Reti e dinamiche migratorie dei Tuareg del Mali
Lezioni di Alessandra Giuffrida

18/11/2021

Il testo riassume due lezioni che la dott.ssa Alessandra Giuffrida ha tenuto presso la sede della Fondazione a settembre e ottobre 2021.

 

Il tema della mobilità migratoria è utile per comprendere il nesso tra strategia economica e dinamiche di cambiamento e continuità in alcune società dell’Africa sahariana e saheliana. I Tuareg del Mali offrono l’esempio di un popolo nomade, come altri in questa regione africana, che in passato traeva la propria forza economica, politica e militare dalla mobilità geografica, legata alla transumanza del bestiame, al commercio carovaniero e a migrazioni causate da cataclismi e guerre. Oltre a queste migrazioni troviamo esempi di movimenti espansionistici corrispondenti a dinamiche di assimilazione, fusione ed espulsione dovute a scissioni e alleanze politiche con altre tribù tuareg e di altre etnie. Queste dinamiche migratorie presupponevano sia movimenti migratori sia dinamiche di innesto e insediamento in nuovi territori, cioè di fusione tra clan tuareg e con altre popolazioni.

Distanziandosi da narrative mediatiche evenemenziali, che spesso dimenticano la storia nella lunga durata, si analizzeranno qui le dinamiche migratorie tuareg nella lunga durata e la loro importanza per cogliere aspetti di organizzazione politica, sociale e territoriale dal periodo pre-coloniale al presente.

 

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Slide 1. L’essenza dell’essere tuareg è la mobilità in tutte le sue forme, incluso il suo contrario, la staticità, che contribuisce alla formazione di reti migratorie e un modello strutturale fondato sull’alternarsi di movimento e stasi. Le società tuareg hanno una struttura reticolare fluida paragonabile a quella di altre società diasporiche africane e mediorientali, un tempo nomadi, organizzate in tribù o clan, che hanno sviluppato l’arte di non essere governate. Alcuni aspetti culturali, per esempio le strategie matrimoniali e i legami di parentela, hanno contribuito a riprodurre strutture sociali che ancora oggi costituiscono lo scheletro portante della società.

Dopo anni di politiche di sedentarizzazione, persecuzioni e guerre, i Tuareg si sono molto impoveriti. La lenta de-territorializzazione li spinge a lasciare il loro paese per cercare protezione in altri stati dove rifarsi una vita e trovare un lavoro. La maggioranza della popolazione civile tuareg, composta da donne e bambini, dopo l’ultima guerra in Mali iniziata nel 2012, è forzata all’immobilità in campi profughi in Mauritania, Algeria, Niger e Burkina Faso. Altri sono ‘sfollati’ invisibili in diverse città africane o ammassati in campi di detenzione in Niger e in Libia. Pochi riescono ad arrivare in Europa. Chi resta nei propri territori a nord del Mali invece è costretto ad accettare l’imposizione di gruppi jihadisti, l’assenza dello stato del Mali, la presenza di forze di pace onusiane, la MINUSMA, e di forze militari straniere che hanno occupato il territorio.

 

Slide 2. L’analisi proposta mette a confronto diversi tipi di migrazioni tuareg nel tempo e nello spazio al fine di isolare aspetti di continuità e cambiamento di carattere strutturale. I dati raccolti in Mali, Marocco e Mauritania si riferiscono a un clan specifico: i Kel Antessar. Il loro statuto religioso li differenzia da altri clan di statuto guerriero (imashaghen), che vediamo nella slide in territori al confine tra diversi stati a sud del Sahara. C’è chi pensa che la parola Tuareg derivi da Targa, zona geografica del Fezzan nel deserto libico dai quali potrebbero essere arrivati in diverse ondate migratorie. Alcuni studi archeologici ipotizzano che i Tuareg discendano dai Garamanti.

 

Slide 3. L’ipotesi dell’origine libica è corroborata dall’uso dell’alfabeto Tifinagh che troviamo ancora oggi inciso su rocce e grotte nel Sahara. Il termine Tifinagh ricorda il nome col quale i Greci chiamavano i Fenici. Questo alfabeto autoctono deriva dagli alfabeti detti libici − dei quali la più antica scoperta risale a metà del II secolo a.C. È ancora in uso ai nostri giorni insieme ad altri due alfabeti di origine straniera (alfabeto arabo e alfabeto latino). I Tuareg ne fanno ancora uso oggi ma in modo limitato.

Duveyrier (esploratore francese della metà dell’800), attribuisce l’origine di Tuareg alla parola araba Tawarik, che significa “abbandonati da Dio”. In Mali, alcuni Tuareg si fanno chiamare Kel Tamasheq, cioè “coloro che parlano la lingua Tamasheq”. Altri come Imashaghen, termine usato da tuareg di casta guerriera per denotare lo statuto sociale di uomini liberi e differenziarsi da tributari, artigiani ed ex schiavi. Infine, molti Tuareg usano il nome del territorio dal quale provengono i loro antenati. Per esempio, i Kel Ifoghas prendono il nome del rilievo montuoso al confine tra gli stati del Mali e del Niger, così come i Kel Ahaggar al sud dell’Algeria.

Le diverse confederazioni tuareg corrispondono a variazioni linguistiche e regioni geografiche. Le variazioni principali sono il Tamasheq, il Tamahaq, il Tamajek e il Tamajak. A queste si aggiungono dialetti come il Tensart e il Tetserret, parlato rispettivamente dai Kel Antessar in Mali e dai Kel Tagaraytgarayt in Niger. Altri dialetti parlati in Mali sono il Tadrak dei Kel Ifoghas nella Regione di Kidal e il Tewellemmet parlato dagli Iwellemedden dell’Ovest al confine tra il Mali e il Niger. Queste variazioni linguistiche distribuite in un’area geografica molto vasta suggeriscono come sia difficile generalizzare su tutti i Tuareg, malgrado alcuni si identifichino culturalmente come un popolo accomunato dalla stessa lingua per rivendicare la loro diversità dagli arabi a nord e da altre etnie a sud de Sahara. I Tuareg infatti, percorrendo le piste transahariane con le loro carovane di sale, vivevano tra questi due mondi.

