Internet e la 'tragedia dei beni comuni'

14/01/2017

da un saggio di George Friedman per Geopolitical Future

L’espressione “tragedia dei beni comuni” è di un economista britannico dell’inizio del XIX secolo, ripresa dall’ecologista Garrett Hardin nel 1968. I beni comuni non sono proprietà di qualcuno, ma tutti ne possono usufruire. Però il consumo da parte di un attore riduce le possibilità di fruizione da parte degli altri. Sono beni comuni, per esempio, il verde pubblico e l’atmosfera. La tragedia dei beni comuni deriva dal fatto che molti ne beneficiano ma nessuno ne è responsabile, chi trae beneficio dall’uso del bene non ne sostiene i costi d’uso e di manutenzione. Questo porta inevitabilmente alla distruzione dei beni comuni.

Internet è diventato rapidamente un bene comune. Con la sua complessa rete di connessioni e modi di comunicare internet ha influito pesantemente sulla società: un tempo esistevano vita privata e vita pubblica, ora abbiamo la vita privata e la vita online.

In passato le buone maniere e la volontà di essere ben visti dai vicini mitigavano la tragedia dei beni comuni. Non si era motivati a prendersi cura dei beni comuni, ma lo si era a usarli in modo corretto. L’incentivo non veniva dalla legge ma dal senso di appartenenza alla comunità, che avrebbe censurato e ricusato chi non si comportava correttamente. Imbarazzo e vergogna influenzavano il comportamento del singolo nei confronti dei beni comuni e della società. A rendere possibile la vergogna era il fatto di esser riconoscibili: poiché si doveva convivere con le conseguenze del proprio comportamento, si cercava di agire in modo da crearsi una buona reputazione e suscitare senso di ammirazione. La peggior cosa che potesse accadere a un cittadino dell’antica Grecia era essere ostracizzato.

In internet coesistono l’anonimato e la mancanza di privacy. Sembra una contraddizione, ma internet la rende possibile e questo crea diversi problemi. Della mancanza di privacy si discute in particolar modo in questi mesi, poiché il mondo intero si sta chiedendo se la Russia abbia davvero hackerato il Comitato nazionale democratico e le mail di Hillary Clinton. Gli hacker sono in grado di entrare nella casella di posta di qualcuno violandone la privacy e in più lo fanno coperti dall’anonimato, ed è davvero molto complicato se non impossibile scoprirne l’identità. L’anonimato ha poi un’altra conseguenza: in internet nessuno è responsabile, perché l’identità è mascherata. Perciò le più potenti emozioni umane – la vergogna e il desiderio di avere una buona reputazione – non fanno da freno ai comportamenti.

Recentemente le bufale che circolano in internet sono diventate oggetto di preoccupazione. Le notizie false sono sempre esistite ma erano riconoscibili in base a chi le diffondeva: un articolo proveniente da una fonte sconosciuta era guardato con sospetto, mentre un articolo comparso su un giornale conosciuto e accreditato godeva di maggior rispetto. Le opinioni espresse dagli organi di stampa mainstream avevano un gran peso e il loro diritto a giudicare le altre fonti di notizie si basava su una lunga storia di correttezza e obiettività. Non è più cosi: in un recente sondaggio del Pew Research Center, solo il 5% degli Americani interpellati ha detto di avere fiducia nei mezzi di informazione.

L’anonimato di internet permette alla gente di agire senza vergogna e di mentire senza paura. Non si è responsabili di quello che si fa o dice, alle azioni o parole non segue alcuna umiliazione. Ecco perché le menzogne prosperano, vengono fatte accuse deprecabili e ognuno, da qualsiasi parte stia, è libero di credere quel che vuol credere. La promessa che internet avrebbe creato un bene comune democratico in cui la voce di tutti sarebbe stata ascoltata e i media avrebbero perso il diritto di censura è stata mantenuta: non esistono più né censure, né obblighi di rispondere di quanto si afferma. Twitter è diventato il luogo in cui persone in vena di calunnie e con molto tempo libero possono mentire liberamente.

Internet ha ormai due grossi problemi: alcuni se ne servono per sottrarre informazioni private e altri lo usano per sputare veleno, rassicurati dalla garanzia dall’anonimato. Utenti irresponsabili stanno distruggendo il bene comune globale, così come lo spazio pubblico reale verrebbe danneggiato se la gente cominciasse a girare mascherata, a rubare effetti personali e urlare oscenità.

Il diritto alla privacy è un diritto inalienabile e se i ladri − così dovremmo chiamare gli hacker − continueranno a violare la proprietà delle persone, forse torneremo ai vecchi sistemi di comunicazione. Più difficile da risolvere è il problema dei media. La stampa più prestigiosa ha sperperato il credito accumulato dalle generazioni precedenti e ha perso il diritto di essere la bocca della verità. Frattanto i social media sono soggetti alla legge di Gresham: le notizie false scacciano quelle vere. Che fare? Per prima cosa dovremmo rendere illegale celare la propria identità in internet, così come avviene in altri luoghi pubblici. Partendo dal presupposto che chi nasconde il volto è probabilmente male intenzionato, i paesi hanno promulgato leggi che vietano di portare maschere in pubblico. In pubblico dobbiamo essere riconoscibili: abbiamo diritto alla privacy a casa nostra, non quando stiamo negli spazi pubblici. Nascondere la propria identità è illegale anche in altre circostanze: si deve mostrare un documento di identità per acquistare armi o per prendere un aereo. La questione non è secondaria: in queste settimane stiamo assistendo a un confronto tra Russia e Stati Uniti circa l’ipotesi che la Russia abbia hackerato delle caselle di posta per favorire la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali. C’è poi il sospetto che siano stati hacker russi a violare la rete elettrica statunitense. Ma provare la colpevolezza della Russia è praticamente impossibile. La situazione ci sta sfuggendo di mano. Internet non è un bene comune solo per singoli individui, ma anche per forze economiche e governi.

Quando siamo a casa nostra ci aspettiamo che venga rispettata la nostra privacy, ma quando usciamo in pubblico vogliamo sapere che le persone che incontriamo non si nascondono dietro una maschera per attaccarci. Internet, così come è oggi, non ci fornisce questa garanzia, perciò è ora di cambiare le regole di internet. 

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