La Pace
è soltanto nelle mani degli Arabi

08/01/2009

6 gennaio 2009

 

I combattimenti odierni nella Striscia di Gaza si fanno più serrati, la domanda angosciosa è: “quale risoluzione possibile tra Israele e gli arabi?”

A lungo si è dato per scontato che una pace fosse impossibile nella regione, e che la lotta degli Arabi contro Israele sarebbe continuata fino alla definitiva distruzione dello stato ebraico. Nel frattempo Israele sarebbe sopravvissuto con l'utile funzione di comune nemico delle diverse dittature arabe, fungendo da capro espiatorio del risentimento e della rabbia di questi paesi, che altrimenti avrebbero subito delle fratture interne. In questa fase l’unica pace che ci si poteva attendere era quella della tomba.

La storia più recente del Medio Oriente presenta un importante cambiamento che si può tradurre in due possibili cammini verso la pace. Il primo è circoscritto e quindi più percorribile, il secondo è più ampio e quindi difficilmente attuabile e problematico.

Il primo approccio alla pace è rappresentato dalla posizione politica assunta da Anwar Sadat, presidente egiziano assassinato nel 1981. Sadat cercò pace e fama mostrando la sua disponibilità a recarsi persino a Gerusalemme. Sadat non fece questa scelta perché improvvisamente persuaso dai meriti dello Sionismo. Le sue ragioni erano più pratiche e immediate. Così come un numero crescente di egiziani, Sadat era consapevole che l’Egitto stava diventando una colonia russa. La presenza sovietica in Egitto era già più diffusa e più invadente di quanto lo era stata quella britannica.

 

L’iniziativa di Pace di Sadat 

Stimando la potenza dello stato di Israele e valutandone anche le intenzioni potenzialmente più negative, Sadat comprese che Israele era molto meno pericoloso dell’Unione Sovietica. Decise quindi per un’epocale iniziativa di pace.

Nonostante le numerose difficoltà, l’accordo di pace stipulato nel 1979 tra Egitto e Israele è durato fino ad oggi. Quest’accordo risulta forse a volte indifferente e gelido, ma fu mantenuto in essere per il vantaggio di entrambe le parti. L’accordo fu perfino esteso con la firma del trattato di pace tra Israele e la Giordania nel 1994 e con l’avvio di dialoghi informali tra Israele e alcuni governi arabi.

In Iran l’assassino di Sadat è considerato un eroe dell’Islam, a lui è stata intitolata una strada. Oggi in numerosi paesi arabi e in vasti circoli arabi vi è un crescente sentore che vi sia un pericolo più funesto e minaccioso di Israele, cioè la minaccia di un Islam sciita, radicale e militante proveniente dall’Iran.

 

Doppia minaccia 

L’Iran, un paese non arabo con una lunga e antica tradizione imperialista, cerca di estendere il suo potere sui territori arabi fino al Mediterraneo, nel tentativo di accrescere e investire di potere la popolazione sciita in Iraq, in Arabia Saudita, nel Golfo e in altri paesi arabi soggetti da tempo alla dominazione sunnita. I tentacoli dell’Iran si stanno dirigendo a ovest verso l’Iraq, più a nord verso la Siria e il Libano e a sud verso i territori palestinesi nella Striscia di Gaza.

La doppia minaccia di un impero Iraniano e di una rivoluzione sciita è vista da molti Arabi, e in particolare dai loro rappresentanti politici, come un pericolo assai più grande di quello che Israele possa mai rappresentare, una minaccia diretta alla propria società e alla propria identità (e sopravvivenza). Alcuni leader arabi stanno reagendo nello stesso modo con cui Sadat reagì alla minaccia sovietica, rivolgendosi a Israele per una possibile risoluzione.

Durante la guerra in Libano nel 2006 tra Israele e i miliziani sciiti Hezbollah sostenuti dall’Iran, il tipico supporto dei paesi arabi per i fratelli musulmani fu palesemente assente. Era chiaro che alcuni governi arabi, insieme ai loro cittadini, speravano in una vittoria israeliana, che purtroppo non si materializzò. Il loro disappunto fu tangibile.

 

Arabi e Hamas

Osserviamo simili ambiguità nella situazione a Gaza. Da un lato la lealtà panaraba richiede il sostegno a Gaza, sotto qualsiasi tipo di governo arabo, contro gli invasori israeliani. D’altro lato molti vedono l’enclave di Gaza governata da Hamas, gruppo sunnita ma sempre più controllato dall’Iran, come una minaccia mortale per gli Arabi sunniti di tutto il mondo.

In questa situazione non è impossibile che emerga qualche tipo di consenso per il mantenimento dello status quo, come l'accordo di pace di Sadat. Una pace di questo tipo, come quella tra Egitto e Israele, sarebbe tesa e spesso minacciata da forze radicali da entrambe le parti, ma sarebbe certamente meglio di una guerra, e potrebbe durare a lungo.

 

Segni di democrazia

La seconda speranza di cambiamento risiede nello sviluppo di una vera democrazia nel mondo arabo. Anche se improbabile al momento, vi sono segnali che fanno sperare per il futuro.

Alcuni Arabi si sono pronunciati a favore di Israele accogliendolo come un pioniere di valori democratici nella regione, un modello che potrebbe aiutare altri a sviluppare proprie istituzioni democratiche. Alcuni hanno portato l’attenzione sul fatto che quella che un tempo era la minoranza araba discriminata, oggi nello stato di Israele gode di una maggiore libertà di protesta e dissenso di qualunque altro gruppo in qualsiasi paese arabo. Un efficace esempio è l’odierna ondata di proteste tra gli Arabi israeliani contro l’azione israeliana nella Striscia di Gaza; aperta, diretta e impunita. Questo non deve passare inosservato.

Esprimere un’opinione favorevole nei confronti di Israele in qualsiasi paese arabo è inviso, persino pericoloso e a volte fatale. Ma vi sono chiari indicatori che queste posizioni esistono e alcuni hanno deciso di rischiare, pur di esprimere queste idee. Se esempi come questi aumentassero e portassero verso l’accettazione e la cooperazione fra queste due parti, il Medio Oriente potrebbe nuovamente recuperare il ruolo, avuto sia nell’antichità che nel Medioevo, di grande centro di civiltà.

 

Forze esterne

In passato qualsiasi valutazione sulle prospettive di pace nella regione avrebbe assegnato un ruolo maggiore e forse decisivo alle forze esterne. Oggi non è più così. Gli Stati Uniti, non dovendo più dimostrare la propria supremazia e largamente riforniti di petrolio a basso costo, non sentono più il bisogno di essere coinvolti nelle confuse dinamiche politiche della regione. La Russia, non temendo più una marginalizzazione, ha riacquistato un suo ruolo nel Medio Oriente, seppur minimo, ed è seriamente impegnata a risolvere problemi interni con l’Islam in patria.

Tempo addietro si sarebbe attribuito un ruolo maggiore all’Europa, ma al giorno d’oggi quello che conta non è tanto il ruolo dell’Europa nel Medio Oriente, quanto il ruolo del Medio Oriente in Europa. Un brillante intellettuale siriano ha recentemente sottolineato che la domanda a cui deve rispondere l’Europa nel prossimo futuro è: “arriveremo a un Europa islamizzata o a un Islam europeizzato?”

La possibilità che non vi sia una pace esiste, in questo caso l’esito più probabile per la regione è un’escalation di disordini e la distruzione reciproca, che forse coinvolgerà nel prossimo futuro anche un'Europa islamizzata, lasciando così all’Asia e all’America la lotta o la condivisione del mondo futuro. 

 

 

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