Il diritto alla terra e il sionismo

22/01/2018

I popoli cui è stata negata per secoli la possibilità di possedere terre hanno vissuto esperienze tragiche. Un popolo ha bisogno della sovranità su un pezzo di terra, come una famiglia ha bisogno di una casa. Non avere la proprietà della terra e di ciò che sulla terra si costruisce significa non avere un’area in cui darsi regole e leggi proprie, in cui potersi rinchiudere e difendere in caso di attacco. Significa rischiare sempre l’espulsione e l’uccisione da parte di altri, essere sottomessi alle decisioni altrui.

Oggi in Africa succede a tante etnie indigene, ad esempio ai Batwa nell’Africa Equatoriale, in Asia succede ai Rohingya, cacciati dal Mynamar. È successo ripetutamente ai Curdi ora sotto questo ora sotto quel governo. È successo agli Armeni nell’Impero Ottomano, oggetto di genocidio nel 1915. Di tutte le popolazioni un tempo potenti cui venne tolta la terra non è rimasto nessun rappresentante, perciò non ne parliamo più.

Il Sionismo, movimento fondato nel 1897 a Basilea dallo scrittore e giornalista Theodor Herzl, si propose di raccogliere fondi per acquistare terre per gli Ebrei non lontano da Gerusalemme, cioè nella loro regione d’origine, allora poco abitata e di secondaria importanza, amministrata dall’Impero Ottomano, perché potessero trovarvi rifugio gli Ebrei perseguitati d’Europa e ottenervi qualche autonomia amministrativa e politica.

In questa regione, da millenni conosciuta in Europa come Palestina, cioè terra dei Filistei, gli Ebrei sionisti ebbero allora la possibilità di acquistare terre dai feudatari dell’Impero. Le bonificarono, le coltivarono, costruirono canali, strade, ferrovie, impianti per la produzione e la distribuzione di energia, nonché scuole, teatri, università, associazioni sindacali.

Dopo la caduta dell’Impero Ottomano larga parte del Medio Oriente divenne Mandato di due potenze europee - la Francia e l’Inghilterra – che avevano il compito di crearvi degli stati e aiutarli a rendersi indipendenti. Fra il 1920 e il 1946 furono creati (o vennero rifondati con costituzioni diverse) tutti gli attuali stati del Medio Oriente, incluso Israele. I confini di Siria, Iraq e Libano furono del tutto arbitrari, ponendo le basi per le successive guerre civili che ancora li travagliano.

A Israele furono assegnati i territori già acquistati e sviluppati dai Sionisti, più il deserto del sud. Ma a Israele toccò una storia speciale per l’opposizione di tutti gli stati arabi e islamici circostanti, che non volevano una realtà non araba e non islamica nelle loro vicinanze. Israele si difese e conquistò altre porzioni di territorio.

Il conflitto fra Ebrei e Arabi in Palestina è uno dei tanti tragici conflitti che travagliano le popolazioni e gli stati del Medio Oriente negli ultimi 100 anni, nonché molti altri stati multietnici di recente costituzione, provocando milioni di profughi. Ma su Israele, stato degli Ebrei, si riversano le paure, i pregiudizi, le angosce alimentate per quasi 2000 anni in Europa. Perciò il conflitto in Palestina viene spesso interpretato come lo sterminio degli innocenti da parte dei malvagi Ebrei, secondo la peggiore tradizione antigiudaica e antisemita. Alcuni giungono a negare il diritto di Israele a esistere come stato degli Ebrei, affermazione inaccettabile in un mondo che riconosce il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Israele ha diritto a dichiararsi stato ebraico esattamente come altri stati hanno diritto a definirsi repubblica islamica, o repubblica araba, o repubblica italiana. 

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