 

Slide 4. Poco sappiamo sui Tuareg prima dell’Islam e la stesura di cronache di geografi, mercanti e esploratori. La tradizione orale tramanda un mito delle origini da un’antenata femminile berbera, Tin Hinan, la cui tomba è stata trovata da un archeologo francese nel 1938 e attribuita a un monumento funerario ad Abalessa, nelle montagne dell’Hoggar nel deserto del Sahara a sud dell’Algeria. Con l’arrivo dell’Islam e dei Sahanja (uomini pii che diffondevano il sufismo) si formarono nuove tribù grazie a matrimoni che prevedevano la conversione. Da allora in alcune tribù tuareg la discendenza si traccia seguendo la patrilinearità e il mito delle origini riconosce l’origine da un antenato maschile. Questo è il caso degli Iwillimedden Kel Ataram e dei Kel Antessar della Regione di Timbuktu coi quali ho convissuto per un anno e mezzo sotto una tenda a nord ovest di Timbuktu vicino al Lago Faguibine.

Prima di passare ai cambiamenti apportati nella stratificazione sociale della società tuareg direttamente legati all’islamizzazione desidero illustrare la storia di Tin Hinan. Ancora oggi la donna tuareg eredita molti diritti delle antiche antenate proto e paleoberbere. La donna tuareg ha una posizione eminente nella famiglia e nella società, è depositaria della cultura (scrittura, tradizione orale), ha un ruolo economico all’interno della famiglia, trasmette il rango e la lingua berbera ai figli, può divorziare e restare proprietaria della sua tenda e dei principali beni familiari in caso di separazione o divorzio dal coniuge. A seconda del suo rango può ottenere una dote di grande importanza prima del matrimonio e avere un amante, divorziare e celebrare la sua nuova libertà con una festa per dichiarare che può sposarsi nuovamente con un altro uomo. In alcune confederazioni ancora oggi la successione al potere politico dei capi tribù avviene lungo linea matrilineare, cioè passa attraverso la linea di discendenza femminile. Se nate in un lignaggio di marabutti, che come guaritori curano soprattutto malattie mentali, spesso rivestono il ruolo di guaritrici associando la medicina tradizionale erboristica alla preghiera dopo aver ricevuto un’educazione coranica.

II nome di Tin Hinan, nell’universo mitico dei Tuareg, e sinonimo di autorità, nobiltà, cultura, civiltà e segna l’inizio della storia di un popolo, originariamente nomade e privo di una letteratura scritta. Del mito di Tin Hinan, tramandato solo oralmente, esistono innumerevoli varianti. Tra le versioni più accreditate quella riferita dai Kel Rhela e registrata da Père de Foucauld la collega al famoso monumento di Abalessa (a 80 km da Tamanrasset, a sud dell’Algeria) scavato nei primi decenni del secolo scorso e datato tra il IV e il V secolo d.C −quindi prima dell’avvento dell’Islam in Africa.

In un tempo imprecisato e remoto, la leggenda narra che una regina, profuga dal suo regno (probabilmente nel Tafilalelt, a sud del Marocco) giunge nel Sahara assieme alla sua ancella Takamat. Il nome tin ihanan, significa letteralmente in Tamahaq, "quella delle tende" o "la padrona delle tende" (definizione contenente un concetto di attribuzione della proprietà che coincide con la tradizione di discendenza dei Kel Hoggar). Dopo molte avventure (celebre l’episodio del formicaio all’interno del quale Takamat trova le granaglie necessarie a garantire la sopravvivenza a sé e alla propria regina), le due donne riusciranno a sopravvivere e ad arrivare nella regione dell'Hoggar, dove vive una popolazione autoctona ignorante e "senza dio", gli Issabaten, non musulmani, ritenuti i costruttori dei grandi monumenti in pietra a tumulo e a cerchi.

Nell'Hoggar, Tin Hinan crea il suo nuovo regno. Da lei e dalle sue discendenti avranno infatti origine alcune tribù nobili, mentre dai discendenti della sua ancella e amica Takamat deriveranno le tribù vassalle. Secondo una versione della leggenda, le tribù nobili sarebbero i discendenti delle tre figlie di Tin Hinan, chiamate Tahenkot (la gazzella), Tinert (l’antilope) e Tamerouelt (la lepre) − secondo un’altra versione da Kella (figlia o nipote della regina) discenderebbero i nobili dei Kel Rhela tra i quali viene scelto l’amenokal, il capo supremo della comunità tuareg. Il padre delle figlie e nipoti di Tin Hinan resta comunque nell’ombra. Entrambe le varianti del mito delle origini contengono l’elemento della matrilinearità nella quale è il ventre materno che dà rango ai figli. Proseguendo per via matrilineare, le due figlie di Takamat avrebbero generato i Tuareg delle tribù vassalle degli Ihadanaren, degli Ait Loaien e dei Dag Rhali. Due donne sono dunque i capostipiti delle principali classi sociali alla base della società tuareg.

