Le milizie del Sinai e il dilemma di Israele

12/04/2013

Dal 1948 il Sinai è stato ora campo di battaglia ora zona cuscinetto tra Egitto e Israele. Dopo la sconfitta egiziana nella Guerra dei Sei Giorni Israele occupò la penisola fino al trattato di pace del 1979, quando Israele lo riconsegnò all’Egitto, ma con un accordo che limita la presenza militare egiziana sul terreno.

Ciò che più colpisce del Sinai è il suo isolamento fisico dalle terre vicine. Nel corso della storia la penisola è stato il ponte commerciale tra Asia e Africa e la sua importanza strategica si è mantenuta nell’età moderna grazie al commercio marittimo che transita nel Canale di Suez. Nonostante il suo valore strategico come ponte tra i continenti, il terreno aspro e la mancanza di risorse naturali fanno del Sinai una terra quasi spopolata ed economicamente sottosviluppata. La parte settentrionale del Sinai è tutta spiagge e dune di sabbia e il terreno è piatto e uniforme, con qualche isolata collina. La regione centrale è costituita dal semi-desertico altopiano di El Tih, a sud si trovano alture di rocce vulcaniche e granitiche. La popolazione del Sinai vive nella fascia settentrionale della penisola, lungo il Canale di Suez e nella punta meridionale, che comprende la nota meta turistica di Sharm el-Sheikh.

Data la vicinanza con Gaza, nel Sinai operano gruppi associati ad Hamas, implicati in traffici clandestini di beni, armi ed esplosivi che raggiungono Gaza attraverso una vasta rete di tunnel sotterranei. La vicinanza a Israele ha portato nel Sinai anche organizzazioni terroristiche transnazionali come al Qaeda e vari gruppi jihadisti salafiti. Ma Hamas non permette ai gruppi concorrenti di compiere attività jihadiste a Gaza, perciò i gruppi transnazionali usano altri punti lungo il confine del Sinai per lanciare attacchi contro Israele. Per frenare l’attività jihadista nel Sinai il governo egiziano guidato dai Fratelli Musulmani ha avviato un dialogo con le organizzazioni salafite nella regione. Il Cairo spera di non dover usare la mano pesante contro le milizie anti-israeliane del Sinai, per evitare dure proteste dal mondo islamico, inclusi i propri cittadini.

Nella regione del Canale di Suez sono presenti anche militanti di gruppi jihadisti che hanno base nell’entroterra egiziano. Il loro obbiettivo primario è il governo centrale del Cairo, piuttosto che Israele. Altrove nel Sinai varie milizie beduine sono implicate in rapimenti a scopo di estorsione, contrabbando e altre attività illecite. Le organizzazioni tribali locali conoscono bene il territorio e spesso sono artefici e gestori dei tunnel per le operazioni di contrabbando. Le fazioni beduine sono state a lungo trascurate dal governo egiziano. Queste fazioni sono utili strumenti per chi voglia minare le relazioni israelo-egiziane lanciando attacchi nella penisola del Sinai. Dato che la maggior parte della popolazione beduina è disoccupata, è spesso pronta a lavorare per il miglior offerente: sia per gli agenti di sicurezza che richiedono loro di controllare una certa area, sia per organizzazioni terroristiche che vogliano trasportare armi o attaccare obiettivi israeliani. Per mantenere occupati i beduini del Sinai il governo egiziano ha costruito case e promosso investimenti economici nell’area.

Secondo gli accordi di Camp David l’Egitto non può dispiegare forze militari nelle aree vicine alla frontiera con Israele, ma a volte Israele accetta che l’Egitto mandi l’esercito contro i gruppi terroristici anche nelle zone off limits. È successo anche nel 2012, per brevi periodi di tempo. Ma permettere una presenza costante dell’esercito egiziano in prossimità del confine è cosa che Israele ritiene troppo pericolosa, dato l’attuale clima politico del Medioriente. Né Israele potrebbe agire direttamente nel Sinai egiziano con le proprie truppe senza scatenare l’ira degli Egiziani e di tutti gli Arabi. Larga parte del Sinai rimane perciò ‘terra di nessuno’ dal punto di vista della sicurezza, situazione che rende nervoso Israele, ma anche l’Egitto. 

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