Il 'nuovo' antisemitismo
Parte III - L’informazione manipolata

12/05/2015

L’informazione sul conflitto fra Israeliani e Palestinesi viene manipolata costantemente in modo da presentare Israele come assassino di innocenti, malvagio e potente, i Palestinesi come vittime inermi e innocenti.  L’informazione manipolata viene chiamata Pallywood, dal titolo del video del professore Richard Landes dell’Università di Boston, che analizza il famoso filmato dell’uccisione del bambino Mohammed al-Dura, di cui alcune sequenze vennero mostrate dalla TV francese, facendo poi il giro del mondo.  L’esame dell’intera sequenza del filmato, girato da operatori palestinesi, dimostra che si trattò di una messa in scena, cioè di un falso, come riconobbero, dopo anni di battaglia processuale, i giudici francesi.  Ma il mondo intero ricorda come verità quel drammatico filmato, e Mohammed al-Dura fu per anni l’icona della ferocia assassina di Israele.

Da allora sono stati documentati centinaia di casi di foto e video di ‘vittime’ degli Israeliani – per lo più bambini − che sono o dei falsi, o delle manipolazioni. A volte capita siano gli stessi attori a mettere online le proprie prodezze, come in questo caso. Spesso sono i fotografi o i cineoperatori stessi a scattare foto digitali dell’intera messa in scena, che poi vengono divulgate per errore.

Ci sono casi di feriti gravi che se ne vanno con le proprie gambe, o morti che si rialzano e cambiano ruolo, o che durante la ripresa si tengono stretto il cappellino sotto l’ascella. I morti purtroppo ci sono davvero nella guerra, ma di solito non sono quelli che ci vengono mostrati nelle foto pubblicate dai media,  inquadrature studiate apposta per trasmettere messaggi subliminali per associazione con icone profondamente impresse nella nostra mente.

In Italia il giornalista Marco Reis ha analizzato a fondo l’uso strumentale delle immagini nei media per creare emozioni in favore o contro una parte, con l’apparenza di informazione. Ecco per esempio la sua analisi di come La Stampa ha presentato la guerra di Gaza del 2009.  Forse non c’è neppure l’intenzione di distorcere l’informazione, ma il semplice utilizzo acritico delle immagini fornite dagli operatori sul campo, che in Palestina sono quasi esclusivamente palestinesi.  Mettendo in fila le immagini dei Palestinesi e quelle degli Israeliani pubblicate durante il conflitto, Reis si accorge che insieme costruiscono l’immagine di un popolo di bimbi e donne inermi – che Reis definisce Davide − vittima di soldati e di possenti mezzi militari israeliani – che Reis definisce Golia − e si chiede: “Qualcuno ha visto Hamas?”.  Non una delle immagini pubblicate mostra un Palestinese armato, o impegnato a tirare uno dei 12000 razzi caduti su Israele in quei sedici giorni.  L’effetto propagandistico è raggiunto, senza bisogno di parole.  Le foto, i video e i dati di Gaza sono forniti alle agenzie di stampa da organizzazioni palestinesi, sotto controllo di Hamas. Hamas dichiara ufficialmente di avere nel suo braccio armato 17000 uomini, che però non indossano un’uniforme, né segni distintivi visibili a distanza, eccetto durante gli addestramenti o le sfilate. Tutti vengono definiti ‘civili’, se sono feriti o uccisi. In realtà i dati delle vittime fornite dalle agenzie internazionali durante l’ultimo conflitto a Gaza, se analizzati per età e sesso, indicano che due terzi delle vittime erano ragazzi e uomini in età di combattimento, probabilmente militarmente attivi. Circa un terzo erano civili disarmati. Purtroppo quando c’è un bombardamento aereo questi sono i numeri, in qualunque guerra.

Perché i media europei danno credito alla visione di Israele - piccolissimo paese quasi invisibile sulle carte geografiche, con meno abitanti di Londra – come un gigante armato che minaccia la pace e la libertà del mondo arabo e islamico?  Basta considerare quanti conflitti interni travagliano il mondo islamico dal 1950 a oggi per capire che Israele non può essere la causa della crisi della civiltà islamica, che insanguina il mondo dalle Filippine al Sahel.

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