Il terrorismo:
che cosa vuole, come evolve

30/11/2015

Il terrorismo è una tattica o uno strumento usato da gruppi militanti che mirano all’insurrezione o alla guerra contro lo stato, ma non hanno la forza politica e militare per realizzarla. Fu usato nella speranza di suscitare insurrezioni dagli Anarchici a cavallo fra 1800 e 1900, dalle Brigate Rosse negli anni ’70. Da al Qaeda è usato ancora oggi a questo scopo in Yemen. Fu usato dai Mujahideen-e-Khalq in Iran per far cadere lo Scià, ma il successo della loro tattica non portò al potere i Mujaheddin stessi, bensì permise la presa del potere da parte degli Ayatollah! 

Il terrorismo è anche sempre una forma di propaganda, la propaganda attraverso i fatti, che viene considerata più efficace di quella attraverso la sola parola.

Il terrorismo è anche uno strumento usato per rafforzare un’insurrezione o un attacco militare contro uno stato, per obbligare lo stato a dedicare grandi quantità di forze, tempo, attenzione alla protezione della popolazione, distogliendo così forze dalla guerra contro gli attaccanti. I Talebani afgani usano il terrorismo contro la popolazione a questo scopo.

Il terrorismo a volte è usato come strumento di vendetta nei confronti di un nemico più forte. Così lo usava Gheddafi contro l’Occidente. Umiliato e sconfitto negli scontri navali e aerei degli anni ’80, Gheddafi ricorse agli attacchi terroristici contro voli di linea di aerei americani in Europa (Lockerbie) e contro la discoteca di Berlino più frequentata da soldati americani in licenza.

Il terrorismo è usato per scoraggiare e allontanare dal territorio un invasore, o truppe internazionali di intermediazione e di pace. Così lo usarono i Viet-cong negli anni ’70, inducendo gli Americani al ritiro. Così lo usò Hezbollah negli anni ’80 per spingere al ritiro i soldati americani stanziati in Libano durante la guerra civile libanese. Dall’Afghanistan degli anni ’80 alla Nigeria di oggi, tutti i gruppi jihadisti hanno usato il terrorismo per obbligare al ritiro ora i Sovietici, ora gli Americani, ora le truppe di coalizioni internazionali che cercano di fermare o di impedire le guerre civili in Africa.

L’impatto psicologico del terrorismo sulle popolazioni è tale, che gli stati sono obbligati a reagire con grande uso di risorse, anche se nessuna serie di attacchi terroristici può far cadere uno stato di per sé. Ma gli stati che non riescono a proteggere le popolazioni dal terrorismo perdono la fiducia dei cittadini, e per questo possono crollare.

Se un gruppo terroristico avesse armi di distruzione di massa, costituirebbe un pericolo mortale per più di uno stato, ma sino a oggi questo non è avvenuto, ed è probabile che, se dovesse avvenire, la reazione degli stati porterebbe alla cancellazione del territorio e della popolazione da cui è provenuto l’attacco – perciò è difficile che qualcuno tenti.

Se un gruppo terroristico riesce a far scoppiare un’insurrezione o a conquistare territorio, continuare a definirlo ‘gruppo terrorista’ è pericoloso, perché con questo termine si sottovaluta la sua pericolosità. I jihadisti oggi non sono soltanto terroristi, sono ‘militanti’ di una insurrezione islamista che usa anche largamente il terrore, ma intende soprattutto costruire una forza armata per conquistare il potere statale in Somalia, Yemen, Mali, Syria, Iraq, Afghanistan – per ora. Abbiamo sottovalutato a lungo lo Stato Islamico definendolo ‘terrorista’. Quando i terroristi sono riusciti ad alimentare insurrezioni e guerre civili, sono nemici armati contro cui occorre una strategia di guerra, non di ordine e sicurezza.

