Ucraina, Moldavia e Georgia sono paesi un tempo sovietici che stanno ora cercando di avvicinarsi all’Occidente. Come la Moldavia, la Georgia ha intenzione di firmare entro giugno gli accordi di libero scambio e l’accordo di associazione con l’Unione Europea (il primo passo per entrare a farne parte). Il governo georgiano si è spinto oltre, proponendo anche l’adesione del paese alla NATO.
La Russia ha adottato le stesse tattiche di pressione contro i governi di Ucraina e Moldavia: ha organizzato manifestazioni anti-occidentali e filo-russe, utilizzando le minoranze locali di lingue russa. In marzo e aprile ci sono state manifestazioni a Chisinau, capitale della Moldavia, e scontri e occupazione di edifici pubblici nell’Ucraina orientale, dove si è giunti all’occupazione armata di edifici governativi, e alla richiesta di trasformare l’Ucraina uno stato federale, per permettere alle regioni dell’Est di diventare stati autonomi (vedasi mappa a lato). La Crimea già si è proclamata indipendente, chiedendo l’annessione alla Russia.
A marzo ci sono state manifestazioni filorusse anche in Georgia, ma hanno avuto una scarsa partecipazione. Nel paese la popolazione di etnia russa si attesta infatti intorno al 5%, mentre in Ucraina supera il 17%. La politica estera georgiana è dunque meno complessa di quella ucraina, ma il paese non è certo esente dalle ingerenze della Russia, che sostiene gruppi di oppositori al governo, anche se non sono filorussi. Inoltre Mosca ha appena svolto delle esercitazioni militari nei territori separatisti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, dove sono stanziate truppe russe.
La Russia si impone, forte della disunione dei paesi dell’Unione Europea, della loro dipendenza dal gas russo, della crisi dell’Eurozona e dell’attuale politica americana di disimpegno.
Ma questa non è l’intera realtà, né l’intera storia. Scrive Keith Darden su Foreign Affairs:
“Non prendere in considerazione i demoni interni dell’Ucraina riflette una lettura errata e pericolosa degli eventi; la lotta fra l’Occidente e la Russia è il catalizzatore, non la causa. I protagonisti del conflitto sono le regioni ucraine. Il processo di associazione all’Unione Europea, soprattutto le proteste, le repressioni, la rivoluzione che ne sono conseguite, hanno riattivato una divisione interna profonda e di lunga data. Se Kiev non le affronta e non istituisce un governo che abbia più legittimità e sia più decentrato, l’Ucraina si lacererà, non vincerà né l’Occidente né la Russia.
(….) Si tratta di un problema interno ucraino, e la soluzione deve venire dall’Ucraina. Forse il paese non riuscirà a superare divisioni vecchie di secoli, ma può creare istituzioni per poterle gestire.
In un certo senso, è vero che è una battaglia fra Oriente e Occidente, ma l’Oriente è Donetsk, l’Occidente è Lviv. Con l’Occidente sono le quattro province che fino al 1918 facevano parte dell’Impero Asburgico, poi annesse all’Unione Sovietica. Da cento anni sono una fucina di sentimenti anti-russi, pro-Europa. Gli Asburgo, che avevano paura sia del nazionalismo polacco sia dell’espansionismo russo, promossero e alimentarono un nazionalismo estremo attraverso la scuola, le associazioni, le organizzazioni paramilitari e gli scout. Convinsero i contadini locali, che si erano sempre identificati come Ruski o Rusyn, che facevano parte di una grande nazione ucraina che si estendeva dai Carpazi alle rive del Don, tradizionalmente oppressa dai Russi e dai Polacchi. Chi era il loro alleato contro l’oppressione? L’Europa, più specificamente la Vienna asburgica.
L’impronta di questo nazionalismo nelle comunità dell’Ucraina occidentale è estremamente resistente. Nel periodo fra le due Guerre si ribellarono costantemente al governo polacco. Nazionalisti ucraini costituirono organizzazioni segrete che davano alle fiamme le proprietà polacche, e che giunsero ad assassinare il ministro degli interni polacco”.