 

Slide 5. La storia di Tin Hinan, raccolta un secolo fa da Pere de Foucauld, si riferisce alle origini leggendarie del popolo dei Tuareg e contiene, nelle sue varie versioni, uno schema classico che si basa sui seguenti elementi: emigrazione di un antenato mitico, sottomissione di una popolazione autoctona, fondazione di diverse tribù. Al centro della vicenda, una figura di donna dotata di qualità eccezionali e investita di potere, il potere che spetta a un capo indiscusso della comunità. Alcuni particolari contenuti nella leggenda adombrano elementi reali tipici della società dei Tuareg: si è già detto del riferimento alle tende, proprietà della donna anche dopo il divorzio; mentre dal dono delle granaglie a Tin Hinan da parte di Takamat sarebbe derivata l’abitudine del tiousse, il tributo annuale offerto dalle tribù vassalle ai nobili di rango guerriero. È importante sottolineare che la donna resta proprietaria della sua tenda e del bestiame, che riceve in dote, anche dopo il divorzio, insieme a gioielli in argento e in oro ricevuti in dono durante il matrimonio. Quindi dispone di beni mobili. Questo conferisce alla donna tuareg un’autonomia economica. Inoltre, la donna tuareg sposata è libera di celebrare la sua rinnovata libertà durante una festa tre mesi dopo il divorzio per dichiarare che è pronta a risposarsi. Infine, a differenza di tutte le altre donne di diverse etnie in Mali, la donna tuareg non subisce alcun taglio del clitoride o infibulazione.

Nella leggenda di Tin Hinan, come molte altre leggende che contengono il mito delle origini di diverse tribù tuareg e diversi popoli sahariani il tema della emigrazione degli antenati o antenate è ricorrente. Il mito delle origini che caratterizza molte altre culture, basta ricordare la regina di Saba.

 

Slide 6. Per capire i cambiamenti avvenuti nel tempo è importante partire da un punto nella storia attraverso il quale si possono tracciare forme di organizzazione sociale e politica. Sappiamo che nel periodo pre-coloniale i Tuareg erano un popolo a base tribale organizzato in federazioni di tribù alleate tra loro. Ogni tribù e federazione aveva un capo (amenokal) che esercitava autorità e potere sul territorio occupato attraverso relazioni tributarie che garantivano protezione militare. I Kel Antessar con cui svolsi la mia ricerca sul campo a nord ovest di Timbuctù, hanno una storia singolare poiché dal rango di marabutti, e tributari dei guerrieri Iwillimeden Kel Ataram, riuscirono a consolidare il loro tamburo di guerra (ettebel), simbolo di dominio di una federazione di clan, detenuto da un capo (amenokal). La federazione prevedeva l’alleanza di diversi clan sotto il suo potere attraverso i quali aveva formato un’importante federazione sfruttando alleanze matrimoniali e il commercio. Le strategie matrimoniali e i legami di parentela hanno contribuito alla mobilità sociale e contemporaneamente a riprodurre strutture sociali che ancora oggi costituiscono lo scheletro portante delle società tuareg.

Sappiamo che le società tuareg prima dell’arrivo dei francesi nel XIX secolo erano organizzate in clan che intrattenevano relazioni tributarie, di alleanza e di clientelismo tra di loro e con altri gruppi etnici. La loro organizzazione politica si reggeva sul clan (tawsit), termine che preferisco a tribù e definisco come costituito da membri che riconoscono un’origine comune da uno stesso antenato. Ogni clan aveva un suo capo (amghar) responsabile di rappresentare e mediare tra i membri del clan e il capo di una confederazione (amenokal) di più clan. Il tamburo di guerra (ettebel) come simbolo di comando. Le alleanze tra clan a livello politico e militare, anche se molto fluide e dinamiche, cambiavano a seconda dell’alternarsi di re, sultani e imperatori di diversi gruppi etnici e dall’arrivo di nuovi gruppi di migranti, mercanti o guerrieri. Lungo il fiume Niger, che ha forma di mezza luna il controllo dei territori contesi tra diversi clan e gruppi etnici era spesso causa di guerre per avere accesso alle risorse, ad esempio l’acqua nelle oasi lungo le piste trans-sahariane dove avveniva il commercio del sale, dell’oro e degli schiavi e si concentravano i magazzini di stoccaggio delle merci di scambio.

Le diverse tribù tuareg nel periodo pre-coloniale e prima dell’Islamizzazione potevano far parte di federazioni di tribù ma nel loro insieme non hanno mai costituito un regno o un impero come quello mandingo o songhay. Avevano una concezione della struttura politica che faceva uso del corpo umano come metafora per spiegare come tutte le diverse tribù erano parti diverse di uno stesso insieme chiamato Tumast, cioè unione di tutte le tribù tuareg. Questo insieme non ha mai costituito uno stato o una nazione con un’amministrazione centralizzata. Ancora oggi si definiscono come un popolo senza stato anche se diverse tribù possono allearsi militarmente, intrattenere rapporti tributari o di clientelismo, avere relazioni fondate su matrimoni esogami di convenienza, che costituiscono legami di parentela. I matrimoni endogami, cioè tra consanguinei, rappresentano il regime matrimoniale preferenziale. Quelli esogami con altre tribù o altre etnie sono rari e avvengono soprattutto per consolidare alleanze politiche e interessi economici tra élite. Le strategie matrimoniali endogame ed esogame ancora oggi avvengono tra diverse tribù ma anche tra diversi clan di una stessa tribù e tra diversi strati sociali ad eccezione della casta degli artigiani che tradizionalmente sono i più endogami.

 

Slide 7. Le strategie matrimoniali concorrono a riprodurre una stratificazione sociale che demarca divisioni di rango e caste, ognuna dedita a un’attività specifica a partire dalla casta guerriera, degli uomini liberi (imashaghen), seguita dai tributari (imghad) dediti all’allevamento di bestiame che in cambio della loro alleanza e tributo (tiuse) ai guerrieri ricevevano protezione militare. Anche i marabutti (mrabtin) anche chiamati ineslimen (musulmani) avevano uno statuto di tributari: offrivano i loro servizi di insegnamento, di giudici e applicazione del fqui (o diritto malekita), di guaritori in cambio di protezione militare e alleanze politiche. I Kel Antessar riuscirono a costituire il loro tamburo di guerra alleandosi politicamente con diverse tribù vassalle tuareg offrendo le loro donne in matrimonio e sposando donne di altre tribù. Il loro territorio si estendeva a nord dell’ansa del fiume Niger e il Lago Faguibine dove avevano acquistato le terre agricole dai Songhay in tutta la regione dell’Azawad.

