guida del primo ministro Ismail-al Azhari. Dopo poco più di due anni ci fu il primo colpo di stato che stabilì una dittatura militare sotto il generale Ibrahim Abboud. Abboud mise fuori legge i partiti, perseguì l’arabizzazione e l’islamizzazione forzata delle tribù politeiste e di quelle cristiane. Dilagò rapidamente e vistosamente la corruzione, che provocò una insurrezione popolare che costrinse Abboud alle dimissioni nel 1964.

Il successivo governo civile durò soltanto fino al 1969, quando il colonnello Jaafar Nimeiri prese il potere, alleandosi con la Fratellanza Musulmana che nel frattempo si era molto sviluppata fra la popolazione sia in Egitto sia in Sudan. Nimeiri collaborò con Hassan al Turabi, giureconsulto e leader del Fronte Islamico Nazionale, espressione politica della Fratellanza Islamica. Il suo governo impose la sharia anche alle popolazioni non islamiche del Sud e non riuscì a frenare la corruzione, perciò finì con l’essere rovesciato da una ribellione popolare nel 1985.

L’esercito nominò il generale Abdel Rahman Swar al-Dahab capo di un governo di transizione, che lasciò subito il potere a un governo civile guidato da Sadiq al-Mahdi, il religioso a capo del Partito della Umma. Ma il governo di al-Mahdi fu rovesciato nel 1989 dal colpo di stato del generale Omar Bashir, che mantenne il potere per trent’anni. Ma furono trent’anni di malgoverno e di ribellioni. Dal 2003 al 2009 il conflitto armato con gli insorti del Darfur provocò carestie e stragi che indignarono il mondo. Bashir utilizzava le milizie Janjaweed che facevano stragi indiscriminate di civili ovunque arrivassero. Le ribellioni si estero. Nel 2011 il Sud si staccò dal nord e si proclamò indipendente. La politica feroce e dissennata di Al-Bashir distrusse radicalmente l’economia della regione, riducendo alla fame la popolazione.

Alla fine del 2018 il generale al-Burhan rovesciò Bashir e prese il controllo del paese. Nel corso del 2019 ci furono proteste e ribellioni da parte di gruppi che volevano il ritorno a un governo civile, in conseguenza delle quali esercito e ribelli si accordarono su di un percorso di transizione di tre anni, durante i quali l’esercito, nella persona di al-Burhan, avrebbe sorvegliato l’operato di un governo civile capeggiato da Abdallah Hamdok, un tecnocrate che impose drastiche riforme economiche che impoverirono ancora larghe fette della popolazione. Il suo governo non soltanto non migliorò l’economia, ma non riuscì a portare a giudizio i responsabili dei massacri compiuti sotto Bashir. Perciò lo scorso ottobre è intervenuto al-Burhan, che ha esautorato il governo e imprigionato Hamdok.

Oggi le poche aziende e tutte le infrastrutture sudanesi sono nelle mani dei militari, che non paiono aver intenzione di voler davvero indire elezioni e passare la mano ai civili, nonostante le promesse verbali. I militari hanno rifiutato di integrare nell’esercito le milizie paramilitari dei gruppi religiosi ed etnici e vogliono controllare la politica estera del paese. Hanno recentemente firmato l’accordo di pace con Israele, seguendo l’esempio degli Emirati. Hanno aperto dialoghi e attività di cooperazione con l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati, che sono anche i maggiori donatori di aiuti al Sudan.

Nell’arco degli ultimi quaranta anni sono sorte molte organizzazioni civili su base etnica o religiosa, che però non riescono ad arrivare ad accordi per costituire un governo inclusivo, che abbia come obiettivo la crescita dell’intero paese e di tutte le sue componenti, che appaiono frastagliate, ideologicamente ed economicamente rivali. Nel migliore dei casi, sono gruppi lobbistici a favore di questa o di quella singola comunità, nel peggiore dei casi sono fanatici religiosi o avidi militari che vogliono impossessarsi di tutto. I maggiori partiti sono il Partito Nazionale della Umma e il Partito Unionista Democratico, entrambi accozzaglia di interessi diversi, privi di una visione di governo per l’intera popolazione, entrambi fautori della totale arabizzazione e islamizzazione del paese, sopprimendo cristiani e animisti. Un governo stabile e sufficientemente democratico e inclusivo appare ancora lontano nel tempo. 

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.