Eurozona o Ungheria:
quale modello vincerà?

16/04/2014

I paesi dell’Eurozona che hanno un alto debito pubblico – un tempo chiamati PIIGS dalle iniziali dei loro nomi, ora chiamati “la cintura delle olive” perché si tratta di paesi mediterranei − stanno affrontando le dolorose conseguenze sociali della contrazione delle loro economie e dei tagli al loro welfare. Debbono ridurre il proprio debito pubblico, non possono sforare i parametri di Maastricht, non possono stampare denaro per pagare i loro debiti, debbono avviarsi verso il fiscal compact.  

Si tratta di un percorso doloroso, ma virtuoso, che forse ci porterà a futuri decenni di solidità economica, finanziaria e sociale.

Nel frattempo però un paese europeo ha seguito una politica del tutto diversa: l’Ungheria. Entrata nell’Unione Europea nel 2004 e nello spazio di Schengen nel 2007, ma non nell’Eurozona, l’Ungheria ha ricevuto molti aiuti e molti investimenti dall’Europa per sviluppare la propria economia. Molte fabbriche sono state aperte grazie agli investimenti stranieri. Banche europee, soprattutto austriache e italiane, hanno aperto centinaia di sportelli e hanno concesso enormi quantità di mutui in euro o in franchi svizzeri, a basso tasso di interesse, con cui gli Ungheresi hanno avviato attività, ristrutturato il proprio patrimonio edilizio, acquistato case e altri beni. Ma a iniziare dalla crisi finanziaria del 2009 la valuta locale, il fiorino, si è andata svalutando di gran lena: già nel 2010 gli Ungheresi non riuscivano a pagare le rate dei mutui in euro o in franchi svizzeri, dato che la loro moneta si era svalutata. A partire dal 2011 il governo ungherese ha affrontato unilateralmente la situazione, penalizzando le banche europee creditrici: per legge i mutui in valute straniere si sarebbero ripagati in fiorini, sarebbero stati rinegoziati, restituiti soltanto in parte, forse mai più… Le banche che avevano concesso i mutui vennero viste da buona parte dell’opinione pubblica come nemiche e perfide, i debitori come povera gente ingannata da perfidi e ricchi stranieri. Le perdite per le banche, soprattutto per le nostre Unicredit e Intesa-San Paolo che in Ungheria avevano investito moltissimo, sono state e sono enormi. L’Europa non ha reagito: non ci sono state sanzioni per l’Ungheria, non sono stati imposti obblighi di bilancio, non c’è neppure stata discussione nell’opinione pubblica europea. I giornali popolari nei paesi dell’Eurozona non ne hanno quasi parlato. Gli elettori ungheresi hanno aumentato il consenso per i partiti nazionalisti che hanno sfidato l’Unione Europea. Non c’è stata nessuna ritorsione, nessun blocco dei finanziamenti regionali europei, nessuna iniziativa punitiva né da parte della Commissione Europea, né da parte dei singoli paesi dell’Unione.

Forse nei prossimi mesi o nei prossimi anni l’Ungheria pagherà le conseguenze di questi comportamenti: forse esporterà meno, forse riceverà meno aiuti, forse i titoli di stato ungheresi non verranno più comperati da nessuno, lo spread fra euro e fiorino diverrà insostenibile e l’Ungheria andrà a rotoli… Staremo a vedere. Stanno a vedere con molta attenzione gli eventi ungheresi tutti i partiti nazionalisti ed euroscettici all’opposizione nei paesi dell’Eurozona, che vogliono l’uscita dei loro paesi dall’euro. Per ora i frutti politici della sfida all’Europa sono positivi, perché i partiti nazionalisti hanno trionfato alle ultime elezioni ungheresi. Ma se l’Ungheria entrasse in una spirale economica e finanziaria negativa, il governo nazionalista potrebbe perdere il consenso popolare.

Per ora nella spirale negativa ci siamo noi, i paesi mediterranei dell’Eurozona. Che succederà in Ungheria? Se l’Ungheria se la caverà meglio di noi, sarà ben difficile evitare che l’eurozona si sfasci, e che anche l’integrazione europea arretri, e le politiche nazionaliste dilaghino.

 

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