Il modello economico tedesco è troppo asiatico

18/10/2018

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La cancelliera Angela Merkel ha dichiarato di non essere pienamente d’accordo con l’atteggiamento dell’Unione Europea verso le grandi multinazionali né con la sua regolamentazione antitrust. Sull’esempio degli Stati Uniti, l’Europa persegue una politica di contrasto al dominio settoriale di poche grandi aziende globali e di incentivazione della concorrenza attraverso la limitazione delle fusioni aziendali. La Cina agisce esattamente al contrario: un numero esiguo di società di telecomunicazioni, ad esempio, fornisce servizi a miliardi di persone. Secondo la Merkel “se si vuole stare al passo, occorre essere in grado di sviluppare attori globali”. Il presidente francese Emmanuel Macron ha già respinto il suo suggerimento.

La Germania è la quarta maggiore economia del mondo. È anche una delle economie più dipendenti dalle esportazioni, da cui ricava quasi il 50% del prodotto interno lordo. Gran parte di queste esportazioni è destinata all’Unione Europea, ma in questo periodo l’UE si sta logorando e frammentando (Brexit), mentre gli Stati Uniti, altro importante consumatore di merci tedesche, stanno rivedendo regolamentazioni e dazi. Il futuro a medio termine delle esportazioni tedesche non è positivo. Aumentare il consumo interno tedesco per compensare la possibile perdita di esportazioni è estremamente difficile.

La Merkel pensa che la migliore reazione possibile della Germania è affrontare il mercato emulando le economie dell’Asia, dominate da poche grandi aziende (non soltanto in Cina, ma anche in Corea e in Giappone). È interessante notare che non ha scelto di emulare il modello americano, caratterizzato dalla vivacità di una miriade di piccole imprese e da un piccolo numero di potenze globali come Apple e Amazon (anch’esse iniziate come start-up, piccole imprese personali, non come iniziative industriali pianificate). Gli Stati Uniti sono stati in grado di costruire un’economia forte in questo modo, perché soltanto il 12% del PIL proviene dalle esportazioni, soprattutto nei paesi confinanti. Il mercato interno degli Stati Uniti è il primo e spesso l’unico obiettivo della maggior parte delle aziende americane, che sono spesso competitive anche a livello globale, ma non perché l’export sia il loro obiettivo primario.

La Germania è piena di aziende degli anni Cinquanta che sono diventate molto grandi, sono protette da una concorrenza effettiva e offrono occupazione a lungo termine. L’ambiente imprenditoriale però non consente alle nuove attività imprenditoriali di emergere, diventando parte dominante dell’economia. Di conseguenza, la Germania non ha prodotto molte aziende di grande portata nell’ultima generazione. Tutta l’attenzione dell’industria e della politica tedesca è rivolta al perfezionamento delle tecnologie già esistenti. La Merkel scommette ancora sullo stesso modello e propone di ridurre la pressione competitiva sulle grandi aziende consolidate, per mantenere l’attuale livello di esportazioni. Solo così la Germania può mantenere la struttura portante della sua economia.

La Germania cammina sul filo del rasoio: ha un sistema bancario non proprio solidissimo, una forte dipendenza da un’Europa sempre più frantumata e una grande fame di esportazioni in Asia. Non vuole competere sul piano dell’innovazione, che è invece il motore dell’economia statunitense: sarebbe una mossa troppo radicale e destabilizzante. Sta invece proponendo un modello in stile asiatico e ciò rivela quanto seri siano i problemi della Germania e quanto poco spazio di manovra abbia.

Le statistiche tedesche dicono che le esportazioni sono generate all’incirca per un terzo da grandi aziende, per un terzo da medie aziende e per un terzo da piccole aziende. Ma le piccole e medie aziende hanno come mercato estero gli altri paesi dell’Unione Europea, soprattutto quelli dell’area euro. Se dovesse frammentarsi l’eurozona, sarebbe un disastro per molte piccole e medie aziende tedesche.

Il futuro a medio termine delle esportazioni tedesche non è positivo. La Germania sta scegliendo di affrontarlo emulando le economie dell’Asia, dominate da poche grandi aziende

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