Le strategie matrimoniali tra élite di diversi clan e etnie sono un esempio di dinamica socio-politica legata alla migrazione come processo strutturante di fusione e assimilazione tra popolazioni migranti e popolazioni natie, che conferiscono una fluidità strutturale importante legata alla mobilità sociale. L’influenza della cultura islamica nella società tuareg, ad esempio, ha facilitato forme di mobilità statutaria e la formazione di due nuovi strati sociali. La società tuareg era stratificata in uomini di statuto libero (imashaghen) dediti alla guerra, seguiti dai tributari (imghad) che erano principalmente allevatori di bestiame e commercianti. Anche i tributari erano chiamati a combattere perché alleati politicamente in cambio di protezione degli imashaghen. I religiosi (ineslimen o elfaqqiten) rivestivano il ruolo di giuristi, diplomatici e insegnanti del corano oltre a quello di guaritori.

I Tuareg non adottarono una dottrina islamica rigorosa e radicale. Il sincretismo meglio descrive il modo in cui la religione islamica accompagna con credenze soprannaturali e riti di iniziazione legati al mondo della natura, come quello dei ragazzi adolescenti che prima di indossare il turbante per la prima volta, dovevano allontanarsi dall’accampamento da soli e dormire all’aperto nel deserto senza alcuna protezione per confrontarsi con gli spiriti della natura (kel essuf e kel tenere) e la forza degli animali feroci (Rasmussen). 

Altro strato importante è la casta degli artigiani (enhaden) dediti al lavoro del legno e dei metalli. Una figura di rilievo di questa casta era l’aggu che rivestiva il ruolo di guardiano della tradizione orale e di messaggero tra diversi clan. L’aggu era chiamato a cantare la storia e le lodi dei capi durante cerimonie ufficiali, a suonare il tamburo di guerra (ettebel) e portare notizie da un luogo all’altro. Infine, c’erano gli schiavi (iklan) che si dividevano in tre categorie a seconda della loro occupazione: gli schiavi domestici (iklan-n-ehan) che vivevano vicino alle tende dei padroni, gli schiavi che seguivano il bestiame durante le cure del sale e le transumanze (Iklan-n-ejef), e infine gli schiavi che lavoravano la terra (iklan-n-ishecrash). Come in molte altre popolazioni gli schiavi erano catturati in guerra e quindi potevano avere diverse origini etniche. Questi ultimi potevano anche essere liberati secondo quanto prescritto dal Corano. Quest’ultima categoria sociale prende il nome di eghawelen e ancora oggi ricopre un ruolo importante nell’amministrazione di terre agricole come mezzadri e come sindaci e amministratori nelle sedi amministrative comunali. Altro esempio di mobilità sociale e fluidità strutturale legate alla cultura islamica.

 

Slide 8. L’Islamizzazione dei Tuareg è da intendersi come la trasmissione della cultura islamica che contribuì alla formazione della casta dei religiosi e di schiavi liberati (eghawelen), ma non necessariamente come la pratica ortodossa e rigorosa della fede musulmana. L’Islam a sud del Sahara fu soprattutto un’influenza culturale che contribuì all’introduzione dell’arabo come lingua dotta, così come il latino era nell’Europa medievale. L’arabo era anche la lingua del corano e del sistema giuridico malechita che tutti potevano condividere al di là delle differenze etniche e linguistiche per redigere atti commerciali, accordi tributari, eredità e formule per alleviare malattie.

L’influenza islamica di maggior rilievo da un punto di vista istituzionale fu quella introdotta dal Pashalik marocchino con sede a Marrakech nel XVII secolo. In seguito, la jihad penetrò a sud del Sahara, nella regione di Macina, a sud del delta interno del fiume Niger, nell’attuale Mali, per mano di Sekhou Amadou a metà del XIX secolo. Attraverso la predicazione e la guerra armata nel 1861 riuscì a far cadere l’Impero Bamana, retto dai Bambara, e a instaurare lo stato islamico del Macina che dal delta interno de Niger arrivava fino a Timbuctù. Questo obbligò tutti gli abitanti del delta interno del Niger a sedentarizzarsi, riunificando il territorio frammentato sotto l’Imamato di Macina. Da allora l’ordinamento giuridico malechita fu usato come riferimento per regolare conflitti legati alla terra, eredità, divorzi e altre questioni. A oggi questo ordinamento giuridico sopravvive soprattutto in zone rurali, dove le istituzioni laiche dello stato sono assenti e il livello di analfabetismo è molto elevato.

La storia delle migrazioni dei popoli, in termini molto generali, insegna a concettualizzare la cultura Tuareg come ibrida e non pura, come altre culture di molte etnie a sud del Sahara. Ogni cultura si fonda sul contatto tra popoli di diverse culture e gruppi etnici, ed è il risultato di traiettorie migratorie. I Tuareg e altre etnie hanno assimilato diverse genti e si sono alleati con altre, a seconda del contesto storico e politico specifico, mobilitando un’identità tuareg, musulmana o berbera.

