L’indipendenza minata

11/02/2022

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La nostra indipendenza economica (e politica) è minata dall’eccessiva dipendenza dall’energia importata da un singolo paese, cioè la Russia. La mappa accanto, di Geopolitical Futures, indica il grado di dipendenza dall’energia russa dei paesi europei: è un quadro molto preoccupante.

Quando e perché ci siamo messi in questa situazione? Negli esaltanti anni ’90, dopo la fine dell’Unione Sovietica, quando sembrava che l’Occidente non avesse più rivali e che tutto il mondo avrebbe potuto collaborare serenamente seguendo le stesse regole, regole codificate negli statuti del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio fondata il primo gennaio 1995, e dell’Unione Europea, fondata il primo novembre 1993. Allora noi Italiani rinunciammo anche allo sviluppo dell’energia nucleare, convinti che il mondo avrebbe fatto a gara a venderci energia a prezzi bassi, così come faceva a gara a offrirci ogni tipo di prodotto manufatturiero a basso costo. Lasciammo chiudere centinaia di fabbriche senza battere ciglio, dicendoci che la manifattura era ormai obsoleta, avremmo dovuto puntare a un modello di sviluppo basato sulla tecnologia, sulla finanza e sui servizi. Il mondo avrebbe fatto a gara per mandare in Europa risparmi da investire, ci dicemmo, perciò l’importante era entrare nel sistema dell’euro, poi avremmo potuto usare il flusso di denaro che ci sarebbe arrivato dai paesi di tutta l’Eurasia per rinnovare le infrastrutture e potenziare i servizi. Occorreva soltanto tirare un po’ la cinghia per ridurre il debito pubblico fino a entrare nel sistema dell’euro, poi avremmo potuto ricominciare a vivere a debito, secondo la visione dell’economia e della finanza che aveva guidato la politica dei governi italiani sin dai primi anni ’80.

Sappiamo bene che non andò così: con la crisi globale del 2008-12 fummo costretti ad accettare ogni diktat tedesco per poter avere in prestito gli euro necessari a pagare le pensioni e gli stipendi pubblici, perché lo stato italiano non aveva denaro sufficiente per pagare sia gli interessi sul debito sia gli stipendi e le pensioni oltre i due mesi successivi. Ci salvò Draghi, che come presidente della BCE decise di accettare dalle banche private quantità quasi illimitate di titoli di stato a fronte di prestiti, aggirando così il divieto statutario di finanziare gli stati. Ma non potemmo né potenziare i servizi (dovemmo anzi tagliarne i costi), né investire a sufficienza per rinnovare rapidamente le infrastrutture necessarie allo sviluppo, cioè la rete internet, i porti e i trasporti. E di investimenti dall’estero non vedemmo che qualche ridicola briciola.

Nel frattempo la politica dell’Unione Europea, fortemente condizionata dalla Germania, che è di gran lunga il più ricco e più popoloso paese membro dell’Unione, avviò un programma di investimenti massicci nello sviluppo delle economie dei paesi dell’Est, integrandole nel sistema economico tedesco. Avviò anche un programma di larghe intese commerciali sia con la Russia sia con la Cina, che le permise di aumentare enormemente le esportazioni verso questi due paesi, acquistando in cambio energia dalla Russia e manufatti a basso prezzo dalla Cina. Era un programma che creava opportunità anche per la maggioranza degli altri paesi europei che avevano sistemi produttivi legati al ciclo di produzione tedesco, perciò ebbe il sostegno dell’Unione.

Dalla Russia l’Unione Europea acquistava soprattutto gas, attraverso gasdotti che attraversavano i paesi dell’ex Unione Sovietica. Quando la Russia prese a utilizzare il gas come arma di pressione e di ricatto politico verso i governi della Polonia, dell’Ucraina e dell’Ungheria, subentrò l’Unione Europea a stipulare un patto: l’Unione avrebbe autorizzato e promosso la costruzione di un gasdotto diretto dalla Russia in Germania, sotto al Mar Baltico, chiamato Nordstream, che avrebbe permesso alla Germania di fare i contratti per il gas direttamente con la Russia, bypassando i paesi dell’Est europeo. Dalla Germania però il gas sarebbe stato pompato a tutti i paesi dell’Est e del Centro Europa che lo avessero richiesto. Il gasdotto entrò in funzione nell’autunno del 2011 e legò strettamente gli interessi della Germania e quelli della Russia, rendendo i paesi dell’Est Europa dipendenti dalla Germania anche per le forniture del gas. Una parte dell’opinione pubblica iniziò ad allarmarsi, sia in Inghilterra (e la conseguenza sarà l’uscita del Regno Unito dall’Unione), sia nei paesi dell’Est Europa, dove andarono al potere partiti decisamente meno inclini ad accettare le interferenze dell’Unione nella loro politica. Altri pensarono che questo accordo fosse un bene, perché la Russia avrebbe avuto una politica molto collaborativa nei confronti della Germania, non l’avrebbe mai sfidata. Qualche anno più tardi si iniziò a parlare di un raddoppio del Nordstream, il Nordstream 2, ma questa volta non ci fu più l’accordo dei paesi dell’Unione, che volevano invece diversificare le fonti di approvvigionamento e iniziavano a non apprezzare tutta questa concentrazione di potere nelle mani della Germania. Germania e Russia si accordarono per costruirlo ugualmente con un accordo bilaterale, utilizzando finanziamenti privati. È pronto al 99%, ma non è ancora stato messo in funzione perché costruttori e finanziatori sono stati colpiti da sanzioni americane, che la Germania ha dovuto rispettare. Il 9 febbraio il commissario europeo alla concorrenza, Margrethe Vestager, ha dichiarato apertamente ‘Non abbiamo mai considerato Nord Stream 2 nell'interesse europeo", sottolineando così il fatto che il Nordstream 2 è stato voluto soltanto da Russia e Germania.

Ora la Russia mette in atto l’ovvio ricatto che qualunque esperto di rapporti internazionali si aspettava prima o poi: ha ridotto le forniture di gas all’Europa, incluse quelle attraverso il Nordstream, ha ammassato truppe alla frontiera con l’Ucraina e avanza richieste che equivalgono in pratica alla rinuncia dell’Unione Europea all’ombrello difensivo della NATO. Alcuni stimati analisti dicono che Putin ha già perso, perché l’Unione Europea mantiene la coesione e non sconfessa la NATO. Ma Putin non perderà: se la Germania prenderà le distanze dalla NATO sarà una grande vittoria politica che rafforzerà il suo potere all’interno e all’esterno, se invece la Germania resterà apertamente fedele alla politica della NATO, nessuno si opporrà fisicamente all’avanzata delle truppe russe in Ucraina per prendersi un altro pezzo di territorio. L’ha già detto anche la NATO e l’ha detto Biden: niente guerra se la Russia avanza in Ucraina, soltanto più sanzioni.

La decisione è nelle mani della Germania. Putin non ha fretta: se la mancanza di energia colpisce gravemente le economie d’Europa, le conseguenze sociali e politiche si vedranno davvero fra un paio di mesi. Allora si vedrà se la determinazione della Germania regge o vacilla, allora si vedrà come si porranno gli altri paesi dell’Unione Europea, soprattutto quelli dell’Est Europa. Allora si vedrà se questa crisi rafforzerà la coesione dell’Unione Europea per il futuro, o se la squasserà, aprendo la via alla sua frammentazione.

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