Terrorismo e legalità
di Daniel Taub

21/05/2009

dall’International Herald Tribune   10 maggio 2009   Poco tempo fa ho incontrato un gruppo di giuristi impegnati nell’analisi delle operazioni militari israeliane a Gaza. Dopo aver ascoltato le loro preoccupazioni e critiche ho posto questa domanda: “se prendiamo in esame i lanci di razzi da parte di gruppi terroristici su Israele da Gaza, come ipotizziamo  una risposta legittima nel pieno rispetto delle leggi?” la risposta fu un silenzio imbarazzato.   È preoccupante constatare che la legge non fornisce nessun consiglio pratico ad uno stato sotto attacco terroristico. L’unica cosa che può fare è tollerare e sorridere a denti stretti. John Dugard, il special reporter dei diritti umani nei territori palestinesi alle Nazioni Unite, ha redatto otto relazioni sulle azioni israeliane in risposta al terrorismo e non ha mai trovato tra le misure adottate dagli Israeliani neanche una che fosse proporzionata e legittima. Il suo successore, Richard Falk, ha di recente redatto un resoconto in cui afferma che, viste le condizioni in cui si trova Gaza, qualsiasi risposta militare israeliana sarebbe illegale per qualche verso. In base all’interpretazione della legge internazionale data da Falk, Israele non ha alcun diritto di difendersi.   Contrariamente alla posizione di questi “esperti”, la legge internazionale non è un patto suicida. Nonostante le sue numerose limitazioni, fornisce una guida pratica agli stati che desiderano rispondere efficacemente e responsabilmente alle azioni che minacciano la vita dei propri cittadini. La legge internazionale non esige che uno stato si astenga dal colpire un target militare legittimo solamente perché  è collocato nel cuore di un’area popolata da civili. Richiedere una cosa del genere incoraggerebbe soltanto le organizzazioni terroristiche ad operare dagli asili e dagli ospedali. La legge internazionale esige che una forza militare determini le proprie azioni, valutando la proporzione fra il vantaggio militare ottenibile e il  probabile danno causato ai civili. A maggior ragione in un caso come quello di Gaza in cui Hamas, in piena violazione del principio umanitario di  distinguere fra militari e civili, dissemina le aree civili di trappole esplosive, e nasconde missili, fabbriche di munizioni e quartier generali in ospedali, scuole e moschee.   Quando i gruppi terroristici hanno deciso di trasformare aree densamente popolate nel loro campo di battaglia, l’esercito israeliano ha compiuto notevoli sforzi per agire nel rispetto dei principi della legge internazionale. Questi sforzi hanno incluso la distribuzione di migliaia di volantini e decine di migliaia  di telefonate per avvertire i civili degli attacchi imminenti, l’iniziare l’attacco con armi non letali onde permettere ai non combattenti di allontanarsi dal campo di battaglia. Ma quando, grazie al cinico calcolo di Hamas, i mezzi di comunicazione vengono usati per radunare donne e bambini sui tetti dei quartieri generali e delle fabbriche di munizioni, il dilemma si fa più complesso. In numerose occasioni l’esercito israeliano ha interrotto attacchi già programmati contro i terroristi perché non rispondevano più all’equazione di  proporzionalità.   Ci sono sicuramente lezioni da imparare dopo eventi di questo tipo. Infatti Israele ha iniziato una serie di analisi dei vari aspetti delle operazioni. Queste valutazioni devono essere, però, fatte in tempo reale e non a posteriori, e non da spassionati osservatori, ma da comandanti sul campo. Nella valutazione della liceità dei  bombardamenti NATO in Yugoslavia venne detto: “è improbabile che un avvocato che si occupa di diritti umani e un comandante esperto assegnino la stessa importanza al vantaggio militare e alle lesioni ai civili … a determinare l’importanza relativa deve essere un comandante militare ragionevole’’. È preoccupante osservare la discrepanza tra la cieca condanna da parte degli esperti e le dichiarazioni di coloro i quali hanno una reale esperienza di combattimento. Il colonnello Richard Kemp, ex ufficiale del contingente britannico in Afghanistan, fu intervistato durante le operazioni a Gaza e diede il suo giudizio sulle azioni israeliane: “non penso che ci sia mai stato nella storia della guerra uno sforzo maggiore di quello che sta facendo l’esercito israeliano a Gaza per limitare le vittime civili e la morte di innocenti”.   In netto contrasto con l’equilibrio funambolesco e persino doloroso che la legge internazionale richiede ai soldati e ai consulenti legali durante l’azione, un coro di esperti legali rimane riluttante a comprendere la difficile complessità di un conflitto come quello di Gaza. Questi esperti sono inclini a mantenere un ideale di legge internazionale teorico, ma nella pratica offrono un modello legale semplicistico e inapplicabile,  che irragionevolmente postula che più le azioni dei terroristi sono irresponsabili, illegali e moralmente riprovevoli, minori sono le possibilità di risposta da parte di uno stato. 

Tradotto e curato da Emanuela Borgnino

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