Un esempio di questa ibridità culturale risiede nel fatto che ancora oggi molti Tuareg in zone rurali marginali, anche se frequentano la scuola coranica, hanno un sistema di credenze sincretico che associa l’Islam a credenze soprannaturali. L’influenza che l’Islam ebbe storicamente nella formazione di una nuova casta sociale, quella dei religiosi e degli eghawelen come nella società Kel Antessar, ha permesso loro di trasformarsi da clienti dei capi guerrieri Iwillemeden a capi di una loro confederazione grazie alle loro strategie matrimoniali, all’abilità con la quale controllavano il commercio attraverso le mansioni di giureconsulti, oltre che ad altre mansioni che svolgevano come insegnanti, diplomatici e guaritori. Oltre ai Kel Antessar questa forza politica riguarda anche altri clan tuareg religiosi tra i quali i Kel Essuf e Ifoghas in Mali, i Tagaraytgarayt e gli Ayt Seslem in Niger. La mobilità migratoria ha quindi contribuito a diffondere la cultura islamica e facilitato processi di scambio e cambiamento culturale e strutturale, di innesto, fusione ed espulsione di clan e lignaggi che vanno aldilà dell’organizzazione politica e governi di stato, o discorsi di identità nazionali. Questo spiega perché nel presente diverse società sahariane rappresentano un mosaico di culture, che pur condividendo lo stesso territorio possono trasformare e negoziare la delimitazione dei loro confini politici e identitari in modo estremamente fluido, grazie all’assenza di uno stato.

 

Slide 9. Dopo la spartizione dell’Africa alla Conferenza di Berlino e le esplorazioni di Mungo Park, Henrich Barth, René Caillé verso l’impenetrabile delta interno del fiume Niger, l’esercito francese riesce a conquistare Timbuktu nel 1894. L’arrivo dei francesi e l’instaurazione dell’amministrazione coloniale scardinarono totalmente le strutture politiche decentralizzate delle confederazioni tuareg e le relazioni economiche ed inter-etniche sulle quali si reggevano da secoli il commercio e l’economia agro-pastorale. In questa slide ho riassunto i maggiori cambiamenti apportati dal governo coloniale dell’AOF. I francesi avevano capito che l’unico modo per indebolire l’economia e la forza militare dei Tuareg era limitarne la mobilità geografica attraverso la quale le popolazioni nomadi in questa regione dell’Africa Occidentale erano autosufficienti economicamente e preservavano un’autonomia politica fondata sulla complementarietà dell’allevamento estensivo, cioè basata sulla transumanza stagionale, l’agricoltura e il commercio lungo le piste carovaniere del Sahara. Gli amministratori francesi introdussero un sistema di lascia passare che limitava i percorsi del bestiame in diverse stagioni dell’anno per avere accesso a pascoli e alcuni pozzi e/o zone inondate dal fiume Niger, situati lungo le rotte della transumanza e della cura del sale.

Oltre a questo, iniziarono a enumerare i gruppi nomadi e a dividerli in frazioni amministrative, corrispondenti a insediamenti sedentari dove aprirono delle scuole e nominarono chefs coutumier, o capi tradizionali tra i capi clan e capi tribù come tramite dell’apparato amministrativo incaricandoli di riscuotere tributi sui capi di bestiame in ogni famiglia (e i prodotti derivati dal bestiame e rivenduti sul mercato come il latte, il burro, il cuoio, i capi da macellare). Il governo coloniale introdusse le scuole francesi per sostituirle alle scuole coraniche ma questa iniziativa incontrò molta resistenza fatta eccezione per i Kel Antessar. Il capo di questo gruppo marabutico pensò fosse molto utile aprire scuole francesi affinché i bambini potessero studiare in un’altra lingua, oltre all’arabo e il berbero. Un dato interessante ritrovato negli archivi francesi mostra che alla scuola francese furono iscritti soprattutto i figli della classe servile.

Infine, verso il 1908 l’amministrazione francese creò i village de liberté per gli schiavi di varie etnie impiegati per i lavori agricoli, affinché potessero idealmente riacquistare la loro libertà. Tuttavia, questa iniziativa apparentemente umanitaria fu un escomatage per aumentare la produzione di cereali necessari a sfamare l’esercito coloniale dell’AOF e tassare i raccolti. Infatti, molti schiavi che erano stati convinti a lasciare i loro vecchi padroni in cambio della libertà si resero conto dell’inganno e molti decisero di abbandonare i village de liberté poiché le condizioni di lavoro erano migliori nella loro società perché non dovevano pagare tasse, oltre ad essere sfruttati come braccianti nei campi.

Le conseguenze dell’amministrazione coloniale francese furono devastanti. Non solo accesero rivalità e divisioni tra diversi clan e federazioni tuareg, misero un’etnia contro l’altra per meglio controllare la popolazione e introdussero tasse che trasformarono i rapporti tra la casta di guerrieri e tributari sulle quali si reggevano alleanze e protezioni militari tra diversi clan. Infine, l’islamofobia dei francesi nei confronti della religione musulmana con l’abolizione delle scuole coraniche, provocò una reazione politica che sfociò nel rinforzare le relazioni tra i gruppi religiosi e i loro capi con La Mecca e il mondo islamico in Nord Africa. Le conseguenze della politica coloniale francese nelle sue ex colonie in Africa Occidentale si ripercuotono ancora oggi contro le popolazioni locali ed esasperano problemi latenti come la corruzione e il malgoverno dei militari, dei religiosi e dei laici che difficilmente potranno risollevare lo stato del Mali. 

 

Slide 10. Prima di abbandonare le colonie nell’area sahariana dove i francesi avevano scoperto l’uranio in Niger e il petrolio in Algeria, alcuni membri del governo francese proposero ai popoli nomadi del Sahara, tra i quali i Tuareg, di creare una specie di protettorato promettendo loro infrastrutture mediche e scolastiche in cambio di diritti di accesso ai loro territori per sfruttarne le risorse minerarie. A tal fine nel 1957, durante la guerra civile in Algeria, alcuni membri del governo francese crearono l'Organisation Commune des Régions Sahariennes (OCRS), una collettività territoriale nel Sahara «per valorizzare l'espansione economica e la promozione sociale delle zone sahariane della République Française». L’OCRS comprendeva oltre a vasti territori a sud dell’Algeria, del Niger, del sud est del Marocco anche il nord del Mali e più specificatamente quell’area che corrisponde quasi esattamente all’Azawad, regione che i Tuareg hanno rivendicato con ribellioni armate e guerre di secessione dall’Indipendenza del Mali nel 1960 a oggi.

