In tutta la sua lunga e gloriosa storia la Cina ha sempre avuto lo sguardo rivolto verso l’interno piuttosto che verso il mare. La geografia ne spiega la ragione: avendo un vasto e fertile territorio pianeggiante circondato a nord e a ovest dai deserti, a sud dalle montagne e a est dal mare, i cinesi non hanno quasi mai avuto bisogno di spingersi al di là del proprio territorio.
Soltanto in periodi di lunga pace e stabilità Pechino si dedicò all’esplorazione dei territori più lontani – come testimoniano i viaggi di Zheng He, giunto fino all’Africa nel 1400. Ma tendenzialmente preferì concentrarsi all’interno, circondandosi di stati cuscinetto per proteggersi dagli invasori provenienti dai deserti e dalle steppe, e mantenere aperta soltanto una grande arteria commerciale con l’esterno, la Via della Seta, più per iniziativa dei mercanti d’Occidente che per decisione politica.
Negli ultimi 30 anni la situazione è cambiata. La rapida crescita industriale e l’aumento esponenziale dell’export hanno radicalmente cambiato la mentalità e le necessità del paese. Ora la Cina ha un interesse vitale a controllare le rotte strategiche lungo le quali riceve le risorse per alimentare la crescita, e invia i manufatti all’estero. La mappa a lato mostra l’importanza delle rotte che attraversano il Mar Cinese Meridionale, che portano oggi la maggior parte dei commerci globali, avendo superato in importanza anche le rotte atlantiche.
Lo sviluppo cinese rappresenta allo stesso tempo un’opportunità e un pericolo per i paesi della regione, in primis i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN). La crescita dei commerci, soprattutto l’apertura dell’enorme mercato cinese ai prodotti esteri, non può che avere un impatto positivo sull’economia dei paesi della regione, ma la dimensione dell’economia cinese rischia di relegare gli altri paesi a una posizione subalterna. Questa situazione rischia di generare frizioni nel lungo periodo, anche se la Cina non sembra avere ambizioni “imperiali”, al contrario è interessata a una maggiore cooperazione con i vicini per mantenere il controllo nel Mar Cinese Meridionale – proprio come accadeva nei secoli passati.
Negli ultimi anni Pechino ha condotto una politica estera più attiva, promuovendo accordi di libero scambio con altri paesi asiatici – non soltanto con Taiwan e i paesi dell’ASEAN, ma anche con il Giappone e la Corea del Sud – per aumentare la propria influenza economica in un’area più grande e avere accesso alle risorse energetiche della regione, che pullula di giacimenti sottomarini di gas e petrolio (vedi mappa a lato), infine per contrastare l’accordo promosso dagli USA, la Trans-Pacific Partnership, che rischia di offuscare il ruolo cinese nei commerci regionali.
Più scambi con la Corea del Sud
L’accordo di libero scambio fra Seoul e Pechino, siglato il 10 novembre 2014, prevede la riduzione o abolizione dei dazi per il 90% dei prodotti oggetto del commercio fra i due paesi. Dovrebbe portare benefici soprattutto ai produttori coreani di elettronica e di alte tecnologie innovative.
Dalla fine della guerra di Corea (1953) Seoul ha puntato su accordi commerciali multilaterali per promuovere la rapida industrializzazione della propria economia e i mercati esteri per le proprie merci. Pur priva di risorse naturali, la Corea del Sud ha così raggiunto il 12° posto nella scala delle economie mondiali. Lo sviluppo coreano si è basato sulla sinergia fra i Chaebol, enormi conglomerati industriali a proprietà familiare, e il governo, che ha perseguito con grande determinazione le politiche per aumentare le esportazioni e integrare la Corea del Sud nel mercato internazionale.
Ma l’attuale crisi economica globale ha creato problemi all’economia coreana, basata sulle esportazioni. La domanda di prodotti industriali in Europa impiegherà anni a tornare ai livelli pre-crisi. L’accordo di libero scambio con la Cina non aiuterà molto l’export coreano di prodotti industriali non innovativi, perché la Cina è oggi in grado di fabbricarli in patria, a basso costo.
In Corea i consumi e gli investimenti interni restano bassi, il mercato immobiliare è in crisi e l’invecchiamento demografico rischia di rendere la situazione ancora più problematica – le previsioni indicano un calo della popolazione lavorativa a partire dal 2017. Perciò per uscire dalla crisi Seoul dovrà ristrutturare la propria economia puntando sulla crescita dei servizi, come finanza e distribuzione, sulle infrastrutture di trasporto e sullo sviluppo di piccole e medie imprese, sia per aumentare la produttività, sia per far crescere la domanda interna.
I rapporti con le Filippine
Le Filippine sono in una posizione strategica nell’Oceano Pacifico, e la Cina non può permettersi di inimicarsele. Peraltro Manila è un alleato strategico degli USA nonché una pedina nella strategia di contenimento della Cina nella regione , soprattutto perché - come il Vietnam - ha interesse a sfruttare i giacimenti energetici nel Mar Cinese Meridionale. Non sono perciò rare le dispute con Pechino per il controllo di isolotti che hanno posizione strategica.
Manila però ha anche interesse ad aumentare la cooperazione con Pechino per dare maggiore impulso alla propria economia, dato che nel 2013 ha ricevuto appena l’1,4% del totale degli investimenti cinesi nei paesi ASEAN, nonostante sia il terzo partner commerciale della Cina, con un volume di scambi commerciali di $15,1 miliardi nel 2013.
I rapporti con il Vietnam
Anche il Vietnam ha costantemente dispute con la Cina per il controllo di alcune isole nel Mar Cinese Meridionale, come le isole Paracels – attualmente sotto amministrazione cinese. Ma Hanoi non può permettersi di fare la voce troppo grossa con Pechino, suo primo partner commerciale dal 2004. Il Vietnam importa infatti dalla Cina tessuti, materie prime e prodotti fondamentali per il funzionamento della sua economia, che si basa soprattutto sulle esportazioni. Gli investimenti cinesi in Vietnam sono modesti – pari al 3-4% del totale degli investimenti esteri in Vietnam– ma in costante aumento.
Attualmente gli investimenti esteri generano il 60% delle esportazioni nonché il 40% della produzione industriale del Vietnam. Il Vietnam ha cercato di svincolarsi dalla dipendenza cinese dei decenni 60-80, cercando partnership con Russia, Giappone, India e Stati Uniti. Ma Hanoi è consapevole che ogni tentativo di crearsi nuovi alleati rischia di scatenare una reazione cinese, perché è successo spesso negli ultimi mille anni. Quindi non può che scendere a patti con Pechino.
A cura di Davide Meinero
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati