L'esito delle elezioni
in Libano

10/06/2009

9 giugno 2009   Contro ogni pronostico alle elezioni libanesi dello scorso 7 giugno la Coalizione 14 marzo, filoccidentale, ha vinto sul suo avversario, la Coalizione 8 marzo guidata da Hezbollah, conquistando così 71 seggi contro i 57 degli avversari. Il livello di allerta democratica resta comunque alto. La battaglia elettorale non ha coinvolto esclusivamente le forze libanesi, ma anche numerosi attori esterni che hanno in qualche modo cercato di condizionare l’esito elettorale – ovvero Stati Uniti, Israele, Francia, Arabia Saudita, Egitto, Siria ed Iran. Il quadro della politica libanese è piuttosto complesso ed è strettamente legato alla storia del paese.   Le origini    Nel 1916 la Francia e la Gran Bretagna firmarono l’accordo Sykes-Picot, che di fatto concedeva a Parigi il mandato su quella regione compresa fra i monti Taurus a nord, la costa Mediterranea ad ovest, le alture del Golan a sud e il deserto Siro-Arabo – la cosiddetta Grande Siria - in seguito allo sgretolamento dell’Impero Ottomano.   Gli attuali Libano – già stato indipendente del mandato francese - e Siria nacquero nel 1943 dalla dissoluzione del mandato francese. Damasco non abbandonò mai l’idea della Grande Siria e sin dall’inizio cercò di mettere le mani sul paese vicino, di vitale importanza per l’accesso al mare e il commercio.   Sul piano interno il Libano si presentò sin dall’inizio come un calderone in cui convivevano diverse fazioni religiosi ed etniche. I Francesi puntarono a sviluppare come elite politica e culturale la popolazione cristiana maronita concentrata sul Monte Libano, ma per controllare il paese era necessaria anche la collaborazione delle città sciite e sunnite della costa e della valle della Bekaa.  Senza un vero gruppo dominante capace di imporsi sugli altri, il Libano era destinato a precipitare verso la guerra civile – che scoppiò  nel 1975 e durò fino al 1990.   Il sistema elettorale   Il sistema elettorale del Libano rispecchia la composizione etno-religiosa del paese e per questo è estremamente frammentato. Il governo libanese non effettua un censimento della popolazione da oltre 70 anni – soprattutto perché i Cristiani Maroniti temono di perdere il proprio peso politico a causa dell’aumento della popolazione musulmana. Secondo un rapporto della CIA del 1986 il 41% della popolazione era sciita, il 27% sunnita, il16% maronita, il 7% druso, il 5% greco-ortodosso e il 3% greco cattolico. Ma le percentuali ufficiali libanesi differiscono di molto da questi dati.                                                                                                                                                    Secondo la costituzione libanese attuale – elaborata tenendo conto della situazione degli anni ’30 - i principali portatori di diritti  politici in Libano non sono i singoli individui, ma le comunità etniche: i Musulmani Sunniti, gli Sciiti, i Drusi e i Cristiani. Attualmente ogni cittadino elegge un rappresentante della propria comunità etnica, identificata in base alla zona di residenza. E non solo, ogni elettore per votare deve ritornare nella propria città d’origine. Ogni comunità ha  diritto a un certo numero di seggi pre-assegnati prima delle elezioni. Per ovviare a questo limite le comunità hanno iniziato a uscire dagli schemi e a formare coalizioni: le più importanti sono la Coalizione 14 Marzo e la Coalizione 8 Marzo.   La prima  prende il nome dal raduno organizzato il 14 marzo per protestare contro l’omicidio di Rafiq al-Hariri, ed è costituita dal Movimento per il Futuro di Saad al-Hariri (sunnita), figlio di Rafiq, dal Partito Socialista e Progressista di Walid Jumblatt (druso), dalle Forze Libanesi di Samir Geagea (cristiano maronita) e dal Partito Falangista di Amin Gemayel (cristiano maronita).   La seconda prende il nome dal raduno organizzato in favore della Siria dopo l’assassinio di al-Hariri, ed è formata da Hezbollah (sciita), dal movimento Amal Nabih Berri (sciita), dal Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun (cristiano maronita) e dal Movimento Marada di Suleiman Franjieh (Cristiano Maronita).   Gli schieramenti sono piuttosto fragili, dato che subiscono numerose pressioni dall’esterno. Ad esempio Saad al-Hariri e Fouad Siniora, che si battono contro l’ingerenza siriana in Libano, sono strettamente legati alla famiglia saudita, mentre Hezbollah, di fatto una cellula dell’Iran sul suolo libanese, mantiene numerosi legami con la Siria.   Un campo di battaglia   Di certo il Libano continuerà ad essere vittima di continue ingerenze da parte delle forze che maggiormente intendono mettervi le mani sopra, ovvero l’Iran e la Siria.   Nonostante il ritiro delle truppe siriane il 14 febbraio 2005 dopo l’omicidio di al-Hariri, la Siria ha mantenuto in Libano un efficiente sistema di intelligence capace di condizionare gli equilibri interni. Il presidente siriano Bashar al-Assad vuole servirsi dei negoziati di pace con Israele – attualmente condotti tramite la Turchia – per ottenere dall’Occidente il riconoscimento dell’egemonia siriana sul Libano. La Siria continua inoltre a servirsi di Hezbollah per promuovere i propri interessi, anche se i rapporti si sono incrinati negli ultimi due anni – specialmente dopo l’omicidio del comandante di Hezbollah Imad Mughhiyah su suolo siriano nel 2008. Ma sono specialmente gli Iraniani a mantenere salda la presa sul movimento sciita libanese. Teheran si serve di Hezbollah per incrementare i legami fra la Repubblica Islamica e gli Arabi, ma la ferma condanna dell’Egitto in seguito alla recente scoperta di una cellula terroristica nel Sinai ha momentaneamente frenato questo piano: infatti in seguito a questi eventi la popolarità dello sceicco Hassan Nasrallah è andata diminuendo fra gli Arabi sunniti. Secondo fonti ufficiali l’Iran avrebbe quindi deciso di ristrutturare la struttura di comando di Hezbollah per ricucire i rapporti con la popolazione sunnita.   Gli Iraniani inoltre hanno intensificato il controllo sulle operazioni militari di Hezbollah: gli emissari della Repubblica Islamica dirigono ormai le operazioni delle milizie sciite direttamente dall’ambasciata iraniana di Bir Hassan, nella parte meridionale di Beirut. Così facendo Teheran riesce a manovrare qualsiasi azione contro Israele.   Conclusioni    Di fatto la situazione differisce di poco da quella precedente, dato che nel parlamento uscente la Coalizione 14 Marzo deteneva 70 seggi contro i 58 della Coalizione 8 Marzo. Il vero nodo della questione riguarda il potere di veto di Hezbollah nel gabinetto libanese, concesso al movimento sciita nel maggio del 2008 con l’Accordo di Doha – dopo che le milizie di Hezbollah avevano messo a ferro e fuoco Beirut per contrastare le decisioni del governo. Tecnicamente l’accordo dovrebbe essere ancora valido, ma il nuovo governo potrebbe rifiutarsi di attuarlo con il nuovo mandato. Senza questo pesante limite l’esecutivo potrebbe decidere di smantellare le milizie di Hezbollah sradicando così il suo potere.   Ma gli oppositori del movimento sciita sanno che una decisione di questo tipo potrebbe mettere a repentaglio la stabilità del paese e che l’esercito nazionale libanese non ha la forza per tener testa alle milizie di Hezbollah. Le sorti della democrazia libanese rimangono quindi ancora piuttosto incerte.   Davide Meinero    

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