 

Slide 11. Quando il Mali dichiarò la sua indipendenza nel 1958 fu inizialmente annesso al Senegal e poi costituì la sua prima repubblica nel 1960 sotto il regime socialista di Modibo Keita. Lo stesso anno società minerarie francesi avevano iniziato a fare esperimenti nucleari in territori tuareg a sud dell’Algeria nei pressi di Reggane dove, in seguito alla sedentarizzazione dei nomadi, vivevano circa 40.000 tuareg. L’esplosione della prima bomba atomica francese ebbe conseguenze devastanti sulla popolazione locale che ancora oggi sono causa di recriminazioni da parte delle giovani generazioni che ne hanno preservato la memoria.

L’indipendenza del Mali nel 1960 non fu celebrata ugualmente in tutto il paese. Nel nord del Mali, che faceva ancora parte dell’OCRS i capi tradizionali tuareg, songhay e arabi scrissero una lettera nella quali espressero fermamente di non voler essere governati da governi delle etnie del sud con le quali esistevano rapporti storici conflittuali. Il nuovo governo socialista volle proseguire la politica coloniale di sedentarizzazione e chiese aiuto all’UNDP. Questa organizzazione di Sviluppo Economico delle Nazioni Unite suggerì di applicare il modello che aveva usato in Siberia senza curarsi minimamente di differenze ambientali, climatiche, politiche, culturali delle popolazioni locali. Nel 1963 i Tuareg presero le armi e si ribellarono per rivendicare l’autonomia dell’Azawad. La ribellione fu repressa con operazioni genocidarie, quali il bombardamento con gas napalm di accampamenti nomadi grazie all’uso di aerei russi. Contemporaneamente, il primo governo del Mali ispirato da ideali socialisti decise di introdurre una riforma agraria che dava diritto allo stato di espropriare tutte le terre in zone particolarmente fertili del Mali e riassegnarle alle famiglie dei funzionari dello stato sotto il pretesto che la terra appartiene a chi la lavora.

 

Slide 12. Questa riforma espropriò molti tuareg proprietari di terreni agricoli. Dopo la siccità dei primi anni ’70 del ’900 gran parte della popolazione fu obbligata a lasciare le proprie terre nel nord del Mali poiché non esistevano sistemi di irrigazione adeguati, elettricità, infrastrutture di comunicazione e sanitarie sufficienti a garantire la sopravvivenza. Questa prima siccità dopo l’indipendenza diede inizio alla diaspora tuareg che continuò durante gli anni ’80, quando molti uomini tuareg lasciarono il proprio paese per andare a cercare lavoro in altri paesi africani. Una percentuale importante si arruolò nell’esercito di Ghaddafi, che aveva dichiarato la Libia la culla di tutti i popoli nomadi del Sahara, in cambio della nazionalità e di un passaporto libico. Altri trovarono lavoro come commercianti, operai, guardiani, pastori, meccanici, ecc. in altri paesi africani. Dal 1968 il Mali era tornato sotto un regime militare per mano del golpista militare Moussa Traore. E dopo quasi trent’anni di dittatura gli stessi Maliani a Bamako protestavano per la corruzione e gli abusi che dovevano subire. Chiedevano elezioni democratiche. La loro protesta fu repressa nel sangue e le vittime furono più di centocinquanta solo a Bamako. Nel 1991 il luogotenente Amadou Toumani Toure organizzò un colpo di stato e mise fine al regime militare. Istituì un governo provvisorio fino al 1992 quando si fecero le prime elezioni multipartitiche e Alpha Omar Konare (AOK) fu eletto presidente.

La diaspora si estese maggiormente dopo la ribellione degli anni ’90, quando le rivendicazioni indipendentiste si erano riaccese per denunciare la corruzione dei governi del Mali e del Niger per aver dirottato i fondi umanitari della siccità degli anni ’80 per la costruzione di ville con piscine nel “quartier de la secheresse” a Bamako. Il processo di decentralizzazione avviato nel 1997 aveva conferito maggior potere amministrativo alle Regioni del nord del Mali. Tuttavia la gestione corrotta dei fondi umanitari per la riabilitazione degli insediamenti dei rifugiati rimpatriati, appropriati dal governo regionale, affossò nuovamente il nord del paese. La mancanza di introiti economici sufficienti per contribuire alla gestione e manutenzione delle infrastrutture di comunicazione, sanità pubblica e istruzione diedero lo spunto al governo centrale per ricentralizzare il potere amministrativo a Bamako malgrado gli accordi pattuiti durante le negoziazioni di pace mediate dall’Algeria, e riprendere il controllo sui fondi internazionali destinati alla riabilitazione del nord. La mancanza di fondi per sostenere e aiutare la popolazione rurale nel far fronte a un’altra siccità nel 2003 precipitarono nuovamente la popolazione tuareg in zone rurali al nord in una condizione di estrema vulnerabilità che condusse i Tuareg a riorganizzare un’altra ribellione nel 2006 che partì dalla regione di Kidal con a capo Ibrahim Ag Bahanga.

