Geopolitica del Medio Oriente
Parte III - Israele e Palestina oggi

05/10/2015

Uno degli stati nati dal crollo dell’Impero Ottomano è Israele.

Israele e Palestina insieme, dal Mediterraneo al Giordano, hanno una superficie di circa 27000 chilometri quadrati, poco più della Lombardia. Oltre il 40% della superficie è deserto. Si tratta di una minuscola scheggia di terra, su cui è in atto un conflitto di lunga durata, che pare insanabile. Perché? Ecco le risposte: due popolazioni senza sicurezza, senza risorse, alla mercé dell’ONU e delle ideologie d’odio.

Questa mappa tridimensionale della Palestina e di Israele, dalla valle del Giordano al Mediterraneo, mostra chiaramente il problema della sicurezza e delle risorse. Il territorio palestinese è quello collinoso entro la linea di pallini verdi. È poco adatto all’agricoltura, senza possibilità di commercio sul mare, quasi senza vie di comunicazione e di commercio via terra, dato che la valle del Giordano e il Mar Morto sono una profonda depressione desertica. Però dall’alto delle colline palestinesi si può colpire qualunque luogo di Israele, usando anche soltanto vecchi cannoni o bazooka, dato che il territorio è così piccolo che lo stato di Israele in alcuni punti è profondo soltanto 15 chilometri!

Queste immagini satellitari valgono mille parole: in un territorio piccolissimo, montuoso e desertico, con un grande lago interno troppo salino perche attorno vi cresca la vita, le piccole zone adatte all’agricoltura e ai commerci sono alla mercé di chi risiede sulle colline e sulle alture del Golan, cioè dei Palestinesi e dei Siriani. Sarebbe ragionevole concordare che gli Israeliani abbiano il controllo militare dei confini sino al Giordano, e che i Palestinesi prendano liberamente parte alla vita economica di Israele.

Ma l’accordo sino a oggi non è stato possibile per motivi ideologici. I paesi arabi, guidati dall’Egitto, costituirono nel 1945 la Lega Araba. La Lega rifiutò subito la presenza degli Ebrei d’Israele in terra considerata araba e musulmana per diritto divino. La Lega attaccò Israele in tre grandi guerre, sempre per iniziativa dell’Egitto: nel 1948, subito dopo la proclamazione dello stato d’Israele, nel 1967 e nel 1973. Israele riuscì sempre a difendersi e persino a vincere, sia perché gli Israeliani sapevano di combattere per la propria sopravvivenza, sia perché gli altri stati arabi temevano l’egemonia dell’Egitto, al di là della retorica, e non fecero molto per aiutarlo a vincere davvero. Così fra maggio 1948 e la fine del 1973 il territorio conquistato e controllato da Israele passò dalla situazione rappresentata nella mappa di sinistra a quella rappresentata nella mappa di destra.

Ma a seguito dei successivi accordi di pace fra Israele e l’Egitto e fra Israele e la Giordania la situazione cambiò ancora. Per quanto riguarda i territori Palestinesi, Gaza è dal 2006 del tutto indipendente, ed è nella mani di Hamas. Le colline di Giudea e Samaria, a ovest del Giordano, sono sotto controllo palestinese a macchia di leopardo, perché Israele pattuglia le principali vie di comunicazione con l’esercito, e lungo queste vie ha creato insediamenti ebraici, per garantirsi più sicurezza.

 

I profughi e il ruolo dell’ONU

Durante la prima guerra, nel 1948-49, parte della popolazione araba lasciò le case nelle zone di combattimento, o ne fu cacciata. Si ebbero così 726 000 profughi palestinesi, che furono trasferiti in campi profughi in Giordania, Siria, Libano, oltre che in Cisgiordania e a Gaza. Furono assistiti da un’agenzia dell’ONU creata appositamente per loro, l 'UNRWA, Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente. L’ONU creò allora anche l’Alto Commissariato per i Rifugiati, un’altra organizzazione che assiste tutti gli altri profughi del mondo, con il mandato di risistemarli in qualche posto del globo entro due anni. Né l’ONU riconosce lo status di rifugiato o il diritto al ritorno ai discendenti dei rifugiati di altre guerre e di altre parti del mondo: soltanto ai Palestinesi. Perciò i rifugiati palestinesi che hanno, secondo l’ONU, diritto all’assistenza e al ritorno nel luogo di origine sono diventati circa 5 milioni, anche se soltanto circa 1.5 milioni vivono effettivamente nei campi.

L’ONU aveva certamente ottime intenzioni, ma le conseguenze della politica di assistenza dell’UNWRA sono state alla lunga negative. I Palestinesi che da 65 anni vivono di assistenza e di donazioni internazionali hanno sviluppato una cultura revanscista, pronta alla lotta, ma non abituata a prendere iniziative economiche e culturali. Sin dagli anni ‘60 sono diventati massa di manovra per gruppi con ideologie politiche estremiste, che ricorrono al terrorismo.

I Palestinesi dei campi profughi, sempre armati fino ai denti da qualche altro stato, tentarono anche il colpo di stato contro il re di Giordania, che a settembre del 1970 mobilitò l’esercito contro di loro, uccidendone 12000 e cacciandone decine di migliaia di altri. Fuggiti in Libano, sempre al comando di Arafat, destabilizzarono il fragile equilibrio di potere fra i diversi gruppi etnici e religiosi, alleandosi con alcune fazioni contro altre. Il Libano piombò nella guerra civile, che durò con fasi alterne dal 1975 al 1991.

Durante gli anni ‘90, quando le trattative fra Israeliani e Palestinesi sembravano portare davvero alla pace per gradi successivi, un problema che non si poté risolvere fu il diritto al ritorno. Come si possono far ritornare alcuni milioni di discendenti di rifugiati palestinesi in Israele, paese piccolissimo, che vuole mantenere una maggioranza ebraica per aver il controllo della propria sicurezza? Si potrebbe concordare un indennizzo anziché il ritorno, se venisse accettato. Ma chi indennizzerebbe i circa 700000 Ebrei cacciati dai paesi arabi in cui vivevano da tempo immemorabile, dopo l’inizio delle guerre fra Arabi e Israeliani?

ll problema davvero insormontabile è un altro, ed è di natura ideologica. L’opinione pubblica palestinese e araba è stata educata per molti decenni a un profondo antisemitismo assassino, paragonabile soltanto a quello nazista. Ne è scaturito un odio pieno di paura che la ragione non riesce a superare.

Il pericolo più grave dell’odio antisemita è l’uso che ne potrebbe fare la Turchia – e che già ne fa da tempo l’Iran − per conquistare la Mesopotamia con le sue ricchezze. L’odio antisemita di natura religiosa, razziale e culturale, fortissimo nel mondo islamico, è un facilissimo strumento di mobilitazione e di conquista dell’opinione pubblica araba. Il popolo di Israele è di nuovo in grave pericolo di sterminio. 

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