Cina:
crescono le tensioni a sfondo etnico

15/07/2013

A giugno 2013 ci sono stati scontri, anche a fuoco, fra la polizia e gruppi di nello Xinjiang. Nella maggioranza dei casi la popolazione ha attaccato la polizia locale e le forze di sicurezza. Il 26 giugno la polizia ha aperto il fuoco contro una “folla armata di coltelli”, come l’hanno definita i media, uccidendo 35 persone; i manifestanti avevano attaccato stazioni di polizia e altri edifici a Lukqun, nella prefettura di Turpan, nel nord-est dello Xinjiang. Due giorni dopo, due persone di etnia uigura sono state uccise in uno scontro davanti a una moschea nella prefettura di Hotan, nel sud della regione. Il 29 giugno si sono verificati scontri nella stessa zona: i media ufficiali hanno riferito che più di 100 motociclisti hanno attaccato una stazione di polizia, mentre un altro gruppo cercava di provocare disordini nel mercato locale.

Le tensioni a sfondo etnico sono frequenti nello Xinjiang, dove le minoranze etniche e religiose subiscono il pugno di ferro di Pechino. Ultimamente Pechino ha adottato politiche più conciliatorie nei confronti delle minoranze, ma gli ultimi scontri nello Xinjiang potrebbero far tornare il governo centrale a una maggiore rigidità. Secondo le autorità cinesi, la rivolta nella prefettura di Turpan è stata premeditata da un gruppo di estremisti islamici addestrati dai ribelli siriani.                                        

Il governo centrale deve affrontare tensioni a sfondo etnico anche in altre regioni. In Tibet negli ultimi mesi sono continuate le proteste e le autoimmolazioni. Dopo le proteste del 2011, il clima è ancora teso tra i lavoratori mongoli e quelli han nelle regioni orientali.

Le proteste hanno cause e portata diversa a seconda delle regioni, e nessuna compromette seriamente il controllo del governo centrale sul paese. Nell’insieme, però, i recenti scontri evidenziano difficoltà crescenti nelle regioni abitate da etnie diverse.

La strategia di Pechino consiste soprattutto nel “diluire” le minoranze, incentivando il trasferimento di popolazione han (cinese) nelle regioni periferiche, per controbilanciare le altre etnie. Ai colonizzatori han sono dati incentivi economici e posizioni di potere nel sistema politico ed economico locale. Nella Mongolia Interna, ad esempio, dopo decenni di tale politica il 75% della popolazione è già han. Nello Xinjiang la popolazione di etnia han ha raggiunto quasi il 50%. L’afflusso di popolazione han ha inasprito le tensioni a sfondo etnico, a causa delle disparità di stato sociale e di condizione economica.

D’altra parte le minoranze etniche hanno alcuni privilegi: non sono stati obbligati a rispettare la politica del figlio unico, ad esempio. Ma le minoranze etniche si sentono escluse dalle posizioni decisionali e sfruttate dal punto di vista economico, e reagiscono con un diffuso antagonismo nei confronti dell’autorità centrale.

Il nuovo governo cinese sembra essere disposto a politiche conciliatorie. Dallo scorso giugno, ad esempio, venerare il Dalai Lama come leader religioso non è più proibito in alcune parti del Tibet. Pechino ha iniziato anche a permettere a concili di monaci buddisti anziani di gestire nei templi alcune questioni locali.

 

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