La ribellione tra il 1990-1996 segna il primo esodo di massa per ragioni di guerra e persecuzioni razziali dei tuareg. Donne, bambini e uomini non combattenti furono uccisi con una crudeltà spietata. Da allora giacciono ammassati in fosse comuni che nessuno ha tentato di esumare. Secondo le fonti ufficiali di ACNUR, tra il 1990 e il 1993 oltre 55.000 persone si recarono nei campi profughi in Mauritania, tra i quali 75% erano Tuareg e Mauri (Randall 2004:9) altri avevano chiesto asilo in Algeria, Niger e Burkina Faso o erano sfollati in zone transfrontaliere. Tra il 1995 e il 1997 ACNUR organizzò il rimpatrio verso la regione di Timbuctù (Mali) di circa 43.712 rifugiati (Sperl 2000). I restanti profughi erano rientrati volontariamente a piedi dalla Mauritania nella zona del Mema (Distretto di Lere, Regione di Timbuctù) a partire dal 1993. I movimenti di ritorno dei rifugiati furono accompagnati anche dal ritorno di molti altri Tuareg che erano emigrati negli anni ’80 con l’intento di ripopolare i loro territori, affermare una propria presenza politica registrandosi come residenti nelle municipalità locali ed esercitare il diritto di voto durante le elezioni amministrative del 1998.

Intanto in Mali l’elezione di Amadou Toumani Toure (ATT), l’ex pushista del 1991, alla presidenza del Mali nel 2002 aveva portato cambiamenti politici, militari ed economici che hanno gradualmente trasformato il paese in modo irreversibile facendolo precipitare in uno stato di totale abbandono. Nel 2004, su iniziativa degli Stati Uniti e dei paesi NATO, AFRICOM iniziò un programma per combattere il terrorismo (Pan Sahel Program) nella banda sahariana e saheliana, dalla costa atlantica al litorale mediterraneo e del Mar Rosso. Nel 2007 i ribelli tuareg insorsero nuovamente per reclamare la loro autonomia politica nella regione di Kidal. Questa iniziativa pensata principalmente col fine di monitorare e contenere il terrorismo islamico nella banda sahariana e saheliana, dalla costa atlantica dell’Africa Occidentale al Corno d’Africa sulle sponde del Mar Rosso, fu rinominata Transaharan Counter Terrorism Program ed ebbe come conseguenza l’esatto contrario del suo obiettivo, cioè la proliferazione di gruppi armati e fondamentalisti in tutta la regione tale da giustificare il bombardamento della Libia e il cambiamento di regime voluto da Sarkozy nel 2011. In Mali, l’occupazione militare straniera dal 2005 a oggi ha permesso a gruppi jihadisti di occupare il nord e il centro del paese reclutando combattenti tra giovani disoccupati di tutte le etnie.

 

Slide 13. Durante l’ultima guerra iniziata dopo la decisione di Sarkozy di bombardare la Libia nel 2011 molti tuareg arruolati nell’esercito libico decidono di tornare in Mali e appoggiano il Movimento di Liberazione dell’Azawad, composto da ribelli tuareg laici e secessionisti, che riesce a impossessarsi del nord del paese. Il 6 aprile del 2012 l’MNLA, sfruttando il vuoto di potere a Bamako dopo il colpo di stato a marzo del 2012, dichiara l’Indipendenza dello Stato dell’Azawad. Da quel momento i jihadisti presero il sopravvento e vollero imporre una forma di sharia estrema col fine di trasformare tutto lo stato del Mali in un califfato. Il 13 gennaio 2013 Hollande decise di bombardare il nord del paese per arrestare la discesa dei jihadisti verso Bamako causando un esodo di centinaia di migliaia di rifugiati verso i campi profughi dei paesi limitrofi (Mauritania, Algeria, Niger, Burkina Faso).

La Repubblica indipendente creata su modello dello stato francese nel 1960 non è riuscita a sviluppare uno stato laico africano su presupposti e una costituzione laica e nazionale veramente indipendente che riunisca le differenze etniche sotto una sola bandiera e una sola lingua. Infatti, il governo militare attuale istituito dopo altri 4 colpi di stato ha chiesto all’Alto Consiglio Islamico con sede a Bamako, capeggiato da Haidara, di mediare con i gruppi jihadisti ancora presenti in Mali dal 2012 e che un esercito di più di 6000 uomini di tutte le denominazioni con armi estremamente sofisticate non è ancora riuscito a scalzare. L’assenza dello stato e le sue istituzioni in tutto il paese a eccezione della capitale fa pensare a una strategia voluta per lasciare che i jihadisti prendano il sopravvento. La decisione di Macron di ritirare le proprie truppe a settembre scorso ha dato la possibilità ai militari al governo di chiedere aiuti a mercenari russi. Si apre così un vortice di incertezza su quello che sarà il futuro di questo paese e della sua popolazione.

L’esempio delle reti migratorie dei Tuareg del Mali da un punto di vista strutturale è applicabile a quello di molte altre etnie nomadi della banda Sahariana e Saheliana che hanno un’organizzazione a base clanica cioè decentralizzata e dispersa negli anni in Africa, in Europa e nel Medioriente. Le reti includono diverse tipologie migratorie che rispondono a diversi protocolli delle politiche migratorie. Ad esempio, secondo la convenzione di Ginevra un rifugiato che scappa da un paese una guerra come il Mali, la Siria o l’Afganistan ha diritto a forme di asilo e protezione internazionale che un emigrato alla ricerca di un lavoro salariato proveniente da un paese in pace non ha. A questa categoria si applicano protocolli quali permessi di soggiorno o di lavoro.