Queste regioni furono poi implacabilmente ostili al potere sovietico, ribellandosi su vasta scala. Arrivarono ad avere 100 000 uomini in armi, che combatterono i Sovietici fino agli anni ’50. Poi alimentarono schiere di dissidenti e di esuli anti-sovietici in Occidente. Furono le prime comunità a ribellarsi di nuovo al dominio sovietico negli anni ’80, e a marzo 1991 votarono per la secessione dall’Unione Sovietica: le uniche regioni dell’Ucraina a volere la secessione. Da allora sono il bastione dei partiti nazionalisti. Queste comunità costituiscono soltanto il 12% della popolazione dell’Ucraina, ma hanno una grande influenza politica per la loro foga e determinazione.
Sono invece schierate con la Russia le regioni del sud e dell’est dell’Ucraina, storicamente note con il nome di ‘Nuova Russia’. Si tratta delle regioni annesse all’Impero Zarista, dopo il crollo del Kanato dei Tatari, che era parte dell’Impero Ottomano, a fine 1700. Si trattava allora di terre scarsamente abitate, che vennero popolate da schiere di immigrati. L’odierna città pro-russa di Donetsk fu fondata nel 1869 dall’imprenditore gallese John Hughes come base della New Russia Company, che sviluppò l’industria mineraria e le ferriere. Accorsero immigrati di varia origine e provenienza alla ricerca di terra, mobilità sociale e possibilità di educazione. A scuola impararono il russo e presero a identificarsi in massima parte come comunità russe. L’appartenenza all’Ucraina non era considerata in contrasto con l’identità culturale russa. Anzi, in queste regioni si formarono molti dei leader sovietici: Nikita Khrushchev a Donetsk, Leonid Brezhnev a Dnipropetrovsk .
Anche le regioni ucraine che fecero parte della ‘Nuova Russia’ portano ancora l’impronta della loro storia. Gli abitanti hanno passaporti ucraini, ma in grande maggioranza parlano russo e sono filo-russi, votano per partiti filo-russi. Hanno circa la metà della popolazione ucraina, sono le regioni di gran lunga più ricche, e hanno espresso la leadership del paese anche dopo il 1990. Il deposto presidente Viktor Yanukovych è di Donetsk; l’ex presidente Leonid Kuchma è di Dnipropetrovsk.
Non c’è da stupirsi se l’Ucraina si divide lungo linee regionali di fronte a radicali scelte di campo: le regioni occidentali vogliono la protezione NATO per timore della Russia, quelle orientali vogliono la protezione russa contro la NATO, perché è dell’Occidente che hanno paura. L’interferenza russa c’è, ma non è la causa che determina l’opposizione delle regioni orientali all’integrazione in Europa e nella NATO.
Nel nuovo governo ucraino il 60% dei ministri e dei capi politici viene dalle regioni occidentali, ex asburgiche (che rappresentano il 12 % della popolazione). Il 30% viene proprio da Lviv. Nel precedente governo Yanukovych il 75% dei ministri e dei capi politici veniva dalle regioni filo-russe orientali. Il 42 % veniva da Donetsk. A turno le regioni sottorappresentate si ribellano. È una situazione che non può reggere.
La maggior parte degli Ucraini vogliono mantenere il paese unito. È un bene perché, nonostante le differenze profonde, in ogni regione ci sono minoranze corpose di diverso orientamento. La divisione del paese sarebbe difficile e comporterebbe difficoltà e grossi pericoli per queste corpose minoranze dall’una e dall’altra parte. Ma occorre una revisione costituzionale che permetta di articolare il potere politico e amministrativo in modo decentrato e allargato. Che si chiami decentralizzazione o federazione o regionalizzazione, poco importa. Occorre che la scuola, la tassazione, l’amministrazione della giustizia siano gestite localmente. Occorre che la politica del governo centrale sia nelle mani di rappresentanti della popolazione di tutte le regioni.
I Russi chiedono un’Ucraina di regioni confederate, che sarebbe la premessa per la dissoluzione dell’Ucraina. Pretendono troppo. Ma è possibile trovare una formula costituzionale e operativa che permetta di mantenere l’unità dell’Ucraina garantendo la piena rappresentanze e la pacifica collaborazione fra le regioni. Dipende dalla buona volontà dei cittadini dell’Ucraina, e dalle spinte politiche esterne, sia da parte della Russia, sia da parte dell’Unione Europea.
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