I jihadisti oggi non sono soltanto terroristi, sono ‘militanti’ di una insurrezione islamista che usa anche largamente il terrore, ma intende soprattutto costruire una forza armata per conquistare il potere statale in Somalia, Yemen, Mali, Syria, Iraq, Afghanistan – per ora. Abbiamo sottovalutato a lungo lo Stato Islamico definendolo ‘terrorista’. Quando i terroristi sono riusciti ad alimentare insurrezioni e guerre civili, sono nemici armati contro cui occorre una strategia di guerra, non di ordine e sicurezza.

Possiamo prevedere e sventare gli attacchi terroristici? In parte sì, ma soltanto seguendo costantemente le evoluzioni di alcuni fattori che li influenzano.

Evoluzioni ideologiche variano la tipologia degli attacchi. Lo Stato Islamico fa attentati anche alle moschee, alQaeda no. Boko Haram (che oggi ha cambiato nome in Stato Islamico del Wilayat al Sudan al Gharbi), ha deciso che è lecito usare bambine e donne per attacchi suicidi, e ha usato più di cinquanta bambine per attacchi suicidi in Nigeria soltanto nel 2015.

Evoluzioni politiche variano gli obbiettivi degli attacchi. Fu la fatwa del 1996 di Osama Bin Laden contro gli Stati Uniti, colpevoli di aver truppe su suolo saudita, a scatenare gli attacchi a New York. Furono le diverse condizioni politiche originate dalle rivolte della ‘primavera araba’ del 2011 a scatenare gli attacchi terroristici in Libia, Egitto, Yemen, Siria.

Le operazioni di contro-terrorismo contribuiscono a variare gli obbiettivi degli attacchi. Il rafforzamento della sicurezza attorno alle Ambasciate, ad esempio, ha spostato gli attacchi sugli alberghi internazionali. I successi del controterrorismo nei confronti di gruppi organizzati ha anche portato allo sviluppo di piccole celle che improvvisano attacchi in proprio, senza coordinamento e senza controllo gerarchico.

La possibile eco degli attacchi sui media influenza la pianificazione degli attacchi. I terroristi sono sempre alla ricerca della maggiore spettacolarizzazione possibile, per suscitare la massima paura fra la maggior parte della popolazione. Gli organizzatori degli attacchi incaricano propri video operatori di filmare l’attacco, sia per rivendicarlo sia per far circolare i video in rete ed evitare che vengano censurati dalle televisioni e dalla polizia.

La tecnologia agevola anche i terroristi, fornendo non soltanto comunicazioni istantanee con le cellule di qualunque parte del mondo, ma anche immagini e informazioni sugli obbiettivi via internet, per cui non sono più necessari lungi e pericolosi appostamenti sul luogo dell’attacco.

Come difendersi dal terrorismo in Europa? Usando tutte le leve, soprattutto quella ideologica e quella politica: combattere l’ideologia affermata dai terroristi, impedire che in nome di quell’ideologia si costituiscano organizzazioni attive sul territorio. Se si formano, isolarle e sconfiggerle politicamente. Come abbiamo fatto con le Brigate Rosse.

Occorre poi migliorare e potenziare l’intelligence e anche la sorveglianza. La nostra privacy dovrà trovare forme e limiti di garanzia diversi. L’Inghilterra è probabilmente il paese europeo a maggiore rischio di attacchi terroristici da parte di organizzazioni islamiste, ma è anche il paese che si è maggiormente attrezzato per la prevenzione e la sorveglianza. È stato calcolato che oggi in Inghilterra c’è una telecamera di sorveglianza operativa ogni 11 cittadini! Chi vandalizza una panchina o scarabocchia i muri con la bomboletta ha un’alta probabilità di essere visto a distanza e di essere fermato entro dieci minuti dalla più vicina pattuglia di poliziotti. È un sistema di dissuasione per quegli adolescenti disadattati che tendono a delinquere per voglia di ribellione e di affermazione personale, iniziando spesso dal vandalizzare le cose pubbliche e dal vendere droga. Gli attentatori in Europa sono per lo più arruolati fra questi giovani per cui il crimine è già diventato ‘normale’. I predicatori della violenza in nome di Dio offrono giustificazione morale e prestigio sociale a chi si offre per il crimine estremo, che appare loro come una via di salvezza. 

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