 

Slide 14. Le società tuareg hanno una struttura reticolare fluida paragonabile a quella di altre società diasporiche africane e mediorientali, un tempo nomadi, fondate sulle relazioni di sangue e di parentela a base clanica. Dopo anni di politiche di sedentarizzazione, persecuzione e guerre fuggono dai paesi in guerra per cercare protezione come rifugiati, un luogo dove rifarsi una vita e trovare un lavoro. Chi resta nei propri territori a nord del Mali è invece costretto ad accettare l’imposizione di gruppi jihadisti, l’assenza dello stato del Mali e la presenza di forze di pace onusiane, la MINUSMA. I caschi blu hanno occupato il territorio, oltre alle forze militari francesi, di altri stati europei e del G5, senza riuscire a proteggere la popolazione civile da violenze di ogni genere perpetrate anche dall’esercito maliano che continua a commettere crimini di guerra nell’impunità. Chi resta in Mali in zone interstiziali, isolate e marginali è maggiormente a rischio di entrare a far parte di gruppi armati di autodifesa che, in assenza di uno stato e del suo esercito, prende le armi e cerca di difendersi da solo contro i jihadisti, oppure viene assoldato come mercenario dai jihadisti che pagano fino a 300 dollari al mese. Sia i gruppi di autodifesa sia i jihadisti reclutano bambini e adolescenti minorenni come soldati.

I migranti contemporanei comprendono emigrati economici, sfollati, rifugiati e clandestini, sono i nuovi nomadi contemporanei che hanno abbandonato l’allevamento del bestiame, la pesca e l’agricoltura per riversarsi in città o campi profughi in Africa e altri continenti, o hanno deciso di sfidare il gran mare di sabbia per attraversare il Mediterraneo e giungere in Europa dalla Libia e la Tunisia. Altri ancora usano le rotte marittime atlantiche che dalla Mauritania e il Marocco giungono in Spagna, Francia e Gran Bretagna. Le rotte atlantiche, malgrado esistano sofisticatissimi droni per monitorare gli spostamenti di navi, veicoli ed esseri umani, sono sempre attive e collegano trafficanti di cocaina e armi in sud America con il porto di Conakry, in Guinea Bissau a sud di Dakar e 900 chilometri da Bamako. Questo fatto pubblicato su diversi rapporti ufficiali non può che interrogarci su quali sia il ruolo delle autorità ufficiali internazionali e nazionali nel monitorare attività illegali transcontinentali che alimentano sia il crimine sia il terrorismo.

Le nuove politiche europee hanno voluto arginare flussi migratori attraverso la creazione di hub di smistamento per migranti in Africa subsahariana come a Niamey in Niger, campi di detenzione per migranti clandestini in Libia e hanno delegato il controllo delle frontiere e dei flussi migratori alla Mauritania, il Marocco e l’Algeria. Tuttavia molti riescono comunque a passare attraverso le maglie di frontiere porose malgrado l’uso di sofisticati strumenti digitali di rilevamento e sicurezza nei quali si stanno investendo miliardi. Alcuni di questi migranti finiscono in reti di traffico umano dove i bambini sono usati come donatori di organi per le cliniche del nord Europa, le donne nigeriane come merce nel mercato della prostituzione e gli uomini di tutti paesi africani come forza lavoro nei campi agricoli del sud e del nord Italia.

Infine, dall’indipendenza dall’amministrazione francese le politiche internazionali di sviluppo economico hanno dato prova di essere insostenibili e ignare delle dinamiche migratorie stagionali di agricoltori, pescatori, pastori e commercianti, che optano per una strategia economica più razionale ed economica delle politiche di sedentarizzazione e migrazioni forzate. Il Mali, terzo produttore di oro al mondo dopo il Sud Africa e il Ghana, continua ad essere politicamente instabile dalla sua indipendenza ed economicamente fragile con una crescita demografica importante. Tuttavia, come il Burkina Faso, il suo indice di sviluppo umano é classificato dall’UNDP tra gli ultimi paesi al mondo.

 

Slide 15. In conclusione, i flussi migratori tuareg in diversi periodi storici sottolineano la ciclicità di instabilità politica ed economica dello ‘stato del Mali’ nella lunga durata. Le dinamiche migratorie hanno fatto emergere come diverse generazioni tuareg di migranti, esuli, rifugiati e sfollati seguono le orme dei loro parenti emigrati precedentemente, con movimenti di allontanamento e dispersione ben oltre le frontiere statali e movimenti di ritorno nel loro paese. Nonostante ‘forzati’ a una stanzialità in aree estremamente isolate in Mali e nei campi profughi dei paesi circostanti, e sparpagliati entro una più ampia orbita della diaspora, i movimenti migratori tuareg nelle forme più contemporanee continuano a strutturare un modello di fluidità strutturale e una società senza stato costituita da un sistema di reti di parentela. Questo aspetto, secondo la mia interpretazione, spiega in parte perché i Tuareg che si fermano definitivamente nei paesi nei quali emigrano per ragioni economiche sono un’eccezione che conferma la regola.

Il confronto e le interazioni tra diverse categorie di migranti suggerisce che isolare una sola categoria, per esempio quella dei rifugiati (migrazione forzata) o degli emigrati economici (migrazione volontaria), offuscherebbe la comprensione delle dinamiche e delle interazioni tra diverse categorie di migrazione in un sistema di reti. In prospettiva diacronica, quindi, il modello di mobilità migratoria si articola attraverso la presenza di un nucleo familiare stanziale e movimenti migratori di andata e di ritorno su distanze e per periodi di tempo variabili. La mia analisi dei dati raccolti sul campo in Mali, Mauritania e Marocco indica che la mobilità migratoria dei Tuareg non causa quindi cambiamenti sostanziali di carattere demografico o strutturale perché per la maggior parte dei Tuareg la migrazione è sempre stata una strategia di sopravvivenza economica. Infine, il permanere di strategie matrimoniali endogame ed esogame, insieme alle dinamiche migratorie, contribuiscono alla formazione di reti che si estendono e contraggono nel tempo e nello spazio.

I cambiamenti in corso più significativi e sui quali bisognerebbe fare ricerca riguardano piuttosto aspetti economici, climatici e politici di carattere globale: l’aumento di disoccupazione dei giovani, la mancanza di accesso all’istruzione e a infrastrutture sanitarie in zone rurali e isolate, i conflitti di interesse tra nuovi attori economici stranieri che operano in Mali e corruzione politica.

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